giovedi` 11 settembre 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



Clicca qui






Corriere della Sera-Il Giornale-L'Unità Rassegna Stampa
09.09.2009 Farouk Hosni, la vincerà ?
I commenti di P.Battista, Segre, e le parentesi dell'Unità

Testata:Corriere della Sera-Il Giornale-L'Unità
Autore: Pierluigi Battista-R.A.Segre-Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Hosni, il ministro-censore che vietava Lolita e Kundera-Ecco perchè Israele dice si a un antisemita all'Unesco»

Ultime schermaglie sul nome del prossimo presidente Unesco. Pubblichiamo il commento di Pierluigi Battista, sul CORRIERE della SERA di oggi, 09/09/2009, a pag.1, dal GIORNALE, quello di R.A.Segre,, a pag.16, e dall'UNITA' solo il titolo, non l'articolo di Umberto De Giovannageli, dal quale aspettiamo ancora che ci spieghi come ha fatto a intervistare Tzipi Livni (si veda IC di ieri). Solo il titolo, che è molto indicativo. il nostro commento più avanti.
Ecco gli articoli:

Corriere della Sera-Pierluigi Battista: " Hosni, il ministro-censore che vietava Lolita e Kundera"

L’ uomo che con ogni probabilità guiderà per i prossimi 10 anni l’Unesco, Farouk Hosni, ha chiesto scusa per aver detto nel maggio del 2008, nella sede del Parlamento egiziano, di voler «bruciare» personalmente i libri israeliani nelle librerie del Cairo.Ma non c’è mai stato bisogno del ro­go vero e proprio. I libri israeliani e «sionisti», in tutti gli anni in cui Ho­sni è stato ministro della Cultura, so­no stati messi al bando, censurati, can­cellati anche senza il bagliore delle fiamme. Gli scrittori israeliani, regnan­te Hosni, non hanno mai potuto met­tere piede alla grande Fiera del libro del Cairo. Le fanfare dell’accoglienza hanno suonato piuttosto per Roger Garaudy, il negazionista francese se­condo il quale «gli ebrei hanno inven­tato l’Olocausto per il loro tornaconto politico ed economico» e che Hosni ha personalmente invitato nel 1998 con grande enfasi in Egitto dopo che la Francia aveva condannato le sue te­si antisemite. Il governo italiano è convinto che le scuse di Hosni siano sufficienti. E che il suo curriculum culturale e istituzio­nale dimostri la piena idoneità del can­didato egiziano a dirigere un impor­tante organismo internazionale che per conto delle Nazioni Unite dovrà conservare e tutelare il grande patri­monio culturale dell’umanità, nonché promuovere i valori della tolleranza e del dialogo. Forse è vero che la sma­nia censoria di Hosni non sia specifica­mente diretta contro gli ebrei e gli isra­eliani. Sotto il suo dispotico regno cul­turale la mannaia della censura ha in­fatti colpito massicciamente e indiscri­minatamente, come ha documentato Foreign Policy , tutti e non un clan di burattini manovrati dal «sionismo». Il divieto si è abbattuto per esempio su Lolita di Nabokov, su L’insostenibi­le leggerezza dell’essere di Milan Kun­dera, sul Codice da Vinci di Dan Brown (questo sì per non meglio pre­cisate implicazioni «sioniste»), sul Saggio su Maometto di Maxime Ro­dinson, sulle poesie medievali dell’ara­bo Abu Nuwas («troppo sensuali», Ho­sni nel gennaio del 2001), perfino sul premio Nobel Naguib Mahfuz, di cui Hosni ha chiesto l’espulsione dal­l’Unione degli scrittori egiziani perché «colpevole», ricorda Giulio Meotti sul Foglio , di aver visto tradotte alcune sue opere in Israele e per questo bolla­to come un «apostata» dai fanatici fon­damentalisti. Perché è vero che la cen­sura di Hosni, probabile prossimo tu­tore del patrimonio culturale universa­le, si esercita erga omnes, ma quando coinvolge gli ebrei e Israele, si esercita con più intensa passione. Hosni ha vietato la circolazione in Egitto di Zorba il greco , ma le forbici della censura hanno colpito soprattut­to Schindler’s List di Spielberg («trop­pe uccisioni» fu il suo secco giudizio, riportato ancora una volta da Meotti) e tutti, tutti i film israeliani giacché, parole di Hosni, proiettarli «equivar­rebbe ad accettare la normalizzazione dei rapporti con Israele, cui noi ci op­poniamo fermamente». Perché Hosni, malgrado l’opinione dei suoi sponsor che lo vorrebbero al vertice dell’Unesco, si è sempre procla­mato irriducibile nemico della «nor­malizzazione » proprio in un Paese, co­me l’Egitto, che ha invece «normalizza­to » dopo Oslo i suoi rapporti con Israe­le, pagando un prezzo altissimo, a co­minciare dall’assassinio di Sadat che aveva siglato la pace di Camp David. Ma Hosni, come ha ripetutamente do­cumentato l’Anti-Defamation League, ha sempre ritenuto che «l’odio per Israele è nel nostro latte materno». Nel 2001, in un’intervista a al Kasat , ha ribadito la sua to­tale ostilità per gli israeliani: «Rubano tutto, il patrimonio musicale, il cinema e anche i vestiti, per questo vanno ricam­biati con lo stesso livello di odio». Odio, odio e ancora odio. Una volta Hosni ha accusato i media internazionali di essere nelle ma­ni «degli ebrei»: non risulta che abbia mai chiesto scusa. Mentre censurava libri, film, opere teatra­li, poesie medievali, concerti (an­che la cancellazione di un concerto di Daniel Barenboim è all’attivo del ministro della Cultura egiziano) ha fattivamente promosso la traduzio­ne in arabo dei Protocolli dei savi an­ziani di Sion , il celeberrimo falso che ha nutrito senza requie le fantasie pa­ranoiche dell’antisemitismo sotto ogni latitudine. E che i Protocolli rap­presentino un testo chiave dell’imma­ginario psicologico e culturale del pro­babile prossimo responsabile dell’Une­sco lo dimostra l’entusiasmo proseliti­stico con cui Hosni ha promosso la messa in onda per la televisione egizia­na Dream tv del serial Cavaliere senza cavallo , la cui trama è ostentatamente ricalcata proprio sullo schema narrati­vo dei Protocolli. Del resto, nel 1988 è stato proprio Hosni a lanciare, scrive Meotti, l’opera teatrale Oh Gerusalemme dove si «in­citava all’uccisione di ebrei e alla libe­razione della città santa». «Quando i Protocolli dei Savi di Sion furono scoperti cento anni fa, l’establishment sionista internaziona­le cercò di negare il complotto» è sem­pre Hosni a parlare. Un’ossessione. Una fissazione non mitigata sinora da nessuna scusa, sebbene tardiva. Per questo, per il candidato al vertice del­l’Unesco, «la cultura israeliana è disu­mana, aggressiva, razzista e arrogan­te, basata sul furto dei diritti altrui». Per un uomo che si accinge, con il consenso di molti governi occidentali tra cui quello italiano, ad occuparsi della difesa della cultura e della tolle­ranza, queste dichiarazioni suonano un po’ paradossali. E nemmeno atte­nuate da qualche imbarazzata marcia indietro. Ma l’Unesco, per i prossimi dieci anni, sarà con ogni probabilità rappresentata da lui.

Il Giornale-R.A.Segre: "Ecco perchè Israele dice si a un antisemita all'Unesco"

L'Onu non ha mai garantito la pace e il bene del genere umano. È un parlamento dominato da blocchi di nazioni che votano e negoziano secondo i loro interessi. Questa struttura, che permette alla Libia «democratica» di presiedere la commissione per i diritti umani, è replicata in tutte le Agenzie delle Nazioni (dis)Unite dove gli scopi dichiarati non sempre coincidono con la condotta di mastodontiche burocrazie. In questi giorni nel mirino c'è l'elezione del nuovo direttore dell'Unesco, istituzione chiamata a difendere e sviluppare tutte le culture del nostro pianeta, in piena libertà di espressione e equanimità di valori.
Il candidato favorito a occupare il prestigioso seggio di «presidente» della cultura mondiale, appoggiato dal blocco arabo islamico, africano e da alcuni Paesi occidentali (fra cui la Francia che in fatto di cultura si considera sempre maestra altrui) è Farouk Hosni: come pittore e poeta, per lunghi anni ministro della Cultura in Egitto, avrebbe credenziali personali non peggiori di altri. E anche l’Italia ha da tempo accordato il suo via libera al politico egiziano. Ma trasportato - come da lui stesso ammesso - dalla «profonda emozione» creata dalla questione palestinese, Hosni si è lasciato andare ben prima della sua candidatura, a dichiarazioni che sollevano dubbi sulla sua equanimità nei confronti della cultura mondiale. Passi - nel presente clima intellettuale anti israeliano - il suo desiderio di bruciare «con le sue mani se necessario» qualsiasi libro israeliano che per caso si trovasse negli scaffali della Biblioteca di Alessandria, proibendone la presenza alla Fiera del Libro del Cairo. Affermare, però - come ha fatto - che gli ebrei dominano i media internazionali e altri pregiudizi medioevali nei confronti degli ebrei ha sollevato giustificate denunce di antisemitismo. In molti hanno rilevato come si tratti di opinioni che non fanno onore né all'Unesco né alle Nazioni Unite. Contro le sue affermazioni si sono levati giustamente esponenti ebrei e non ebrei della cultura, come il premio Nobel per la pace Elie Wiesel, Bernard-Henry Lévi e molti scrittori che in Italia e all’estero hanno firmato l'appello contro l'elezione di Hosni. In sede parlamentare Fiamma Nirenstein e altri deputati di destra e sinistra hanno lanciato un appello al boicottaggio. Era loro dovere sacrosanto farlo.
L'Unesco non è però una accademia platonica del pensiero. È una delle tante arene di scontro di interessi particolari, di compromessi politici, spesso in contraddizione con elevati principi morali e oggetto di basse contrattazioni di mercato. Per cui non c'è da stupirsi se persino Israele, sulla base di un accordo raggiunto al Cairo fra Bibi Netanyahu e il presidente egiziano Hosni Mubarak, Gerusalemme ha mutato la sua posizione da «contro» a «non opposto». I perché sono non proprio eleganti ma comprensibili, quando si tiene conto della sensibilità egiziana, degli interessi fra Egitto e Israele e non ultimo dell'opposizione di Hosni al radicalismo islamico in Egitto.
Il problema della sua elezione alla testa dell'Unesco deve essere perciò esaminato da due punti di vista. Per quello morale, questa candidatura appare inaccettabile non solo per le idee sostenute dal candidato egiziano ma in base al principio - così spesso e inutilmente sostenuto da Anna Arendt - che il male minore non può sostituirsi al male maggiore. È male e resta male.

Dal punto di vista politico la domanda da porsi è un'altra: che cosa conviene di più? Avere Hosni fuori dell'Unesco trasformato in «mina» culturale anti ebraica e anti israeliana, oppure averlo alla testa dell'Unesco, sotto i riflettori culturali del mondo intellettuale? Tanto più che Hosni (sia pure per motivi di opportunismo) ha dichiarato di essere «solennemente dispiaciuto» e che «nulla era più lontano dalle sue intenzioni che di ferire la cultura ebraica».
Secondo l'ebraismo l'uomo deve collaborare con Dio per migliorare il mondo. Compito difficile che chiede a ciascuno di fare il proprio mestiere il meglio possibile: ai moralisti denunciando l'errore; ai politici riconoscendo che il «male minore» non è mai il bene; a coloro che ammettono i propri sbagli, di essere giudicati sui fatti e non sulle parole.
 
L'Unità-Umberto De Giovannageli: " Candidato Unesco, la Ue divisa, Scontro sull'egiziano "
Quell'antisemita, messo fra parentesi, ci dice che il titolista dell'Unità non è sicuro del fatto che lo sia. Ci piacerebbe conoscere il parere dei vari Zevi, Pavoncello ecc. se le condividono, in fondo sono dei collaboratori, siete anche voi dubbiosi del fatto che Hosni sia antisemita ?
Non riproduciamo il pezzo, che nulla toglie o aggiunge a quanto già si sa. Ne approfittiamo però per chiedere di nuovo a Udg se ha la cortesia di spiegarci se il suo pezzo di ieri su Tzipi Livni (si veda IC) era un intervista oppure no. Dato che era presentata come tale, mentre invece, leggendo il pezzo, non pareva proprio. Ci risponderà ? Invitiamo anche i nostri lettori a porgli la stessa domanda.
Per inviare il proprio parere a Corriere della Sera, Giornale, Unità, cliccare sulle e-mail sottostanti.

lettere@corriere.it-segreteria@ilgiornale.it-lettere@unita.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT