Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 26/08/2009, a pag. 17, l'articolo di Mara Gergolet dal titolo " Germania anno zero: restituito l’onore ai 'traditori' di Hitler ".
Ludwig Baumann, presidente dell’associazione delle «Vittime della giustizia militare nazista»
BERLINO — Cancellare tutte le sentenze dei tribunali militari di Hitler. Riabilitare i «traditori di guerra». Restituire, almeno dopo la morte, l’onore a quei soldati o ufficiali che si sono ribellati, o hanno anche solo dubitato, della guerra di Hitler, e che per questo sono stati fucilati.
Il Parlamento di Berlino voterà settimana prossima una legge che finalmente riabilita — dopo 60 anni — le vittime militari del terrore nazista. Saranno annullate, simbolicamente, 100 mila sentenze di condanna ai lavori forzati e 20mila condanne a morte. L’atto finale di una battaglia, iniziata negli anni ’90. Perché prima, nella repubblica federale, i disertori e i «traditori» erano ritenuti, non solo di fronte alla legge (dove ancora per pochi giorni lo sono) ma anche all’opinione pubblica, dei criminali.
«Per me — dice Ludwig Baumann — è un sogno che si realizza». Parla piano, ha 87 anni, ed è il presidente dell’associazione delle «Vittime della giustizia militare nazista». È la sua vittoria. Era un ragazzo ventenne quando a Bordeaux decise di disertare con l’amico Kurt Oldenbruck. Destinazione America, attraverso l’Africa del Nord. «Volevo vivere, non volevo uccidere». Aveva la rivoltella carica, ma non sparò, quando lo presero al confine. Quaranta minuti di processo, la condanna alla fucilazione. La pena fu poi tramutata in 12 anni di lavori forzati al lager di Turgau, quindi l’arruolamento nel battaglione «per il fronte dell’Est», un biglietto di prima fila, sola andata, per Stalingrado. L’amico Kurt morì nell’assedio, lui miracolosamente tornò a casa.
Un ritorno che, per disertori come lui e per i «traditori di guerra» sopravvissuti, fu una seconda persecuzione. «Eravamo, penalmente, dei pregiudicati, per cui tanti lavori ci erano preclusi». Un destino di povertà e la gente che ti insulta «Kameradenschwein» (camerata di m.) perché ti sei salvato.
Il fisico distrutto dalle catene, le malattie prese nel lager, il blackout delle emozioni. Baumann, racconta, cominciò a bere e ebbe la forza di smettere solo quando la moglie morì, lasciandolo con una figlia di 6 anni. «Eravamo dei reietti».
L’aria cambia appena negli anni Novanta. I sondaggi mostrano che il 90 per cento dei tedeschi era pronto a «perdonare » i disertori, il governo Schröder si impegna, poi la guerra del Kosovo nel ’99 — la prima alla quale Berlino prende parte dal 1945 — blocca tutto. «Perché fu così difficile? Perché assolvere noi significava condannare tutti gli altri soldati che erano rimasti a combattere con Hitler ». Nel 2002, finalmente, una legge riabilita i disertori. Ma non i traditori di guerra.
Chi erano, veramente, questi ultimi? Dopo la dichiarazione di «guerra totale di Hitler» che non distingueva tra mezzi militari e civili, bastava poco per «tradire » il Paese (il cosiddetto reato di Kriegsverrat ): procurarsi un foglio di viaggio, confessare durante una licenza a una donna o in un’osteria che le cose sul fronte andavano male, aiutare un ebreo. Baumann ricorda il caso di un ufficiale di cui divenne amico nel lager di Turgau, Johann Lukaschitz: fu fucilato con i suoi 76 uomini, perché non rivelò che tenevano riunioni in stile sovietico.
Eppure, ancora nel 2007, nei loro confronti c’è molto sospetto. «Anche secondo i canoni attuali si sono comportati in modo riprovevole — disse un importante politico della Csu, Norbert Geis —. Hanno danneggiato i propri compagni con comportamenti illegali». Profanatori del vincolo solidale tra camerati, opportunisti che pensavano solo a salvare la propria pelle: molti, nel campo conservatore, la pensano così. E «la messa in pericolo dei commilitoni » è la motivazione con cui, ancora nel 2008, il ministro della Giustizia, Brigitte Zypries (Spd), rifiuta la loro riabilitazione. Una convinzione falsa, per gran parte degli storici. «Non c’è neppure un caso documentato — dice l’autorevole storico militare, Manfred Messerschmidt — in cui sia stata veramente messa in pericolo la vita di altri soldati». Invece, dice, si può fare il nome di più di un soldato fucilato perché sul diario aveva scritto che la guerra era persa.
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante