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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Rassegna Stampa
10.08.2009 Gamal el Sadat ricorda l'incontro fra suo padre e Begin
A trent’anni dalla firma del trattato di pace tra Egitto e Israele

Testata:
Autore: Bianca Di Giovanni
Titolo: «Quel giorno che mio padre invitò a pranzo Begin alla vigilia di Camp David»

Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 10/08/2009, a pag. 27, l'articolo di Bianca di Giovanni dal titolo " Quel giorno che mio padre invitò a pranzo Begin alla vigilia di Camp David ".

 Gamal el Sadat
 Sadat, Carter e Begin a Camp David, 1978

È comparso in uno studio televisivo per la prima volta un paio di mesi fa. È raro che si faccia riprendere da Tv e flash dei fotografi. Ma quella occasione per lui era immancabile. Trent’anni dalla firma del trattato di pace tra Egitto e Israele che seguì gli accordi di Camp David: lui era in America e ricorda tutta la fatica di suo padre. Gamal el Sadat, l’unico figlio maschio dell’ex presidente Anwar el Sadat (che aveva altre sette figlie femmine da due mogli diverse) oggi è un ingegnere di 52 anni. Dopo una lunga esperienza negli Stati Uniti è tornato a vivere nel suo Paese. Si è rifugiato a Shibin, una zona di campagna a una quarantina di chilometri dal Cairo dove è sempre vissuto suo padre. La televisione di Stato egiziana ha faticato per convincerlo ad accettare l’invito per una ricorrenza storico così importante per il Medioriente: il primo segnale di pace dopo trent’anni di guerra sanguinosa tra gli arabi e Israele. Ma quella di Gamal non è una cronaca storica: è la memoria di un pezzo di vita. Il ricordo del padre e di una sala da pranzo, dove da giovane ha pranzato con la sua famiglia e i leader israeliani.
Gamal si ritrae dalle interviste. È tornato in patria per stare con la sua famiglia, i suoi ricordi, le sue radici. Quello che in America gli mancava. Tornato in patria, qualcuno gli ha chiesto di scendere in campo, darsi alla politica, magari entrare in Parlamento. Ma quel passo per lui sarebbe un segnale troppo forte. L’Egitto è in cerca di una nuova guida, oggi che il rais Hosni Mubarak è al tramonto . Non ha ancora indicato un successore. Si mormora (ma non è confermato) che abbia in mente un altro Gamal, il suo primogenito. Due Gamal (è il nome di Nasser, padre della rivoluzione) per una poltrona sono troppi. Non accadrà: la seconda generazione non ricalcherà le orme dei padri. Il giovane Sadat ha scelto la famiglia. Della sua giovinezza ricorda le faticose tappe d’avvicinamento verso Camp David. «Per mio padre la vera guerra non è stata quella militare, ma quella diplomatica, per fare la pace e ottenere una parte del Sinai», racconta Gamal. A guidare Israele c’era Menachem Begin, «un uomo difficile, duro», ricorda. «Magari perdo un occhio, ma non cedo neanche un pezzo di terra», ripeteva Begin nei lunghi mesi di contatti diplomatici. Voleva la pace, ma senza concedere il Sinai. «Non posso regalare la pace gratis», rispondeva Sadat. Ma non si perdeva d’animo. «Per fare la pace posso andare anche alla fine del mondo, persino alla Knesset», disse un giorno Sadat in un famoso discorso del ’77. Il giorno dopo arrivò l’invito del Parlamento israeliano a intervenire nell’Aula. «Volevano fare una provocazione: pensavano che mio padre non avrebbe mai accettato – racconta Gamal – Non lo conoscevano bene. Mia madre lo implorò di non partire. Tutti noi cercammo di convincerlo a restare a casa. Ma lui andò». Fu un evento storico. In quel discorso parlò anche ai siriani e ai palestinesi: voleva la pace anche per loro. Ma alla fine si ritrovò solo: anche gli arabi lo abbandonarono. «Non erano ancora pronti per la pace», commenta oggi il figlio del presidente. Nella memoria di una gioventù quasi leggendaria, Gamal ha impressi due eventi. Due pranzi con i leader israeliani. Il primo era ufficiale, si tenne a Ismailia, sul canale di Suez: da una parte della tavola Sadat e Mubarak, allora suo vice. Dall’altra Begin e Israa Weitzman. Fu in quell’occasione che Begin chiese a Sadat di conoscere la sua famiglia, in modo informale, senza troppi fronzoli. Fu così che si organizzò il secondo pranzo, stavolta privatissimo. Si tenne nella casa della sua famiglia, a Shibin, dove vivevano nonni, cugini, nipoti. Begin aveva espresso il desiderio di provare un menù tipico egiziano. Ai fornelli si misero le donne della famiglia Sadat: la sorella e le figlie del presidente. I fratelli, i nipoti, la moglie, erano tutti a tavola.
«Mia zia era bravissima a cucinare - racconta Gamal – Begin aveva chiesto la molukeja (una minestra tradizionale egiziana), di cui aveva sentito molto parlare. Mia zia la preparò con il coniglio. A quella tavola c’eravamo tutti: io avevo 20 anni. Parlavamo in inglese. Ricordo che la moglie di Begin si informò sulle origini di mia madre, che è figlia di una donna inglese e ha gli occhi chiari». Impressiona oggi l’atmosfera familiare: nessuna formalità. Non si vedevano neanche militari: una visita in famiglia, come se si trattasse di amici di campagna nel cuore dell’Egitto. Anche se - ricorda Gamal - prima dell’arrivo della delegazione israeliana la zona fui completamente circondata da forze di sicurezza. Seguì un periodo di contatti frenetici, duri, stressanti. Dopo un anno arrivò l’invito di Jimmy Carter. «Io stavo studiando in America e ricevetti la telefonata di mio padre – ricorda Gamal – Pensavo che venisse per una visita, ma lui mi spiegò che stava per incontrare gli israeliani per fare la pace. Gli risposi che erano già anni che provavano, ma non si era trovata ancora nessuna soluzione. All’inizio del vertice nessuno credeva che si sarebbe arrivati a qualche risultato». Lo scoglio più grande erano i coloni: non volevano lasciare la terra. E Begin non voleva esporsi. «Carter passava da una stanza all’altra - ricorda Gamal - tentando sempre nuove soluzioni». Gli israeliani non vogliono perdere i tre aeroporti che hanno nel Sinai - disse a un certo punto il presidente americano - Possiamo costruirli noi in Israele». Ma si era allo stallo: restava lo scoglio dei coloni. «A quel punto mio padre aveva già preparato la valigia - ricorda Gamal – Mi disse che il presidente Carter era pronto a dichiarare il fallimento della trattativa». Lasciò Camp David e si diresse verso l’aeroporto. Lungo il tragitto arrivò la telefonata di Carter. «Gli disse. torna indietro. Da Israele è già arrivato il sì». La macchina fece inversione. A sbloccare la situazione sul fronte israeliano era stato uno dei ministri molto vicino a Begin. «Comunque vadano le cose sarai tu responsabile del risultato – gli disse – Se fai la pace sarai colpevole di aver cacciato i coloni, se non la fai sarai colpevole di aver perso un’occasione con il più grande Paese arabo. L’unica soluzione è mettere il pallone nel campo della Knesset. Fa decidere loro e tu sarai salvo». Pace con il Paese più grande del mondo arabo, in cambio del resto del Sinai rimasto in mani israeliane dopo la guerra del Kippur. Fu questo lo scambio chiesto al Parlamento.
Fu la fine della guerra e della vita di Sadat. Tutti i Paesi arabi ritirarono le loro rappresentanze diplomatiche in Egitto. E i fondamentalisti interni prepararono la vendetta. Fino a quel giorno del 1981 in cui il presidente fu ucciso. Di quel terribile 6 ottobre, la festa delle forze armate in Egitto, Gamal ricorda l’ultima telefonata del padre, alle 8 di mattina. «Gli chiesi di indossare un corpetto antiproiettile. Ma lui si rifiutò. “Poi si vede sotto la divisa”, rispose un po’ scherzando. Lui mi chiese se stavo bene e quando sarei tornato a casa. Lui prendeva tutto con leggerezza. Sembrava tutto normale». Eppure non era così. Quello stesso giorno , tre ore dopo, fu la madre a chiamare Gamal. Era sconvolta. «Tuo padre è ferito. È molto grave. Torna», gli disse. «Presi il Concord, portai con me un’equipe medica con esperti egiziani e americani. Quando arrivai all’ospedale del Cairo ho incontrato per primo Mubarak. Cercò di calmarmi. “Tutti muoiono prima o poi”, mi disse. Ma io non capivo, o non volevo. Finché non ho visto mia madre e le mie sorelle, la loro disperazione». Dopo quel giorno, era troppo duro restare in Egitto: i ricordi lo sovrastavano. «Sono andato in America, ma alla fine le tue origini sono più forti. Così sono tornato a Shibin, dove trent’anni fa ho pranzato con gli israeliani».

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