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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
31.07.2009 Tel Aviv 1972, a sparare sono tre giapponesi. Da allora Israele non si affida più al 'profilo'
I controlli anti terrorismo negli aeroporti

Testata: Corriere della Sera
Data: 31 luglio 2009
Pagina: 11
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Tel Aviv 1972, a sparare sono tre giapponesi. Da allora Israele non si affida più al 'profilo'»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 31/07/2009, a pag. 11, l'articolo di Davide Frattini dal titolo " Tel Aviv 1972, a sparare sono tre giapponesi. Da allora Israele non si affida più al 'profilo' ".

 L'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv

GERUSALEMME — I terroristi indossano abiti grigi, tengono strette le custodie per i violini. Le guardie all’aereoporto israeliano di Lod sono state addestrate a prevenire un attacco palestinese, la mi­naccia arriva dal Fronte di liberazione o dagli uomi­ni di Yasser Arafat. Le occhiate degli agenti scanda­gliano i passeggeri arabi.
Il 30 maggio 1972 la minaccia arriva da tre giap­ponesi, atterrati da Parigi e addestrati a Balbek, in Libano. Kozo Okamoto, Tsuyoshi Okudaira e Yasuyuki Yasuda entrano nella sala d’aspetto senza che nessuno li fermi per un controllo, dagli astucci tirano fuori tre fucili mitragliatori Vz 58 (fabbrica­zione cecoslovacca) e iniziano a sparare: ventiquat­tro morti, settantotto feriti.
La lezione del massacro di Lod (e la facilità con cui si è mosso il commando dell’Armata Rossa Giapponese) è stata studiata dai servizi segreti isra­eliani. E applicata quattordici anni dopo, quando una giovane irlandese, incinta, sta per prendere il volo da Londra a Tel Aviv. Anche lei (come i tre «violinisti») non dovrebbe richiamare l’attenzione, non fa parte dei gruppi etnici considerati «pericolo­si ». Eppure porta nella valigia una bomba al plasti­co con timer: non lo sa, l’esplosivo è stato nascosto dal fidanzato palestinese. Il viaggio (sta andando a trovare i parenti di lui) e le risposte all’interrogato­rio creano sospetti. La borsa viene ricontrollata, aveva già superato la macchina a raggi X. Da allora, la frase «chi ha preparato i bagagli?» viene ripetuta migliaia di volte ogni giorno a migliaia di passegge­ri che si preparano a imbarcarsi sui voli dell’El Al, la compagnia di bandiera dello Stato ebraico.
Gli israeliani ripetono che il loro obiettivo è indi­viduare
«prima il bombarolo e poi la bomba». Ana­lisi dei comportamenti, studio delle intenzioni, un manuale che gli uomini e le donne della sicurezza seguono passo per passo, domanda dopo doman­da. «Quali sono le ragioni del viaggio?», «Chi cono­sce in Israele?», «Ha amici nei Paesi arabi?». Anche se lo Shin Bet, il servizio segreto interno, nega di applicare i profili razziali negli aereoporti, un vec­chio visto per la Siria o un timbro di frontiera egi­ziano possono trasformare il colloquio di dieci mi­nuti in un lungo interrogatorio. Un anno fa, Mena­chem Mazuz, il procuratore generale dello Stato, è dovuto intervenire per ridurre le discriminazioni al­l’aereoporto Ben Gurion, soprattutto verso gli ara­bi israeliani. Le etichette per i controlli avevano co­lori diversi che servivano a identificare e dividere i passeggeri per gruppi etnici. «Sarebbe stupido e po­co efficace concentrarsi solo sugli arabi — com­menta Rafi Ron, che ha diretto la sicurezza a Ben Gurion fino al 2001 —. Rischiamo di trascurare quello che i terroristi hanno già capito: l’uso di at­tentatori non mediorientali». Prima di riuscire a sa­lire sul Parigi-Miami del 22 dicembre 2001 — nien­te bagagli, l’esplosivo nascosto nelle scarpe —, Ri­chard Reid (nato a Londra, madre inglese e padre giamaicano) aveva viaggiato con El Al l’estate pri­ma. Il suo comportamento aveva insospettito gli israeliani che lo avevano imbarcato con una guar­dia personale, uno «sceriffo dei cieli», seduto nel posto a fianco.
Dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, gli esperti israeliani — passati al business privato — sono diventati tra i consulenti più richiesti. Alcune delle tecniche non supererebbero il test dei diritti costituzionali americani e sarebbero difficili da in­trodurre in Europa. «Non siamo contrari all’idea del
profiling — ha scritto l’ Economist — quello che ci preoccupa sono le sue applicazioni. È giusto individuare i passeggeri che si comportano in mo­do strano o che presentano una situazione molto diversa dalla norma. Ma non può diventare una scusa per interrogare persone di specifici gruppi et­nici ».

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