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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
31.07.2009 Iran: migliaia al cimitero per commemorare i manifestanti morti
Riprende la repressione del regime: manganelli, lacrimogeni, arresti

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Cecilia Zecchinelli - La redazione del Foglio
Titolo: «Migliaia al cimitero Scontri e arresti sulla tomba di Neda - Lotta di potere tra Pasdaran e Guida Suprema - Una martire modernissima»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 31/07/2009, a pag. 15, due articoli di Cecilia Zecchinelli, titolati " Migliaia al cimitero. Scontri e arresti sulla tomba di Neda  " e " Lotta di potere tra Pasdaran e Guida Suprema ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Una martire modernissima ".
Eco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Migliaia al cimitero. Scontri e arresti sulla tomba di Neda  "

 Manifestazione per gli assassinati dal regimeNeda Soltan, appena uccisa

Nel giorno di Neda sono arri­vati in migliaia ieri al cimitero di Behesht-e Zahra di Teheran per piangerla. A quaranta gior­ni dalla morte della studentes­sa 26enne — uccisa da un pro­iettile delle milizie basiji — la cerimonia prevista dal rito isla­mico era un appuntamento re­ligioso per molti. Politico per tutti. E l’ultimo addio alla ra­gazza simbolo della resistenza, sepolta accanto ad altre vitti­me delle rivolte, si è trasforma­to in una nuova battaglia. Lacri­mogeni, manganelli, arresti tra cui quello del regista Jafar Pa­nahi. Era dal 9 luglio che Tehe­ran non vedeva una tale violen­za.
L’arrivo del leader dell’oppo­sizione Mir-Hossein Moussavi è stato accolto con canti di so­stegno, mani con il simbolo della vittoria, slogan contro il presidente. «Neda è viva, Ah­madinejad è morto», qualcuno cantava. Ma il riformista che continua a dichiararsi vincito­re delle presidenziali è stato co­stretto dalla polizia ad andarse­ne. Ha avuto solo il tempo di camminare fino alla tomba di Neda, senza potervi recitare il Corano. Mehdi Karroubi, un al­tro ex candidato sconfitto, dal cimitero è riuscito almeno a protestare per «l’intervento della polizia contro chi sta piangendo la morte di persone care». La madre di Neda Agha Soltan ha ricordato la figlia: «Era giovane e appassionata di libertà», ha detto.
Gli incidenti sono poi prose­guiti in altri punti della capita­le. Migliaia di persone hanno sfidato i divieti e sono conflui­te in vari cortei verso la Gran­de Mosala, uno spiazzo nel cen­tro di Teheran riservato alla preghiera. Tra i colpi di clac­son di approvazione degli auto­mobilisti, la polizia ha caricato la folla compiendo nuovi arre­sti. I manifestanti hanno dato alle fiamme cassonetti. Notizie non confermate parlano di nu­merosi
feriti. La tensione che sembrava es­sersi allentata martedì è così tornata alta. Tre giorni fa la Guida Suprema aveva annun­ciato la chiusura del maggior campo di detenzione della capi­tale e l’imminente rilascio di 140 prigionieri. Segnali cre­scenti di spaccatura del fronte conservatore, e di dissenso tra Khamenei e Ahmadinejad, ave­vano fatto sperare in un atte­nuarsi della repressione. Ma non molto è cambiato: mentre resta un mistero il numero dei morti (tra i 30 e i 150), i prigio­nieri e i desaparecidos sono certo più numerosi dei 250 di­chiarati ieri dalle autorità. Tra loro rimangono alcuni nomi eccellenti, intellettuali e capi storici del fronte moderato. Co­me Saeed Hajjarian, costretto su una sedia a rotelle, trasferi­to ieri dal carcere a una «casa statale» dei Pasdaran. O come il regista Maziar Bahari e l’eco­nomista Sayyd Laylaz. O il reli­gioso Mohammad Ali Abtahi, vice-presidente ai tempi di Khatami. Di loro non si sa nien­te da settimane.
«Vedere agenti di sicurezza usare la forza per impedire una veglia funebre è particolar­mente inquietante», ha dichia­rato ieri il portavoce del Dipar­timento di Stato Usa, aggiun­gendo di essere «a fianco del popolo iraniano». Tra i Paesi europei sono in corso consulta­zioni per decidere se e come partecipare alle due cerimonie di investitura di Ahmadinejad di settimana prossima. «Deci­sione a cui l’Italia — ha detto la Farnesina - si atterrà rigoro­samente ». L’Europarlamento, alla riapertura di settembre, sa­rà chiamato con una decisione bipartisan dei deputati italiani a «porre in atto ogni possibile iniziativa a difesa dei diritti del popolo iraniano, oggi negati dal suo governo», ha detto ieri il ministro per le politiche co­munitarie Andrea Ronchi.

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Lotta di potere tra Pasdaran e Guida Suprema "

 Ahmadinejad e Khamenei

Per molti in Europa, e ancor più in Usa e Israele, il problema dell’Iran è la sua leadership religiosa. I «mullah con la bomba», i «turbanti anti-democrazia e anti-sionisti» che dal 1979 governano la Repubblica Islamica. Ma quello che sta succedendo a Teheran dice ormai una storia diversa: «Il nostro Paese è sempre più militarizzato, c’è il rischio di una tirannia», ha avvertito qualche giorno fa Mir Hossein Moussavi, leader dell’opposizione. E qualcuno già parla di colpo di Stato ad opera dei Pasdaran. L’esercito parallelo, ben più importante di quello regolare, fu creato trenta anni fa dall’Imam Khomeini per proteggere la Repubblica Islamica. Oggi, è la sensazione diffusa, sta prendendone il posto.
«Il fronte conservatore è spaccato, non c’è dubbio — dice da Teheran un analista iraniano che non vuole essere citato —. Negli ultimi giorni si è visto l’aperto contrasto tra Ahmadinejad e Khamenei, dopo che il presidente aveva licenziato il capo dell’intelligence e promosso a vicepresidente un suo parente, nonostante la netta opposizione della Guida Suprema». Non solo: la ferocia nella repressione delle proteste e nelle carceri, come le confessioni in tv strappate con le torture ai «nemici della rivoluzione», hanno portato una maggioranza di deputati (oltre 210 su 290, quasi tutti conservatori) a mettere in guardia Ahmadinejad che attende a giorni la ratifica del Parlamento alla sua nomina.
«La loro paura — spiega l’analista di Teheran — è che tali eccessi compromettano l’intero sistema, che gli iraniani e la comunità internazionale decidano di mettervi fine.
Senza dimenticare l’inedita condanna dei vertici religiosi».
Sui nove Grandi Ayatollah residenti oggi in Iran, solo due hanno approvato la nomina di Ahmadinejad. Gli altri (e non
solo i noti «dissidenti» Montazeri e Sanei) hanno condannato gli eventi post-voto. Qualcuno ha ora dichiarato di volersi spostare nella città santa irachena di Najaf: un’umiliante dichiarazione di sfiducia per Khamenei.
La Guida Suprema, per anni attento arbitro super partes, dal 12 giugno si è apertamente schierato con Ahmadinejad, poi ha difeso la repressione. «Così facendo si è delegittimato, è stato un errore», sostiene la politologa Farideh Farhi, che insegna in Usa. E i recenti tentativi di Khamenei di limitare gli eccessi dei «duri» sembrano arrivati troppo tardi: senza riconquistare la fiducia degli iraniani, i contrasti con Ahmadinejad fanno pensare che il presidente punti a prendere il sopravvento sul suo (ex?) protettore.
Non subito e non da solo, certo. Perché se nella lotta al vertice i Pasdaran compaiono poco, sono loro oggi a prevalere, appoggiati dal presidente. «In realtà non stiamo assistendo a un colpo di Stato ma alla fase finale della conquista del potere dei Guardiani, l’anteprima di un regime ben più spietato», dice Frederic Tellier, dell’International Crisis Group. Dalla fine degli anni ’80 i Pasdaran controllano immensi capitali: porti, aeroporti, petrolio, traffici leciti e non. La vittoria di Ahmadinejad nel 2005 ha segnato la svolta, l’entrata massiccia al governo e in parlamento, il potenziamento delle attività militari in Iraq e in Libano. E un semi-monopolio economico: l’economista Sayd Laylaz (ora in carcere) stimava recentemente a quasi il 60% il loro controllo sul Pil.
«A differenza del clero, dei riformisti e di molti conservatori, i Pasdaran non sono ideologici. A loro importa solo il potere —, aggiunge l’analista da Teheran —. Per ora i conservatori sono gli uni contro gli altri ma devono restare uniti per non soccombere. La fine del sistema è però inevitabile, è solo questione di tempo». Chi e cosa verrà dopo è difficile da prevedere.

Il FOGLIO - " Una martire modernissima "

 Neda Soltan

Neda Soltan è il martirio e la modernità. Il martirio simbolizzato dalla sua maschera mortuaria che ha fatto il giro del mondo. La modernità del volto sereno senza chador, con la camicetta aperta, da cui si intravede una croce, forse cristiana. Neda lavorava in un’agenzia di viaggio, non era nessuno prima della morte. Ora è tutto. E’ il pegno di libertà del mostruoso regime degli ayatollah. Ieri sono trascorsi i quaranta giorni dalla sua uccisione durante le manifestazioni di piazza contro il regime islamico. Quaranta giorni di lutto fondamentali nella tradizione sciita. Neda è l’altro volto dell’Iran, un volto migliore di quello brutale, fanatizzato e violento di Mohammed Alirezaei, il nuotatore di Teheran che due giorni fa ha boicottato i cento metri rana ai mondiali di nuoto di Roma perché si sarebbe trovato in acqua con un israeliano. La polizia iraniana ieri ha picchiato pesante con bastoni, manganelli e cinture sulle persone che si erano raccolte nel cimitero dove è sepolta Neda. Nei giorni scorsi il regime ha anche strappato poster della ragazza da numerose strade della capitale. I mullah sono ossessionati da quegli occhi aperti in punto di morte. Neda è un’icona molto occidentale, anche per questo fa paura ai custodi del khomeinismo. Neda non ha i lineamenti tragici della “madonna di Bentalha”, il simbolo della popolazione algerina massacrata dagli islamisti. Neda non aveva occhi misteriosi e lontani come quelli di Sharbat Gula, la ragazza afghana immortalata da National Geographic. Neda indossava jeans e chador, l’uniforme delle ragazze iraniane che, come lei, hanno pagato un prezzo di sangue altissimo per le proteste contro il regime. Neda aveva ventisei anni, come il 60 per cento della popolazione iraniana. Era una moderna ragazza qualunque. Non sappiamo come finirà la rivolta, forse il regime ne uscirà addirittura rafforzato a seguito delle faide interne alla cricca di potere. Forse il secondo mandato di Ahmadinejad mostrerà un volto ancora più ferino del primo. Quel che è certo è che gli occhi aperti di Neda, in punto di morte, non daranno mai pace agli eredi di Khomeini. Non sono riusciti a chiuderli.

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