Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Processo a porte chiuse agli assassini antisemiti di Ilan Halimi per non offendere la comunità islamica E un'opinione su Pio XII. Due articoli di Giorgio Israel
Testata:Libero - Il Foglio Autore: Giorgio Israel Titolo: «Seviziano un ebreo. Processo a porte chiuse per ossequio all’islam - Perché Pio XII fu il resistente filogiudaico di una chiesa antisemita»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 11/06/2009, a pag. 18, l'articolo di Giorgio Israel dal titolo " Seviziano un ebreo. Processo a porte chiuse per ossequio all’islam " sul processo agli assassini di Ilan Halimi, giovane torturato ed ucciso perchè era ebreo, e dal FOGLIO, a pag. 4, l'articolo dal titolo " Perché Pio XII fu il resistente filogiudaico di una chiesa antisemita " sempre di Giorgio Israel. Ecco gli articoli:
LIBERO - Giorgio Israel : " Seviziano un ebreo. Processo a porte chiuse per ossequio all’islam "
Ilan Halimi
Il 20 gennaio 2006 il giovane ebreo francese di origine marocchina Ilan Halimi fu attirato da una attraente ragazza in un appartamento della banlieue parigina. Qui fu sequestrato da una banda di giovani musulmani che pretendevano un riscatto da un ebreo che non poteva non essere ricco. Sorpresa: la famiglia era nullatenente. Per 24 giorni il prigioniero legato e incartato come una mummia fu nutrito con una cannuccia inserita in un taglio praticato nello scotch che lo imbavagliava. Era costretto a urinare in una bottiglia e defecare in una busta di plastica e i suoi guardiani lo picchiavano pure perché si schifavano. Alla famiglia inviavano foto in cui era simulata una sodomizzazione con un manico di scopa e il volto era sfregiato con un coltello. I carnefici, raccontarono poi i testimoni, si divertivano anche a telefonare alla famiglia del ragazzo, per far ascoltare ai genitori le sue grida di dolore mentre lo seviziavano e leggevano a voce alta i versetti del Corano. Al termine di 24 giorni di botte e torture il capo della banda, Youssouf Fofana, lo sgozzò tagliandogli la carotide e devastandolo di pugnalate. Infine, la banda cosparse il corpo di benzina dandogli fuoco. Il cadavere carbonizzato e privo di un orecchio e di un alluce fu gettato vicino a una ferrovia. Per troppo tempo le indagini si orientarono verso ogni interpretazione salvo la tragica verità: un bestiale delitto antisemita avvenuto in un clima di scandalosa complicità. Per 24 giorni in troppi fecero finta di non sentire le urla atroci del disgraziato. Fu anche per merito dell’allora ministro degli Interni Sarkozy se alfine si ammise, con riluttanza suggerita dal timore di irritare le comunità musulmane, la vera natura del delitto. Da poco è iniziato il processo e si è deciso di tenerlo a porte chiuse, con la motivazione che due dei 27 implicati erano all’epoca minorenni, come se non fosse stato possibile dividere il procedimento in due parti. E così, un processo che doveva rappresentata la drammatica realtà di un bestiale antisemitismo è finito nella clandestinità. Quel che accade in aula è raccontato anonimamente da alcuni di coloro che vi sono ammessi. Si viene a sapere che Fofana, il capo, è entrato in aula gridando «Allah vincerà»; che quando gli hanno chiesto la data di nascita ha risposto «13 febbraio 2006 a Sainte-Geneviève-des-Bois», il luogo e data del ritrovamento del cadavere di Halimi; che ha dato come proprio nome «Rivolta africana barbara armata salafista»; che lui e i suoi complici non si trattengono dall’esibire il loro odio per gli ebrei. Si è saputo che ha minacciato i giurati dicendo che le loro foto erano in mano a chi sarebbe venuto a prenderli a casa, e che il giudice si è rifiutato di censurarlo per tali minacce, provocando l’uscita sdegnata dei familiari. Filtrano altri raccapriccianti dettagli sotto forma di indiscrezioni, anziché essere esibiti pubblicamente per mostrare la volontà del paese che ha dato la libertà agli ebrei e ha avuto il caso Dreyfus di esecrare pubblicamente il delitto razzista. Comunque in Francia se ne parla, anche se a bassa voce per non irritare le comunità islamiche, come se non fosse questa l’occasione di chiedere ai suoi esponenti una condanna senza riserve e ad alta voce. In Europa e in Italia quasi nessuno ne parla. Eppure la vicenda di Ilan Halimi è l’immagine inquietante di Eurabia. La solita intellettualità radical-chic e “progressista”, pronta a brandire ad ogni pié sospinto la Shoah e lo sterminio degli ebrei come paradigma dei più efferati delitti, non dice una parola di questo delitto antisemita. Si deprecano il razzismo e la xenofobia dilaganti, le leggi predisposte dal governo italiano sull’immigrazione vengono paragonate alle leggi razziali fasciste, i barconi di clandestini evocano gli ebrei in fuga dalle camere a gas, Gheddafi viene contestato non perché è un crudele dittatore (e perché ha cacciato gli ebrei dalla Libia), ma perché ha fatto un accordo col ministro “fascista” Maroni. Ci si stracciano le vesti per l’antisemitismo che colpì gli ebrei morti ma quando l’antisemitismo colpisce gli ebrei vivi ci si gira dall’altra parte. Faccio una promessa. Se verrò invitato a una delle ormai insopportabilmente ritualistiche commemorazioni della Shoah, vi andrò per parlare soltanto di Ilan Halimi e delle altre vittime dell’antisemitismo di oggi. Di conseguenza resterò a casa
Il FOGLIO - Giorgio Israel : " Perché Pio XII fu il resistente filogiudaico di una chiesa antisemita "
Immagini di Pio XII a Yad Vashem, il memoriale della Shoah, a Gerusalemme
Quattro anni fa esplose un’accesa polemica attorno alla scoperta di un documento emanato dalla Santa Sede che invitava le istituzioni cattoliche a sottrarre i “bambini giudei” rifugiati presso istituzioni e famiglie cattoliche nel periodo dell’occupazione nazista. Riemergeva in questa polemica la vecchia contrapposizione tra l’immagine del Papa “buono” Giovanni XXIII – che, in qualità di Nunzio a Parigi, avrebbe disatteso queste disposizioni – e il Papa “cattivo” Pio XII di cui questo documento anneriva ulteriormente l’immagine di acquiescenza ai crimini del nazismo messa in circolazione fin dal 1963 con il dramma “Il Vicario” di Rolf Hochhuth. Non intendo qui ritornare sulle vicende di questa polemica che si concluse con un sostanziale boomerang, poiché alla fine emerse un’immagine assai meno limpida del Papa “buono” proprio per quel che riguardava i rapporti con il nazismo. Scorrendo gli interventi di allora colpisce soprattutto il fatto che i tentativi di affrontare una discussione anche aspra e difficile ma nei termini razionali dell’analisi storica, e fuori dagli slogan e dalle omissioni tendenziose, non abbiano avuto successo. Ne è testimonianza il modo ancor oggi esagitato ed emotivo con cui si discute della figura di Pio XII e degli eventi di quegli anni. Eppure la distanza di più di mezzo secolo dovrebbe rendere possibile una discussione razionale. Tanto più opportuna appare la pubblicazione di un libro curato da Giovanni Maria Vian – “In difesa di Pio XII”, dal significativo sottotitolo “Le ragioni della storia”, edito da Marsilio – che raccoglie saggi di Paolo Mieli, Andrea Riccardi, Rino Fisichella, Gianfranco Ravasi, Tarcisio Bertone e alcune osservazioni conclusive di Benedetto XVI. Esso contiene una testimonianza inedita di mio padre Saul che rappresenta per me l’esempio di come si possa conciliare il rispetto della verità – nella fattispecie, una rigorosa critica di tutte le manifestazioni di antisemitismo e antigiudaismo cristiano – con una capacità non comune di stabilire un rapporto profondo con il mondo cristiano, anche con un afflato emotivo che appare evidente in questa testimonianza: un equilibrio difficile che certamente contribuì a complicare la sua esistenza già tormentata dalle leggi razziali e dalla distruzione di gran parte della famiglia. Resto fermamente convinto che un esame attento e spassionato degli eventi degli anni Trenta e Quaranta non possa non condurre a una constatazione: e cioè che, tanto è evidente che la chiesa e il mondo cattolico erano ancora intrisi di forme di antigiudaismo talora anche virulente, le quali condussero a giustificare le leggi razziali del fascismo, tanto è evidente che non soltanto non vi fu alcuna complicità o acquiescenza nei confronti delle persecuzioni hitleriane ma anzi uno sforzo evidente e consistente di salvare un gran numero di ebrei. Per quanto riguarda il primo aspetto, negare la realtà è controproducente: rischia di riattizzare inutilmente vecchi risentimenti e persino di oscurare la portata degli enormi passi in avanti che sono stati fatti in mezzo secolo. E come poteva non esservi ancora un diffuso clima di antigiudaismo, dopo secoli e secoli di “disprezzo, di ostilità e di persecuzione contro gli ebrei in quanto ebrei”, per dirla con le parole del documento della Pontificia Commissione Biblica del 2001 su “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture”, opera principalmente del cardinale Ratzinger? Nel 1938, dopo aver prodotto per decenni una trista letteratura antisemita, la Civiltà Cattolica lodava il “Manifesto degli Scienziati razzisti” proprio per la sua impostazione di razzismo biologistico. Né si possono dimenticare le numerose pesanti sparate antisemite di Agostino Gemelli che si augurava la morte di tutti i giudei come una liberazione per il mondo. In questo clima ancora inquinato da antichi astii, la posizione del Papato fu già da allora orientata in un senso positivo, anche se prevalse la linea di contrapposizione al razzismo di stampo germanico ma di acquiescenza alle leggi razziali fasciste, soprattutto per quella parte di legislazione che riguardava i matrimoni misti. Difatti, le posizioni assunte dal Papa Pio XI andarono contro le correnti antisemite e ne furono di netta condanna. Una delle accuse circolanti contro il suo successore Pio XII è stata, ed è, quella di aver attenuato o addirittura oscurato tale linea. Ma, come mostra con diversi esempi Paolo Mieli nel saggio pubblicato in questo libro, le cose non stanno così. Egli cita diversi interventi significativi al riguardo. Si può discutere quanto si vuole circa la prudenza di Pio XII e contestare la scelta di agire in modo discreto piuttosto che pronunziare condanne veementi: è una discussione storiografica legittima ma che verte su questioni di opportunità e non ha come ragionevole esito la condanna del Papa come complice del nazismo. Del resto, il soccorso prestato agli ebrei, di cui fu salvato un numero molto elevato, non fu certamente opera isolata di sacerdoti e conventi, all’insaputa del Papa . Questa trovata è forse tra le più assurde e inaccettabili. Posso portare al riguardo la stessa testimonianza raccolta da mio padre: non era certo possibile che tanti ebrei fossero ospiti di una basilica come San Giovanni in Laterano, in un via vai di partigiani cattolici che entravano e uscivano per azioni di resistenza, senza che il Papa ne sapesse nulla. Mio padre fu affidato alle cure di quel monsignor Pietro Palazzini che sarebbe divenuto cardinale e poi nominato Giusto di Israele. E’ ancora Mieli a ricordare le numerose e commosse testimonianze e riconoscimenti di autorità ebraiche, religiose e non, e di esponenti israeliani dell’opera prestata dalla chiesa e personalmente da Pio XII. La testimonianza forse più significativa in tal senso fu quella del procuratore generale di stato al processo Eichmann, Gideon Hausner. Ha quindi ben ragione Mieli a dire che il formarsi di un senso comune per cui Pio XII è visto addirittura come un complice di Hitler è “una cosa pazzesca”. In realtà, sia Vian che Mieli hanno il merito di mettere il dito senza complimenti sulla vera causa di uno stravolgimento che impedisce di vedere la realtà storica in modo giusto ed equilibrato: dietro la contrapposizione di comodo tra il Papa “buono” e il Papa “cattivo” sta una contrapposizione politica che ha finito con l’attraversare il mondo cattolico nella deliberata intenzione di trascinarlo “a sinistra”. Per fare di Giovanni XXIII e del concilio il simbolo di una nuova chiesa progressista che guardava politicamente a sinistra occorreva creare il mito di una chiesa precedente non soltanto retriva e reazionaria, e neppure soltanto percorsa da elementi di antigiudaismo, bensì di una chiesa fascista, anzi addirittura nazista e complice di Hitler e del suo programma di sterminio degli ebrei. Così Pio XII diventa addirittura “Hitler’s Pope”, secondo il titolo del libro di John Cornwell. Certo, Pio XII è stato un fervente anticomunista e forse proprio questo aspetto della sua figura dovrebbe essere rivalutato. In tal senso, egli vide meglio e sbagliò assai meno di tanti contemporanei e di molti di noi. Ma proprio questa è la colpa che per molti la sua memoria deve pagare, e allo scopo si è gettata su di lui la maschera più infamante: quella del criptonazista complice della Shoah. Come scrisse Alain Finkielkraut, “dopo Hitler, ogni infame è un fascista, e ogni vittima un portatore di stella gialla”. Vediamo all’opera questo genere di operazione in questi tempi: chiunque, dagli insegnanti in lotta ai “difensori della democrazia”, voglia accreditarsi si cuce sul petto una stella gialla; chiunque voglia delegittimare l’avversario politico lo qualifica come fascista. Del resto, abbiamo avuto un esempio recentissimo delle acrobatiche contrapposizioni tra papi “buoni” (democratici, progressisti) e papi “cattivi” (reazionari, fascisti). E’ stato quando si è contrapposta la figura di Giovanni XXIII, lodato per aver mantenuto la preghiera del venerdì santo per la conversione dei “giudei”, limitandosi a sopprimere l’aggettivo “perfidi”, e l’attuale Papa , condannato per averla ulteriormente trasformata in una generica preghiera di “salvezza”.
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