Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Tutti d'accordo: il futuro governo libanese sarà di unità nazionale Interviste a Saad Hariri di Lorenzo Cremonesi, a Walid Jumblatt di Umberto De Giovannangeli, a Hezbollah di Michele Giorgio
Testata:Corriere della Sera - L'Unità - Il Manifesto Autore: Lorenzo Cremonesi - Umberto De Giovannangeli - Michele Giorgio Titolo: «Hariri: 'Pronto a fare il premier ma niente violenze di Hezbollah' - Il Libano ora sappia darsi un governo di unità nazionale - La nostra lotta per il Libano unito»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/06/2009, a pag. 21, l'intervista di Lorenzo Cremonesi a Saad Hariri dal titolo " Hariri: «Pronto a fare il premier ma niente violenze di Hezbollah» ". Dall'UNITA', a pag. 30, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Walid Jumblatt, leader druso, dal titolo " Il Libano ora sappia darsi un governo di unità nazionale ". Dal MANIFESTO, a pag. 8, l'intervista di Michele Giorgio ad Ali Doghmush, esponente di Hezbollah, dal titolo " La nostra lotta per il Libano unito ". L'opinione di IC è ben espressa dall'analisi di Fiamma Nirenstein pubblicata dal GIORNALE e ripresa nella rassegna stampa di ieri di IC. Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : " Hariri: «Pronto a fare il premier ma niente violenze di Hezbollah» "
Il "filo occidentale " Saad Hariri
BEIRUT — È davvero pronto a turarsi il naso e in nome della pacificazione libanese creare un governo di unità nazionale con Hezbollah, il «Partito di Dio» sciita tra i cui ranghi potrebbero militare gli assassini di suo padre? Saad Hariri tira un lungo sospiro prima di parlare. Lo sa bene che questa è la domanda più delicata, allo stesso tempo al cuore della politica del Libano e più drammaticamente personale. Poi risponde. E lo fa con voce pacata, misurata, soppesando bene le parole. «L’unità e la stabilità del Paese prima di tutto. Esiste un tribunale internazionale che sta investigando sulla morte di mio padre, Rafiq Hariri, avvenuta quattro anni fa. Ecco perché non ho obbiettato poche settimane fa al rilascio di quattro generali sospettati. Quando arriverà il verdetto agirò di conseguenza. Non voglio anticiparlo. E alla fine chiunque sarà incriminato non dovrà vedersela solo con me, ma con tutta la comunità internazionale. Prima che venisse istituito quel tribunale noi avevamo puntato il dito contro la Siria. Ma poi abbiamo deciso di attendere. E' stato difficile restare in silenzio. Ho sacrificato tantissimo in questi quattro anni e non lascerò che un articolo sui media o una diceria diffusa ad arte di tanto in tanto possano politicizzare i lavori del tribunale e la ricerca della verità». È il momento più difficile di questa intervista rilasciata nel suo studio ad Hamra, nel cuore di Beirut, meno di 48 ore dopo la chiusura dei seggi. Solo un paio di anni fa avrebbe risposto in modo molto più impulsivo. Ma Saad Hariri ha imparato a fare politica. A 39 anni viene platealmente indicato come il prossimo premier del Paese dei Cedri. E lui lo dice chiaramente: «Sono pronto ad assumermi le mie responsabilità». Le preoccupazioni sono tante. Nel suo ufficio spiegano le sue diffidenze nei confronti delle ingerenze iraniane, del fondamentalismo islamico e del ruolo di Hezbollah. «Che alle elezioni vinca Ahmedinejad o Musavi per noi cambia poco», dicono. Governo monocolore con il blocco filo-occidentale del «14 marzo» o di unità nazionale con l'«8 marzo» pro-iraniano e siriano? «Ho già detto che reputo necessario stringerci reciprocamente la mano. Intendo lavorare per unificare il Libano, assopire i conflitti, lenire le divisioni. Dobbiamo impegnarci per scoprire i punti in comune e lasciare le differenze al tavolo dei negoziati, che in ogni caso saranno lunghi, complessi». Possiamo dire che sarà lei il prossimo premier? «Può dirlo, certo, anche se formalmente non è stato ancora deciso. Occorre attendere il 20 giugno per l’instaurazione del nuovo parlamento e la nomina del suo presidente. Poi non abdicherò al mio dovere». Ma diversi suoi alleati, specie tra i gruppicristiani Kataeb e le Forze Libanesi, non intendono affatto coalizzarsi con gli estremisti dell’Hezbollah. Affermano che, contro le previsioni, il Libano ha votato per il «14 marzo ». Lei non va contro il suo mandato? «Avremo molto di cui discutere con i nostri alleati e con Hezbollah. Il Libano ha parlato. E’ legittimo ascoltare le voci del '14 marzo'. Ma non dobbiamo dimenticare che esiste anche l''8 marzo', ed è forte. Il suo leader, Hassan Nasrallah ha pubblicamente accettato la sconfitta. Il mio partito ed i miei media hanno pagato per primi il prezzo delle violenze perpetuate da Hezbollah e i suoi alleati un anno fa. Dobbiamo evitare in ogni modo che si ripetano. Anche gli elettori e i leader del campo avversario hanno capito che la violenza va evitata ». Nel suo governo unitario Hezbollah avrà potere di veto in parlamento, come l’ha avuto negli ultimi 10 mesi paralizzando spesso l’attività politica? «No, assolutamente no. I meccanismi del prossimo governo saranno diversi». L'anomalia della democrazia libanese è oggi costituita dalla milizia armata di Hezbollah. Lei intende abolirla? «Sarà uno degli argomenti in discussione. E lo farò coinvolgendo il Presidente della Repubblica. Ma non penso sia utile affrontare adesso un tema tanto complesso pubblicamente sui media. Teniamo a mente che una parte consistente del Paese ha votato per l'agenda dell''8 marzo', che include le armi. Si tratta di un argomento assolutamente delicato, ha connotazioni di politica interna libanese, ma anche regionale. Il mio lavoro sarà fare in modo che l'agenda nazionale non divenga anche regionale. Nostra priorità sarà la stabilità interna». Ma come impedire che Hezbollah impieghi le armi a sua discrezione, come uno Statonello Stato? «Una parte dell'anomalia è Israele. I suoi soldati occupano ancora le fattorie di Sheba, in contraddizione alla risoluzione Onu 1701, i suoi velivoli violano regolarmente i nostri spazi aerei, le sue navi le nostre acque territoriali. Il presidente Barack Obama al Cairo ha fatto un discorso di apertura alla pace. E Israele cosa risponde? Rafforza le colonie nei territori occupati, nega il diritto dello Stato palestinese ». L'Italia è alla testa del contingente Unifil nel sud Libano. Pensa che dovrebbe fare di più? «L’Unfil e l'Italia stanno facendo un ottimo lavoro. L'impegno è serio, costante. Il nostro ringraziamento è sincero. Ma voi sapete bene che le violazioni della 1701 vengono da Israele, non dal Libano».
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Il Libano ora sappia darsi un governo di unità nazionale "
Walid Jumblatt
È una figura chiave nella vita politica libanese. La sua famiglia è tra quelle che hanno segnato la storia del Paese dei Cedri. Protagonista della «Primavera di Beirut», Walid Jumblatt, leader della comunità drusa, segretario generale del Partito socialista progressista, è tra i vincitori delle elezioni di domenica scorsa. «Sono orgoglioso della prova di maturità e di democrazia che abbiamo, tutti noi libanesi, offerto al mondo intero - rimarca Jumblatt -. Il voto ha premiato quelle forze che con più determinazione si sono battute per un Libano indipendente, pienamente sovrano, pluralista. Ma questa vittoria - aggiunge subito il leader druso - non va usata per alimentare vecchie contrapposizioni. Abbiamo il dovere di praticare la linea dell’unità. Nella chiarezza, però…». Una chiarezza che Jumblatt esplicita in questa intervista a l’Unità. Sovvertendo le previsioni della vigilia, la coalizione del “14 Marzo” guidata da Saad Hariri e di cui Lei è uno dei massimi esponenti, ha vinto le elezioni legislative del 7 giugno. Quali prospettive si aprono ora per il Libano? «Prospettive di unità. L’unità nazionale è un punto dirimente, fondamentale per chi si è battuto per un Libano sovrano, indipendente, amico ma non vassallo della Siria. La “Rivoluzione dei Cedri” è nata da una richiesta di verità, giustizia, indipendenza che ha unito libanesi di diversa fede religiosa e delle diverse comunità. Quello spirito è vissuto nell’alleanza del “14 Marzo” ed è stato alla base del nostro successo elettorale. Non dobbiamo dimenticare che queste elezioni devono incrementare il dialogo e non devono isolare gli altri partiti. Da questo principio ispiratore occorre ripartire per ricercare un’unità nella chiarezza…». Chiarezza nei rapporti con Hezbollah. C’è chi ha guardato a Lei come a un “pontiere” verso il partito di Sayyed Hassan Nasrallah. «Hezbollah come Amal di Nabih Berri rappresentano un pezzo importante della società libanese: la comunità sciita. Un Libano unito non può permettersi di tagliar fuori pregiudizialmente forze così rappresentative. Cercare l’unità non vuol dire però venir meno ad alcuni punti fermi che dovranno essere parte fondamentale del programma del nuovo governo». Tra questi punti c’è anche il disarmo delle milizie di Hezbollah? Nasrallah ha ammonito a non provarci. «Da tempo la questione del disarmo di tutte le milizie è sul tavolo del dialogo nazionale. La mia posizione è chiara da tempo e non è cambiata: le armi di Hezbollah dovrebbero essere incorporate nell’esercito. La discussione è aperta, l’importante è non chiuderla a colpi di diktat». Sia Nasrallah che Berri hanno riconosciuto la vittoria della coalizione del “14 Marzo”. E’ un passo verso l’unità nazionale? «Si tratta di una presa di posizione importante il cui valore politico va apprezzato. Registrata questa disponibilità, ora va tradotta in politica…». E qui le cose si complicano. «Non sarei troppo pessimista. Dobbiamo provarci, partendo dal responso delle urne…». Il che significa? «Significa piena disponibilità a discutere il programma di governo e la sua composizione, ma così come la maggioranza non deve usare come una clava la sua vittoria, le forze dell’ ”8 Marzo” (la coalizione filosiriana guidata da Hezbollah, ndr.) non devono porre come pregiudiziale alla loro partecipazione ad un governo di concordia nazionale l’esercizio del diritto di veto nell’esecutivo. Dico questo non per cercare il pretesto per una rottura, ma spinto dalla volontà di realizzare un governo davvero unito, rappresentativo, in cui tutti i libanesi possano riconoscersi….». Di nuovo il Walid Jumblatt “pontiere”… «Direi un Jumblatt patriota, convinto che non serva al bene del Libano isolare gli sconfitti, cercando al contrario di tenerli agganciati al processo democratico». Alla vigilia delle elezioni c’è chi ha parlato di un suo distacco da Saad Hariri. «Falsità messe in giro da provocatori prezzolati. Io e Saad siamo una cosa sola».
Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " La nostra lotta per il Libano unito "
Giorgio chiede ad Ali Doghmush quali sono, a suo avviso, le motivazioni che hanno portato alla vittoria delle elezioni la coalizione guidata da Hariri. Fra le motivazioni esposte non figurano "il legame di Hezbollah con Iran e Siria" nè "i risultati dell'indagine sull'omicidio Hariri che hanno evidenziato la responsabilità di Hezbollah". In compenso, Doghmush arriva ad accusare di corruzione Saad Hariri (" È stato determinante, ad esempio, il flusso di denaro che lamaggioranza ha fatto arrivare in alcuni distretti elettorali e che è servito a comprare i voti dimolte migliaia di persone"), ma il compiacentissimo Giorgio non si sogna nemmeno di contraddire l'esponente di Hezbollah. L'intervista continua : " il solo governo possibile è quello che assicurerà il diritto di veto all’opposizione. Se avessimo vinto noi le elezioni, non avremmo avuto alcun problema a garantire questo diritto all’altro schieramento. ". Ci risulta difficile credere che, in caso di vittoria, Hezbollah avrebbe concesso il diritto di veto all'opposizione guidata da Hariri. In ogni caso, un governo in cui l'opposizione ha diritto di veto è un non-governo, bloccato dai continui ricatti dell'opposizione. Anche in questo caso il compiacente Giorgio non controbatte. Più avanti si legge : " La questione più delicata nei rapporti tra voi e il «14 marzo» rimane la richiesta della maggioranza di un disarmo di Hezbollah e della resistenza, che Nasrallah esclude. Si tratta di un punto centrale, che non può essere affrontato con superficialità. Riguarda la concezione di difesa del Libano di cui stanno discutendo le varie forze libanesi al tavolo del dialogo nazionale. Mentre se ne parla, si deve riconoscere che porzioni di territorio libanese, come Kfar Sbuba (Fattorie di Sheeba), rimangono sotto occupazione israeliana e che ogni giorno l’aviazione israeliana viola lo spazio aereo nazionale. ". Hezbollah rifiuta di disarmarsi. Ma, contrariamente a ciò che vuole far credere, non lo fa a "scopo difensivo" (difendere il Libano da cosa? Nessuno Stato ha minacciato di attaccarlo). L'obiettivo di Hezbollah è, come sempre, Israele. Doghmush blatera di "territori occupati" e di "violazione israeliana dello spazio aereo", ma non menziona mai tutti gli attacchi dal Libano a Israele. Giorgio condivide queste dichiarazioni, assomigliano a quelle che scrive nei suoi articoli su Israele e, per questo motivo, non le contraddice. In tutta l'intervista, ogni volta che viene menzionato Israele, vengono usate parole come "occupazione". Il Libano è presentato come "vittima dell'occupazione israeliana" e Hezbollah come movimento di "resistenza e difesa del Libano". Questi rapporti non sono veritieri. Hezbollah è un partito terrorista, legato a Siria ed Iran. Il suo scopo non è la difesa del Libano, ma la distruzione di Israele. Se Giorgio fosse un giornalista serio avrebbe controbattuto alle dichiarazioni fasulle del suo intervistato. Ma non l'ha fatto. Ecco l'intervista:
Hezbollah riconosce il risultato delle elezioni di domenica scorsa e guarda avanti, rendendosi disponibile a partecipare a un governo di unità nazionale con la maggioranza filo-Usa capeggiata dal sunnita Saad Hariri. Del movimento sciita sulla scena politica libanese, della questione dell’arsenale di Hezbollah ma anche del quadro regionale e di possibili rapporti con gli Stati Uniti di Barack Obama, abbiamo parlato ieri con Ali Doghmush. Personalità emergente e responsabile esteri di Hezbollah, Doghmush è uno dei più stretti collaboratori del segretario generale del movimento Hassan Nasrallah. Tutti davano per favorito l’«8 marzo », la vostra coalizione, ma alla fine ha vinto il «14 marzo» di Saad Hariri. Come spiegate la sconfitta? I motivi sono diversi. È stato determinante, ad esempio, il flusso di denaro che lamaggioranza ha fatto arrivare in alcuni distretti elettorali e che è servito a comprare i voti dimolte migliaia di persone.Ha poi influito il clima che, a livello locale e internazionale, è stato creato allo scopo di persuadere i cittadini che una vittoria diHezbollah e dei suoi alleati avrebbe trasformato il Libano e portato alla guerra. Non avete nulla da rimproverarvi? Alcuni errori li abbiamo commessi anche noi e li stiamo valutando. In ogni caso durante la campagna elettorale abbiamo cercato di illustrare ai cittadini un programma nazionale, per il bene di tutto il Libano e non nell’interesse di una comunità piuttosto che un’altra. Purtroppo il sistema elettorale, con la divisione del nostro paese in (26) piccoli distretti è fatto apposta per garantire interessi locali e il settarismo e ciò si è dimostrato determinante in alcune aree del paese. Al segretario generale Nasrallah rimproverano di aver spaventato i cristiani di Achrafieh (Beirut) con il suo discorso del 7 maggio, quando ha esaltato il blitz armato di Hezbollah di un anno fa. Il sayyed Nasrallah ha solo voluto spiegare che quell’atto di forza si era reso necessario per mettere fine a una crisi insostenibile e a richieste (il disarmo di Hezbollah, ndr) che mettevano a rischio la stabilità nazionale e gli interessi del Libano. Purtroppo il «14marzo » ha utilizzato una parte di quel discorso per dare un’idea falsa delle nostre intenzioni future. Il nostro movimento crede in questo Libano, crede e rispetta le diversità che compongono la nostra società. Nessuna comunità libanese, piccola o grande, potrà e dovràmai avere la supremazia sulle altre. Tutti dovremo convivere nel rispetto della diversità. La sconfitta ormai è alle spalle. Siete pronti a far parte di un governo di unità nazionale? Vogliamo dare il nostro contributo al governo del paese. Siamo per l’unità nazionale e prima delle elezioni avevamo annunciato che, in caso di una nostra vittoria, avremmo offerto agli sconfitti di far parte di una larga coalizione. In ogni caso l’«8 marzo» rimane compatto, anche dopo la sconfitta. Con il generale Aoun (leader del movimento cristiano dei Liberi Patrioti, ndr) il rapporto è solido, perché abbiamo un progetto comune importante per il bene del Libano. Smentisco le voci di problemi traHezbollah e Amal (l’altro partito sciita, ndr), i legami sono forti sulle questioni strategiche anche se ognuno dei due movimenti conserva margini di manovra politica indipendente. Chiedete un esecutivo fondato sugli accordi di Doha di un anno fa, che garantiscono all’opposizione il diritto di veto su questioni di sicurezza nazionale e politica estera? Certo, il solo governo possibile è quello che assicurerà il diritto di veto all’opposizione. Se avessimo vinto noi le elezioni, non avremmo avuto alcun problema a garantire questo diritto all’altro schieramento. La questione più delicata nei rapporti tra voi e il «14 marzo» rimane la richiesta della maggioranza di un disarmo di Hezbollah e della resistenza, che Nasrallah esclude. Si tratta di un punto centrale, che non può essere affrontato con superficialità. Riguarda la concezione di difesa del Libano di cui stanno discutendo le varie forze libanesi al tavolo del dialogo nazionale. Mentre se ne parla, si deve riconoscere che porzioni di territorio libanese, come Kfar Sbuba (Fattorie di Sheeba), rimangono sotto occupazione israeliana e che ogni giorno l’aviazione israeliana viola lo spazio aereo nazionale. L’esercito libanese non è ancora in grado di difendere il Libano dalle minacce esterne e noi riteniamo di dover partecipare alla protezione del nostro paese. Allo stesso tempo deve essere chiaro che Hezbollah non intende usare le sue armi in eterno. A quali condizioni vi rinuncereste? Metteremo via le armi quando lo Stato libanese sarà in grado di difendersi, di proteggere i suoi confini e di riavere i suoi territori occupati. Rinunceremo al nostro arsenale quando il mondo fornirà al Libano armi che possono aiutarlo concretamente a difendere il suo territorio. Non armamenti leggeri, come quelle date di recente dagli Stati Uniti, destinate unicamente per funzioni di repressione interna. Sino a quel momento le armi di Hezbollah continueranno a proteggere la sovranità del Libano. Vi accusano di voler usare le armi a vantaggio anche degli interessi di altri paesi, come l’Iran, e dei palestinesi, come dimostrerebbe la recente scoperta in Egitto di una vostra cellula apparentemente incaricata di far arrivare razzi e munizioni a Gaza. Sono accuse vecchie, ripetute ad ogni occasione al solo scopo di spaventare la gente. Abbiamo combattuto delle guerre contro Israele in nome dell’integrità del paese, solo sul territorio libanese e per il territorio libanese. Grazie alla nostra lotta, con il sacrificio di migliaia di martiri, il Libano del sud è stato liberato nel 2000 dall’occupazione israeliana. Non lo abbiamo fatto per l’Iran, così come non abbiamo combattuto per l’Iran nel 2006. Nel caso dei palestinesi è diverso. Ammettiamo, anzi ne siamo orgogliosi, di aiutarli in ogni modo perché sono un popolo che vive sotto una occupazione brutale, che cerca la libertà, che combatte per la propria sovranità. E’ un dovere stare dalla loro parte. E’ una questione umana e morale, non solo politica, anche se talvolta questo ci costa qualche imbarazzo (nei confronti di altri paesi arabi, ndr). Quindi Hezbollah non reagirà nel caso di un attacco di Israele contro le centrali atomiche iraniane? L’Iran è uno Stato perfettamente in grado di difendersi, non ha alcun bisogno di Hezbollah per proteggersi o per rispondere ad un attacco militare. Immagina un rapporto diverso col nuovo presidente Usa Obama, che usa toni diversi verso l’Islam rispetto al suo predecessore Bush? Noi non abbiamo problemi a cambiare opinione, siamo abituati a giudicare le persone sulla base dei loro comportamenti. Obama ha puntato gli aspetti di politica estera della sua campagna elettorale sulla necessità di un cambiamento rispetto al passato. Da quando è stato eletto ha detto tante cose, alcune di queste sono interessanti. Tuttavia notiamo che sul terreno non è cambiato niente, non ha ancora fatto niente affinché vengano applicate le risoluzioni internazionali e venga aiutato un popolo oppresso come i palestinesi.
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