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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.06.2009 Obama non ha parlato dei diritti delle donne nei paesi fondamentalisti nè di terrorismo islamico
Cronaca di Maurizio Molinari, intervista a Azar Nafisi di Alessandra Farkas

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari - Alessandra Farkas
Titolo: «Obama: 'Basta odio tra Occidente e islam' - Dialogare va bene Ma facciamo luce sui diritti umani -»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 05/06/2009, a pag. 2, la cronaca di Maurizio Molinari dal titolo " Obama: 'Basta odio tra Occidente e islam'  ", dal CORRIERE dellaSERA, a pag. 3, l'intervista di Alessandra Farkas a Azar Nafisi scrittrice iraniana, dal titolo " Dialogare va bene. Ma facciamo luce sui diritti umani  " . Ecco gli articoli:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama: 'Basta odio tra Occidente e islam' "

Veli colorati sul capo delle donne, turbanti biancorossi dei notabili egiziani, tuniche chiare degli studenti islamici, completi grigi della nomenklatura di Hosni Mubarak e gli occhiali dorati di Ayman Nour, che un anno fa giaceva in prigione.
Quando il presidente americano Barack Hussein Obama entra sul palco nell’aula magna dell’Università Al-Azhar salutando con «Assalam Alaykum» (la pace sia con voi) ha di fronte un parterre di oltre duemila anime che riassume le diverse identità dell’Islam del XXI secolo. Tutt’intorno, per chilometri e chilometri, il Cairo è una città fantasma, presidiata da schiere di militari appostati lungo le strade e agenti dei servizi sui tetti che temono devastanti attacchi a sorpresa dei seguaci della Jihad teorizzata dal medico egiziano Ayman al Zawahiri, braccio destro di Osama bin Laden.
Il contrasto fra la vivacità della platea di Al-Azhar e il silenzio di paura che la circonda è la cornice nella quale Obama pronuncia il discorso di 6000 parole nel quale propone un «nuovo inizio» nei rapporti fra l’America e l’Islam «perché non sono in competizione ma condividono comuni principi di giustizia e progresso, tolleranza e dignità di ogni essere umano». Consapevole di sfidare odio, sfiducia e pregiudizi nei confronti degli Stati Uniti accumulatisi nel corso di generazioni, Obama tende la mano ai musulmani descrivendo la propria nazione in maniera inedita: «L’Islam è sempre stato parte della storia americana, la prima nazione a riconoscerci nel 1796 fu il Marocco, John Adams scrisse "non siamo nemici dei musulmani" e i musulmani hanno combattuto nelle nostre guerre, servito nei governi, eccelso negli sport, vinto premi Nobel, costruito i nostri edifici più alti e acceso la Torcia Olimpica».
Obama si sente espressione e interprete di questa sovrapposizione fra Islam e America in ragione del padre keniota con gli avi musulmani, della gioventù in Indonesia, del volontariato nelle moschee di Chicago e anche di un Congresso dove il primo eletto musulmano si è insediato giurando sul Corano che fu di Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori dell’Unione. «L’Islam è parte dell’America», dice Obama in una sala che lo applaude 25 volte in 55 minuti mentre lui riscrive l’identità yankee, non più basata solo sulla matrice giudaico-cristiana dei pellegrini del Mayflower ma anche su quella musulmana dei milioni di immigrati arrivati in seguito. È per questo che cita a più riprese il Corano assieme a Talmud e Bibbia, che accomuna Mosè, Gesù e Maometto con «la pace sia su di loro» e si richiama al principio condiviso dalle tre fedi monoteistiche: «Non fare al tuo prossimo ciò che non vuoi venga fatto a te stesso». Il primo presidente afroamericano sta dicendo all’Islam, e ai suoi concittadini, che la patria dell’Occidente ha nel proprio Dna anche la fede del Profeta e la geometria che viene dall’Andalusia.
È una premessa rivoluzionaria che dà concretezza alla promessa di «cambiare l’America e trasformare il mondo» fatta durante la campagna elettorale e spiega perché nella seconda parte del discorso Obama illustra un’agenda politica di problemi da risolvere con un linguaggio senza perifrasi. Se «l’America non è in guerra con l’Islam» si può dire con franchezza che cosa urge.
Obama promette di battersi contro l’islamofobia ma chiede di fare altrettanto con l’odio anti-americano, rivendica il diritto di combattere l’«estremismo» di Al Qaeda in risposta agli attacchi dell’11 settembre 2001 ma assicura che «non vogliamo tenere le truppe in Afghanistan», ritiene l’Iraq un «posto migliore senza Saddam» ma conferma il ritiro totale entro il 2012, difende la chiusura di Guantanamo ma sottolinea che «l’America non tollererà le violenze degli estremisti». E quando arriva al Medio Oriente, chiama per nome i tabù di arabi, israeliani e palestinesi. Agli arabi dice che «il legame di Israele con l’America è indistruttibile, minacciare Israele di distruzione è errato e negare l’Olocausto è da ignoranti». Agli israeliani fa sapere che «le sofferente quotidiane dei palestinesi dovute all’occupazione sono intollerabili», che gli «insediamenti devono fermarsi» e «non c’è alternativa ai due Stati». Ed ai palestinesi indica l’esempio degli afroamericani: «I diritti non si conquistano con la violenza», dunque basta attentati, lanci di missili e odio. Anche sul nucleare iraniano individua una linguaggio condiviso con il mondo arabo: «Evitiamo una corsa agli armamenti nella regione».
È l’ultima parte del discorso quella che più infiamma la platea. Obama parla di democrazia, diritti delle donne - anche se si tratta di portare il velo - e libertà religiosa per tutti: copti e maroniti, sciiti e sunniti. Non fa riferimenti all’Egitto di Mubarak né ad altri Paesi ma l’entusiasmo della platea è tale da dimostrare che sono questi i diritti a cui si tiene di più. «Poter dire la propria opinione sul governo, avere fiducia nello Stato di Diritto, un governo che non ruba ai cittadini e la libertà di vivere come si vuole non sono idee americane ma diritti umani», conclude Obama, travolto da grida «We love you!» e «Thank you!» da parte di giovani, uomini e donne. Se lo slancio verso diritti e democrazia trova tale accoglienza è grazie alla premessa iniziale del presidente: i valori americani sono anche musulmani. Sulle scalinate all’uscita dall’ateneo già teatro di proteste islamiche e pro-democrazia gli studenti ritmano cori «Ubama, Ubama». «A noi ci piace, ora bisogna passare dalle parole ai fatti» commenta Mussaf, 23 anni. Vicino a lui c’è Samira, corpo da modella, pantaloni neri attillati, tacchi alti e velo rosa, sorride senza freni: «Da oggi tutto cambia».

CORRIERE della SERA - Alessandra Farkas : " Dialogare va bene Ma facciamo luce sui diritti umani "

NEW YORK — «Il discorso di Obama al Cairo mi ha delu­sa ». Parla Azar Nafisi, la 53en­ne scrittrice iraniana dal '97 residente negli Usa (dove in­segna letteratura inglese alla Johns Hopkins di Washin­gton), autrice del bestseller Leggere Lolita a Teheran, tra­dotto in ben 32 lingue che l'ha consacrata come una del­le più capaci e promettenti scrittrici iraniane della sua generazione.
Che cosa non le è piaciu­to del discorso?
«La sua vaghezza. Obama dice di voler riavviare il dialo­go col mondo islamico, eppu­re non ha indicato alcuna strategia su come farlo. Nell' era Obama la politica estera Usa continua a essere tattica, e, come in passato, più foca­lizzata a capovolgere le scel­te dei predecessori che non ad affrontare i problemi del momento. Dialogare è sem­pre una buona idea, non mi fraintenda. Ma le parole re­steranno solo parole, se non seguite da piani concreti su come implementarle».
La maggior parte dei me­dia americani l'hanno defi­nito un discorso «storico».
«Penso che tra 20 anni sa­rà ricordato più per le sue omissioni, che non per i suoi traguardi. Un vero dialogo implica il diritto di criticare, anche se civilmente, l'interlo­cutore. Obama non l'ha fat­to ».
Cosa avrebbe dovuto criti­care?
«Avrebbe dovuto usare il linguaggio sfumato della di­plomazia per lanciare agli op­pressi l'inequivocabile mes­saggio che egli capisce e so­stiene le loro lotte. Doveva puntare i riflettori sulle gravi e continue violazioni dei di­ritti umani in Paesi quali Iran, Arabia Saudita ed Egit­to ».
Però ha difeso il diritto all'eguaglianza delle donne.
«Le donne che nel mondo islamico si battono contro la sharia si sono sentite abban­donate. Obama ha parlato del loro diritto ad indossa­re il velo, rispettando la tra­dizione. Ma tranne forse la Turchia, in quei Paesi nessu­no vuole togliere alle donne il diritto di indossare il velo. Il problema è tutt'altro».
Quale?
«Che una donna veramen­te libera deve avere il diritto di scegliere. Girando in mini­gonna se vuole. Questo Oba­ma non l'ha detto. E visto che il fulcro del suo discorso è stato il rispetto, come don­na mi sarei sentita rispettata se avesse preso atto che an­che io ho gli stessi identici diritti degli altri. Sarebbe sta­to bello, inoltre, se avesse ri­cordato nel suo discorso che le donne egiziane del secolo scorso erano tra le più eman­cipate e innovatrici del pia­neta ».
Perché non l'ha fatto?
«Come il suo segretario di Stato Hillary Clinton ha già dimostrato in Cina, questa amministrazione è pronta a sacrificare i diritti umani sull'altare della Realpolitik. Se non fosse stato per i me­dia, gli avvocati dei diritti umani e gli attivisti che ri­schiano la vita nelle dittatu­re, Roxana Saberi e Haleh Esfandiari sarebbero ancora in carcere».
È d'accordo con la propo­sta di dialogo Usa-Iran ri­lanciata da Obama anche ie­ri?
«Se chiedi scusa all'Iran per aver contribuito alla ca­duta del governo democrati­co di Mossadeq negli Anni 50, non puoi allo stesso tem­po sostenere il regime teo­cratico che oggi in Iran sta di­struggendo il suo stesso po­polo. Se l'America si autocri­tica per Abu Ghraib, deve an­che poter criticare i Paesi che continuano ad infliggere le stesse torture ai propri cit­tadini ».
Molti nel mondo arabo hanno apprezzato il nuovo tono, rispettoso dell'Islam, e le tante citazioni dal Cora­no.
«Obama si è dimenticato però di citare i diritti delle minoranze che esistono tra mille difficoltà all'interno dell'Islam. Non una parola su cristiani, ebrei, atei, bahai e agnostici che da secoli fan­no parte della storia di quei Paesi. In Iraq, ad esempio, il gruppo più antico è rappre­sentato dai cristiani».
Deve ammettere, però, che il dialogo ora può ripar­tire...
«Certo, estremismo gene­ra estremismo e da oggi cer­ti leader non si potranno più nascondere dietro i toni bel­licosi di un Bush per giustifi­care il proprio odio. Resta il fatto che Obama si è rivolto soltanto a loro, snobbando la piazza islamica. Se io fossi un cittadino della Malaysia o della Turchia mi sentirei completamente escluso».
Come sarà recepito il di­scorso dall'opinione pubbli­ca di quei Paesi?
«Come tanti media e politi­ci occidentali, Obama si è ri­volto al 'mondo arabo' come se fosse un'unica entità omo­genea. È un grossolano erro­re che ferirà molte sensibilità perché le realtà storiche, cul­turali e politiche di Paesi qua­li Egitto, Iran e Arabia Saudi­ta non potrebbero essere più diverse fra loro. Non dimenti­chiamoci poi che la maggio­ranza dei musulmani oggi non vive in Medio Oriente ma in Indonesia».

nella foto a destra, donna incinta impiccata in Iran, nelle altre esempi di giustizia iraniana.

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