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Luce nel buio del tunnel. Come gli ostaggi a Gaza celebravano Hanukkah 13/12/2025

Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.04.2009 Un vero liberal deve difendere Israele. Ritratto di Alan Dershowitz
di Alessandra Farkas

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 aprile 2009
Pagina: 41
Autore: Alessandra Farkas
Titolo: «Un vero liberal deve difendere Israele»

Alan Dershowitz, un avvocato coraggioso che non si limita a frequentare solo i tribunali.  Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/04/2009, a pag. 41, l'articolo di Alessandra Farkas dal titolo " Un vero liberal deve difendere Israele ".

NEW YORK — In Italia Alan Der­showitz è di casa dal 1974. Allora si recò nel nostro Paese per incontrare Umberto Terracini, dirigente del Pci d’origine ebraica favorevole a una politica più pro-Israele. Dopo 35 an­ni il giurista-scrittore di Harvard, pa­ladino dei diritti civili, torna a Roma con una missione: frenare l’ondata di odio anti-israeliano che, mette in guardia, «oggi non scaturisce più soltanto dalle forze estremiste».
La sua tournée italiana è stata or­ganizzata da Amy Rosenthal, docen­te di Relazioni internazionali al­l’American University di Roma e comprende anche un incontro con alcuni deputati, tra cui Fiamma Ni­renstein. L’occasione: l’uscita in Ita­lia del libro Processo ai nemici di Israele (Eurilink editore), dove Der­showitz mette sotto accusa l’intelli­ghenzia occidentale: «Intellettuali — spiega — come lo scrittore spa­gnolo Antonio Gala, secondo cui gli ebrei meritano un altro Olocausto se non abbandonano Israele».
Nella sua lista nera: l’ex presiden­te Usa Jimmy Carter (che ha scritto
Palestine. Peace not Apartheid) e Stephen Walt e John Mearsheimer, autori di La Israel Lobby e la politica estera americana (Mondadori). «Mi preoccupa che la retorica anti-israe­liana più violenta non appartenga più a frange dell’estrema sinistra, ma al mainstream », precisa Der­showitz, che cita i Nobel Harold Pin­ter, Carter, José Saramago e De­smond Tutu, oltre a Noam Chomsky («studioso di fama mondiale»), ma non Norman Finkelstein, «spazzatu­ra che nessuno prende sul serio».
A Roma Dershowitz approda do­po i riflettori di Durban II, dove è sta­to allontanato quando si accingeva a sfidare il presidente iraniano Ahma­dinejad. «Ad applaudire con più en­tusiasmo le sue farneticanti esterna­zioni sull’Olocausto e Israele — accu­sa — erano purtroppo gli ebrei bar­buti del Neturei Karta. Un gruppo che auspica l’annullamento totale del sionismo».
L’ebreo antisemita: un ossimoro che lo tormenta. «L’odio anti-israe­liano è diventato una sorta di rito d’iniziazione. Per essere accettati nel­l’estrema sinistra agli ebrei si chiede
di diventare più anti-israeliani degli arabi e più palestinesi dei palestine­si, buttando alle ortiche la propria eredità». Si tratta, teorizza, di un ri­torno all’Inquisizione, «quando era­vamo costretti a convertirci e a di­ventare più cattolici del Papa. Gli ebrei disposti a vendere l’anima al diavolo esistono da sempre».
Il suo assillo oggi è spiegare al mondo che non bisogna essere di de­stra per amare Israele. «Barack Oba­ma, Hillary Clinton, Ted Kennedy, Irwin Cotler ed io siamo tutti liberal e pro-Israele, come il resto della sini­stra moderata Usa». La sua coscien­za sionista è germogliata a William­sburg, il quartiere di Brooklyn dove è nato nel 1938 da una coppia di ori­gine polacca: Claire, computista, e Harry, fondatore della Young Israel Synagogue: «I miei erano ebrei orto­dossi ma moderni. Da piccolo gioca­vo a baseball e correvo dietro alle ra­gazze come i miei amici protestanti e cattolici. Oggi l’ebraismo è spacca­to in due tra ultraortodossi e laici: il tipo di quartiere dove sono cresciu­to io non esiste più in America».
A 14 anni aveva trovato il primo la­voro, alla Sohn Delicatessen, una fab­brica di insaccati
kosher della Lower East Side. «Dovevo annodare lo spa­go tra un hot dog e l’altro e un gior­no rimasi chiuso nel freezer». Dopo la laurea in legge a Yale nel 1962, nel ’67, a solo 28 anni, diventa il più gio­vane docente in legge nella storia di Harvard, dove, tra gli ex alunni, an­novera Eliot Spitzer, John Sexton, Joe Klein, Barack e Michelle Obama. Difendere gli emarginati era nel suo Dna. Si fa strada come avvocato dei poveri e dei bistrattati, per esem­pio dei condannati a morte di colo­re. «La pena capitale è un’atrocità razzista che li penalizza. E solo quan­do la vittima è bianca». Ma tra i suoi clienti ci sono pure Vip ricchi e famo­si come Patricia Hearst, Mike Tyson, Michael Milken. «Certo, ma la metà dei miei assistiti non paga un cente­simo », ribatte. Di O.J. Simpson, as­solto col suo aiuto, dice che «non comparirà tra i processi del secolo accanto a Norimberga, ai coniugi Ro­senberg o Sacco e Vanzetti, e sarà scordato dalla storia».
Per assicurarsi l’immortalità ab­bandona spesso la toga di avvocato, per indossare i panni di scrittore pro­lifico, autore di ben trenta saggi, tra cui i bestseller
Reversal of Fortune e
Chutzpah.
«Scrivo ogni giorno dalle tremila alle quattromila parole. La mia segretaria le ha contate: un mi­lione l’anno, oltre 40 milioni in tut­to. Però non so usare il computer e scrivo solo a penna».
Dershowitz ha appena ultimato il suo terzo romanzo:
The Trial of Zion,
un thriller legale che parte da un at­tentato terroristico per esplorare, attra­verso cinque fami­glie, il conflitto ebraico-palestinese in Terra Santa dal 1885 ad oggi. Nel 1994 aveva pubbli­cato
Il demone dell’avvocato (Mon­dadori), il suo primo lavoro di fic­tion (la storia semiautobiografica di un avvocato alle prese con un clien­te colpevole e pericoloso) e nel 1999 Just Revenge, ispirato allo sterminio della famiglia materna durante l’Olo­causto. «Sono stato influenzato da Emanuel Ringelblum, che ha immor­talato l’esperienza nel ghetto di Var­savia nascondendo i diari in cartoni del latte sottoterra. E da Elie Wiesel, oggi mio caro amico. Non parlo solo de La notte ma anche de Gli ebrei del silenzio che mi spinse ad andare in Unione Sovietica e a lavorare dieci anni per gli ebrei russi». I suoi libri preferiti? « I fratelli Karamazov, An­na
Karenina, Il Principe
di Machia­velli. E poi l’opera omnia di Philip Roth, Primo Levi, Amos Oz e Saul Bellow».
Alan Dershowitz oggi è anche un famoso blogger, per l’«Huffington Post», il «Jerusalem Post» e «Front Page». «Sull’'Huffington Post' scri­vono le migliori e le peggiori firme d’America: le più ridicolamente d’estrema sinistra reagiscono ai miei post con invettive antisemite inaudite. Ma va bene così, perché il mio mestiere è provocare». Una pas­sione, questa, che rischia di costar­gli due anni di carcere in Italia, dove è stato denunciato dal Gip Clementi­na Forleo per aver osato, in un’inter­vista del 2005, definire «vergogno­sa » la sua decisione di assolvere cin­que militanti islamici dal reato di ter­rorismo internazionale. «Il caso di­mostra come il sistema giudiziario italiano non contempli neppure la li­berta d’espressione. Ma il mio Paese non accetterà mai l’idea medievale che un cittadino Usa sia perseguito all’estero per un’opinione espressa in patria, dove il primo emendamen­to ne tutela la liberta di parola. Il di­partimento di Stato mi ha conferma­to che sono il primo americano del­la storia ad essere incriminato in Ita­lia per un’opinione espressa a casa mia».
Le pecche del Belpaese sono an­che altre. «Mi duole dover dire che è troppo morbido coi terroristi, e non parlo solo dell’'Achille Lauro'. Oba­ma sa di non poter contare sull’Italia come alleato affidabile nella guerra contro il terrorismo alla stregua di Francia e Inghilterra. Da voi e in Spa­gna, poi, il potere giudiziario è in mano a magistrati d’estrema sinistra che considerano i terroristi combat­tenti per la libertà».
La morale cattolica buonista? «Non c’entra. Al contrario, penso che il ruolo del Vaticano sia e conti­nui ad essere estremamente positi­vo sul versante dei diritti umani e ci­vili e della tutela dei poveri, immigra­ti e deboli in generale».

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