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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Libero - Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.04.2009 Donne afghane manifestano contro la legge sullo stupro
Prese a sassate da fondamentalisti islamici

Testata:Libero - Corriere della Sera
Autore: Luigi Santambrogio - Maurizio Caprara
Titolo: «Donne afghane fra stupri e sassi. Urgono segnali dal governo italiano - Aiutiamo le donne o perderemo l’Afghanistan»

Ieri un gruppo di donne sciite ha protestato contro la legge aprovata da Karzai sullo stupro coniugale. Le manifestanti sono state prese a sassate e insultate da un nutrito gruppo di uomini e donne afghani. Riportiamo da LIBERO di oggi, 16/04/2009, a pag. 1-16, la cronaca di Luigi Santambrogio dal titolo " Donne afghane fra stupri e sassi. Urgono segnali dal governo italiano " con le dichiarazioni di Soud Sbai e dal CORRIERE della SERA, a pag. 12, l'intervista di Maurizio Caprara a Emma Bonino dal titolo " Aiutiamo le donne o perderemo l’Afghanistan ". Ecco gli articoli

LIBERO - Luigi Santambrogio : " Donne afghane fra stupri e sassi. Urgono segnali dal governo italiano "

Avevano minacciato una seconda invasione dell’Afghanistan, per liberare Kabul dal potere delle barbe talebane e maschiliste e imporre le quote rosa a quell’elegantone di presidente Karzai. Così avevano promesso i nostri due ministri Frattini (Esteri) e La Russa (Difesa) di fronte alla legge votata dal Parlamento kabulista: una legge a favore dello stupro che autorizza violenze e rapporti coatti all’interno del matrimonio.
Giustamente, l’Occidente e soprattutto i governi della coalizione militare impegnata sulle montagne afghane a fare piazza pulita dei guerriglieri islamici si erano indignati per questo improvviso ritorno alla legge islamica, ai metodi barbari di schiavitù dentro le famiglie afghane. E pure il nostro non è stato da meno. Ricordate? Il titolare della Farnesina ci aveva dichiarato che avrebbe interrotto gli aiuti economici a Kabul se le legge non fosse stata ritirata. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa s’era spinto ancora più in là: avrebbe dato l’ordine a tutte le nostre soldatesse di rientrare in patria, tanto era insopportabile l’affronto politico e civile di quelle norme alla dignità della donna. 
Beh, se l’esito dei musi feroci ministeriali piantati verso Kabul è questo, c’è poco da stare tranquilli. Primo perché, a quasi 8 anni dall’occupazione alleata e dell’inizio della guerra alle basi di Bin Laden, il territorio “liberato” dagli yankee e dai nostri è assai ridotto: la capitale Kabul e poche altre colline attorno. I talebani controllano militarmente gran parte dell’Afghanistan, dirigono con ancora più profitto il traffico dell’eroina, avendone moltiplicato a dismisura la produzione e l’esportazione. E continuano a dominare la vita civile e sociale della popolazione con le regole dell’islam più estremo e fondamentalista. Il burqa è ancora l’abito da passeggio ufficiale delle donne afghane, la legge pro stupro non è stata ancora abolita e, notizia di ieri, a Kabul un gruppo di 300 donne che manifestavano contro la legge è stato preso a sassate da alcuni scalmanati filo talebani sotto gli occhi della polizia.
Il corteo di protesta era stato convocato da alcuni attivisti per i diritti umani: vi hanno aderito circa 300 giovani donne. Il gruppo ha però incrociato una contro-manifestazione tutta maschile, che è presto degenerata in una sassaiola. «Morte alle schiave dei cristiani», hanno inveito gli uomini, mentre lanciavano sassi sulle donne. E questo basta a chiarire la firma degli aggressori: se non sono taliban, poco ci manca. E che lo stupro matrimoniale goda di appoggio popolare, lo conferma anche il fatto che norme così possano essere state votate in un Paese da poco “liberato” da una feroce dittatura e malgrado la presenza massiccia di personale militare e civile straniero. L'Italia, lo ricordiamo, è incaricata proprio della ricostruzione del sistema giuridico del Paese.
Le norme approvate legalizzano lo stupro del marito nei confronti della moglie, obbligano le donne a concedersi al coniuge senza opporre resistenza, vieta loro di uscire di casa, di cercare lavoro o anche di andare dal dottore senza il permesso del consorte e affida la custodia dei figli esclusivamente ai padri e ai nonni.
Sul piano politico interno, la mossa del governo afgano rappresenta il tentativo del presidente Karzai di incassare il sostegno dei fondamentalisti islamici, in vista delle elezioni presidenziali di agosto. Alcuni osservatori, poi, vedono dietro il provvedimento le pressioni esercitate dall'Iran, che mantiene uno stretto legame con la minoranza sciita afgana.
Insomma, il pasticcio è tutto politico ed è alimentato dalla ambiguità in cui si muovono le forze politiche che sorreggono il governo di Kabul, in guerra per conquistarsi più ampi consensi in vista della consultazione elettorale. Sono altri sei gli sfidanti di Karzai, fra loro un ex ministro delle Finanze e un ex ministro degli Interni. Mica facile per l’ammirato e fascinoso presidente. Dicono che in lui c’è qualcosa di stupefacente, di antico, che suscita memorie da Mille e una notte nel mantello a strisce blu e verdi che gli scende morbido sulle spalle. Elegante, elegantissimo, il viso bruno e gli occhi nero pece incorniciati nell’immancabile colbacco di astrakan, Karzai è stato definito da Tom Ford, ex direttore creativo di Gucci e faro dell'alta moda internazionale: «L'uomo più chic del pianeta». Bisognerà vedere se lo sciccoso presidente non cederà alle pressioni degli islamici più estremisti. Che, quanto a gusti, non vanno troppo per il sottile e sono uutt’altro che minoritari nell’Afghanistan dove i gruppi armati talebani sono alleati fino a fondersi con l’organizzazione terroristica di Al Qaeda. Resta dunque il problema di che fare della nostra presenza militare a fronte di questi preoccupanti episodi di ritorno al passato. Frattini aveva chiesto al presidente Karzai, se sarà confermato alla presidenza, di «correggere la legge». Ma, ci domandiamo, non sarebbe forse meglio chiedere all’elegante leader amico di mettere questo impegno nel programma con cui si presenterà alle elezioni? E nel frattempo, en attendant agosto che si fa? Si richiamano le soldatesse come ha tuonato La Russa? Ma poi che c’entrano le donne militari italiane con la legge: mica se li devono sposare loro i bruti e barbuti kabulisti ai quali la moglie piace velata, piombata e pure sottomessa fino allo stupro. Se no, son sassi e pietre che volano.
Forse, sarà meglio che soldati e soldatesse italiane vengano mandate a proteggere ancora di più (ma già lo fanno) le donne e gli uomini afghani che non si piegano alla prepotenza talebana. E che Frattini trovi argomenti politici e diplomatici un tantino più convincenti per mettere in riga quel furbetto di presidente Hamid. Al quale non deve bastare indossare gli abiti con il gusto e la raffinatezza di uno stilista parigino o italiano per continuare a godere dei favori delle democrazie occidentali.

CORRIERE della SERA - Maurizio Caprara : " Aiutiamo le donne o perderemo l’Afghanistan "

ROMA — Quella dei sassi lanciati sulle afghane scese in piazza contro la legge su­gli obblighi di letto per le mogli sciite è una delle noti­zie che ci ricordano quanto l’Afghanistan resti diverso da come noi occidentali lo vorremmo. Benché sia giu­sto difendere i diritti delle donne, non stiamo coltivan­do più illusioni di quante un sano idealismo ne autorizze­rebbe?
«Il corpo del Paese è meno retrogrado di quanto sembra. L’Afghanistan ebbe nel 1964 una Costituzione che prevede­va il lavoro delle donne. Non era la Svezia, ma succedeva nel 1964. E prima che i taleba­ni andassero al potere, men­tre i maschi erano sempre in guerra, spettava alle afghane tenere in piedi la pubblica am­ministrazione. Non imponia­mo nulla, aiutiamo le afgha­ne che chiedono aiuto. E sui diritti di base non si nego­zia », risponde Emma Bonino, radicale, vicepresidente del Senato, promotrice di un ap­pello per non far entrare in vi­gore la legge contestata firma­to anche da musulmane, tra le quali il ministro egiziano per la Famiglia Moushira Khattab.
L’Amministrazione di Ba­rack Obama negli Stati Uniti ha ridimensionato le attese: più che prefiggersi di demo­cratizzare l’Afghanistan, co­me proclamava George W. Bush, punta a neutralizzare il terrorismo. Teme riper­cussioni su diritti come quel­li invocati nella manifesta­zione di ieri?
«Bisogna capire che neppu­re la nostra sicurezza sarebbe salvaguardata se l’Afghani­stan tornasse a uno stadio co­sì crudele e reazionario come quando governavano i taleba­ni. Erano stati loro a togliere le ragazze dalle scuole, a proi­bire i tacchi perché avrebbe­ro sprigionato un rumore ero­tico, a vietare le calze bianche
perché attiravano l’attenzio­ne. Ho letto con preoccupa­zione un commento di Gide­on Rachman sul Financial Ti­mes secondo il quale siamo lì per combattere il terrorismo, non per difendere i diritti umani. Non è nemmeno una buona Realpolitik ».
Chi ha sentito di recente a Kabul?
«Martedì, al telefono, Sima Samar, presidente della com­missione governativa sui di­ritti umani. Soprattutto sul­l’ultima coppia assassinata, due che uscivano insieme senza essere sposati».
Attualmente che ne è del­la legge che imporrebbe alle sciite, consenzienti o meno, il sesso con il marito?
«Dopo le sollecitazioni este­re il presiden­te Hamid Kar­zai ha chie­sto al mini­stro della Giu­stizia di valu­tare se viola la Costituzio­ne. Cerchia­mo di riempi­re questa pau­sa con l’appel­lo che è su www.npwj.o rg ».
Se la legge entrerà in vi­gore, il mini­stro della Di­fesa Ignazio La Russa ave­va ipotizzato sul Corriere un ritiro delle militari italiane.
«È importante trovare una posizione univoca della co­munità internazionale, sen­za che ogni Paese faccia le co­se sue».

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