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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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La Stampa - Libero - Corriere della Sera Rassegna Stampa
12.03.2009 Fondamentalismi vari
Censura in Egitto - Sharia in Pakistan - 15 anni di carcere a Tareq Aziz

Testata:La Stampa - Libero - Corriere della Sera
Autore: Patrice Claude - Simona Verrazzo
Titolo: «Egitto, contro la censura blogger in prima linea - Hanno vinto i talebani - Prima condanna per Tareq Aziz»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 12/03/2009, a pag. 14, l'articolo di Patrice Claude dal titolo " Egitto, contro la censura blogger in prima linea " sulla censura in Egitto e sulla politica di Mubarak nei confronti dei suoi oppositori, da LIBERO, a pag. 22, l'articolo di Simona Verrazzo dal titolo " Hanno vinto i talebani  " sul Pakistan dove, da domenica, entrerà in vigore la Sharia e dal CORRIERE della SERA, a pag. 13 la breve dal titolo " Prima condanna per Tareq Aziz  ". Ecco i pezzi:

La STAMPA - Patrice Claude : " Egitto, contro la censura blogger in prima linea "

E’ un video sconvolgente. C’è un giovane di 21 anni, Imad El-Kebir, che piange e urla di dolore, piegato in due, nudo dalla vita in giù. Qualcuno gli tiene i piedi sospesi in aria lo tortura con un lungo bastone nero. E’ la scena di un interrogatorio in un commissariato del Cairo che, grazie a Internet, milioni di egiziani hanno potuto vedere. Nel suo rapporto 2008 sui diritti dell’uomo, Amnesty International spiegava che in Egitto «continuano a essere sistematiche le torture, le botte, le sevizie, l’elettroshock, l’isolamento, gli abusi sessuali e le minacce di morte». Anche il rapporto annuale del Dipartimento di Stato americano sui diritti dell’uomo dice le stesse cose. Due dei quattro torturatori di Imad El-Kebir, un taxista che aveva cercato di bloccare dei poliziotti che picchiavano per strada un suo cugino, sono stati identificati e condannati a tre anni di carcere. Alla vittima, tre mesi per «resistenza alle forze dell’ordine». L’uomo che ha diffuso questa storia su Internet è uno dei più celebri blogger d’Egitto: Waël Abbas. «Il più bravo e il più coraggioso di noi», ci dirà Shahinaz Adbel Salem, una giovane blogger, ingegnere delle telecomunicazioni. Abbas ci ha dato appuntamento accanto alla Borsa del Cairo, il quartiere alla moda, diventato il quartier generale dei blogger della capitale: «Non tradirà nessun segreto se scrive che la polizia più o meno sa tutto di noi. E’ così: sa chi siamo, dove abitiamo, quando ci incontriamo».
L’Egitto non è l’Iraq di Saddam Hussein. Non si uccidono gli oppositori, non si arrestano - sarebbero troppi - tutti i critici dell’autocrate militare ottuagenario che da 27 anni governa il Paese, Hosni Mubarak. Ma esercito e forze di sicurezza mettono la museruola agli oppositori - laici o islamici -, impediscono gli scioperi, le manifestazioni, l’organizzazione politica e la libera espressione. Nelle carceri marciscono 18 mila prigionieri «amministrativi», cioè incarcerati senza processo. Ovvio che in un Paese dove l’articolo 179 del codice penale vieta qualunque critica diretta del raïs, i media - compresi i tre o quattro giornali detti indipendenti - siano prudentissimi. Praticamente muti sulla corruzione, i brogli elettorali, gli abusi di ogni genere.
E’ in questo contesto - occorre saperlo per capire il coraggio che ci vuole - che Waël Abbas e i suoi amici ribelli si danno alla loro pericolosa attività. Ciascuno ha i suoi motivi. «E’ un movimento nato dalla frustrazione, senza capi né strutture», spiega la star della blogosfera. «Eravamo stufi di obbedire ai nostri genitori, ai professori, ai poliziotti, allo Stato, a Mubarak, senza poter mai dire la nostra», dice Shahinaz, l’ingegnere. Così si apre un blog.
In un Egitto che ormai conta 80 milioni di abitanti, una buona metà dei quali analfabeta, circa 12 milioni di persone navigano regolarmente, sui loro computer o negli Internet Caffè. Duecentomila hanno aperto un blog. Meno del 5 per cento, cioè circa diecimila, possono essere considerati politicamente impegnati. I più famosi possono contare su una media di 30 mila lettori regolari. E’ più di quanti ne abbiano certi giornali di governo. O anche di opposizione.
Mustafa Naggar, un dentista di 29 anni, è diventato famoso attaccando «l’arcaismo» dei Fratelli musulmani», la principale opposizione, teoricamente proibita, praticamente e sporadicamente tollerata, almeno fino a un certo limite. Membro attivo della confraternita, Naggar si è battuto sul suo blog per «una rinascita islamica moderata, aperta agli altri e lontana dai valori estremisti del waabismo».
Con altri «fratelli» famosi della rete, come Abdumonen Mahmud, il pioniere che nel 2004 osò mettere in rete un blog intitolato «sono un fratello musulmano», Naggar è riuscito a lanciare un dibattito interno alla confraternita sul posto della donna nell’islam, che vogliono «uguale a quello dell’uomo», la separazione tra Stato e religione - che vogliono «totale» - e la necessità di istituire «una vera democrazia». Nulla però è cambiato Idem nel campo laico, piuttosto di sinistra, al quale appartiene la maggioranza dei blogger. Waël Abbas è un po’ depresso: «Ho l’impressione che ultimamente siamo meno attivi. I giornali, anche i più indipendenti, hanno sempre più paura di pubblicare quello che noi scriviamo sui nostri blog. C’è stanchezza, disillusione, anche paura». Secondo l’avvocato Gamal Eid, anche lui blogger e difensore di tutti i «fratelli di rete», nel 2008 sono stati interrogati più di 500 blogger e giornalisti. Dal 2002 è attiva un’unità di polizia con 18 ufficiali specializzati nel controllo di Internet. «Leggono circa il 15 per cento di quello che scriviamo», dice l’avvocato Eid. A volte si impuntano su uno e gli piombano addosso: arresto, confisca del computer, interrogatorio feroce. Mettono paura. Ma stimolano anche la resistenza.
Copyright Le Monde
Dopo l’assoluzione in un processo terminato due settimane fa, arriva la prima condanna per Tareq Aziz, ex braccio destro di Saddam Hussein: ieri gli sono stati inflitti 15 anni di prigione, al termine di un processo in cui sono state emesse anche due condanne a morte e un ergastolo.

LIBERO - Simona Verrazzo : " Hanno vinto i talebani "

L’ultimatum è domenica 15 marzo, data entro la quale la sharia (la legge coranica) entrerà in vigore nella regione pachistana della North-West Frontier Province, al confine con l’Afghanistan. Se così non sarà riprenderanno gli attacchi dei talebani ai danni dei militari regolari di Islamabad. È quanto prevede l’accordo con cui gli “studenti di Allah” hanno piegato il governo del Pakistan: niente guerriglia in cambio dell’amministrazione del territorio in base ai dettami del Corano. Tutt’altra storia sul versante opposto, l’Afghanistan, dove è arrivato l’importante sostegno della Germania alla politica del presidente americano, Barack Obama, che la scorsa settimana aveva annunciato di voler dialogare con i talebani moderati per ridare stabilità al paese. Il ministro della Difesa tedesco, Franz Josef Jung, in visita martedì a Kabul, ha detto di ritenere possibile un’apertura di dialogo con i talebani moderati, a patto che essi rinuncino alla violenza. La stessa posizione è stata nuovamente ribadita dal vicepresidente americano, Joe Biden, che a Bruxelles ha partecipato al suo primo Consiglio Nord Atlantico. Il numero due della Casa Bianca, riferendosi ai talebani moderati, ha affermato che «vale la pena di entrare in contatto e di verificare se, quali e quanti tra loro hanno la volontà di partecipare alla costruzione di uno Stato afghano stabile e sicuro». Il dialogo, per Biden, è «parte di una soluzione pragmatica» in Afghanistan, così come è accaduto in Iraq con le tribù sunnite prima fedeli ad Al Qaida. Pakistan e Afghanistan, due modi completamente diversi di trattare con i talebani. C’è il dialogo occidentale, guidato da Stati Uniti e Germania, che allunga la mano soltanto ai moderati per farli partecipare alla ricostruzione dell’Afghanistan. E poi c’è il dialogo di Islamabad che di fatto ha ceduto una fetta del territorio pachistano ai fondamentalisti islamici purché finiscano le azioni di guerriglia contro i militari regolari. Da domenica, tra quattro giorni, i talebani (quelli non moderati) avranno il diritto di amministrare la North-West Frontier Province secondo i dettami della sharia. Per buona parte della regione, in particolare nella Valle di Swat, questo già accade. Ma dal 15 marzo gli unici tribunali che potranno essere istituiti saranno quelli coranici, che contemplano pene che vanno dalla lapidazione per le donne adultere alla legge del taglione per chi ruba. L’obiettivo è trasformare la provincia in una fotocopia dell’Afghanistan del tempo dei talebani. In concreto questo significa una vita ingabbiata nei dettami del Corano. Per cui saranno ufficialmente banditi i negozi di musica e film (proibiti secondo l’islam ultra-ortodosso), così come verranno chiusi i barbieri perché gli uomini devono portare la barba lunga come l’aveva Maometto. Come sempre andrà peggio alle donne, che potranno indossare soltanto il burqa e alle quali sarà proibito uscire da sole anche se soltanto per andare al mercato a fare la spesa. Nessuno poi crede alla promessa che alle bambine e alle ragazze verrà garantita l’istruzione (purché con il volto e il corpo velati) perché sono centinaia le scuole femminili distrutte dai talebani. Domenica è arrivato l’ultimo divieto: non rilasciare carte di identità alle donne perché è una pratica anti-islamica. L’annuncio è arrivato da Omar Farooq, comandante dei Tehrik-e-Taliban, uno dei più temibili gruppi talebani con oltre 30.000 uomini. Farooq ha inviato una lettera all’Autorità Nazionale per le registrazioni e la conservazione dei dati dove minacciava attentati agli uffici dell’autorità se questa non si atterrà alle sue disposizioni. Farooq ha anche avvisato le donne a non recarsi a chiedere i documenti se non vorranno andare incontro a gravi conseguenze. Tutti questi proclami da domenica diventeranno legge e nella North-West Frontier Province il governo centrale cesserà del tutto di esistere. E se così non fosse la vendetta talebana non si farà attendere perché gli studenti di Allah sono pronti per «nuovi combattimenti». A dirlo è il “negoziatore” Sufi Muhammad, che ha rappresentato i talebani al tavolo dove è stato siglato l’accordo che ha piegato il governo di Islamabad.

CORRIERE della SERA - " Prima condanna per Tareq Aziz "

BAGDAD— L'ex vice premier iracheno Tareq Aziz (foto) è stato condannato ieri a 15 anni per l'esecuzione nel 1992 di dozzine di commercianti. Due fratellastri di Saddam sono stati condannati a morte.

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