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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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La Repubblica - Corriere della Sera Rassegna Stampa
12.03.2009 Rapporti Islam/Occidente
Stralci dell'ultimo libro di Bernard Lewis e la risposta di C. Hitchens a Fareed Zakaria

Testata:La Repubblica - Corriere della Sera
Autore: Bernard Lewis - Christopher Hitchens
Titolo: «Perché i musulmani odiano l´America - Negoziare con gli islamici radicali: tutti i pericoli di una resa»

Riportiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/03/2009, a pag. 42, l'articolo di Bernard Lewis dal titolo " Perché i musulmani odiano l´America " sui rapporti fra occidente e Islam e, dal CORRIERE della SERA, a pag. 36, l'articolo di Christopher Hitchens dal titolo " Negoziare con gli islamici radicali: tutti i pericoli di una resa " , in risposta all'articolo " Come convivere con l'islam radicale " di Fareed Zakaria (CORRIERE della SERA del 4/03/2009. Per leggere l'articolo e la critica di IC, digitare nella casella "cerca nel sito" "Fareed Zakaria"). Ecco gli articoli:

La REPUBBLICA - Bernard Lewis : " Perché i musulmani odiano l´America "

Anticipiamo alcune pagine tratte da "Le origini della rabbia musulmana" di (Mondadori, pagg. 440, euro 32).
All´inizio la risposta musulmana alla civiltà occidentale fu di ammirazione ed emulazione, di rispetto per le conquiste occidentali e desiderio d´imitarle e adottarle. Questo atteggiamento nasceva da un´acuta e crescente consapevolezza della debolezza, della povertà e dell´arretratezza del mondo islamico rispetto all´Occidente progredito.
(...) Nella nostra epoca, in molti musulmani quel sentimento di ammirazione ed emulazione ha lasciato il posto all´ostilità e al rifiuto, sicuramente derivanti da un senso di umiliazione (...) oltre che da eventi verificatisi nel mondo occidentale. Un fattore di notevole importanza fu certo l´impatto di due grandi guerre suicide in cui la civiltà occidentale si dilaniò, provocando innumerevoli distruzioni a se stessa e ad altri popoli, e dove i belligeranti condussero un immenso sforzo di propaganda, nel mondo islamico e altrove, per screditarsi e indebolirsi reciprocamente. Il loro messaggio trovò molti ascoltatori pronti a rispondere proprio perché avevano già un´esperienza negativa dei metodi occidentali.
L´introduzione dei sistemi commerciali, finanziari e industriali dell´Occidente portò ovviamente una grande ricchezza, più a occidentali trapiantati e a membri di minoranze occidentali che alla popolazione musulmana. (...) A un gran numero di mediorientali i sistemi economici occidentali portarono povertà, le istituzioni politiche occidentali portarono la tirannide, la guerra all´occidentale portò la sconfitta. Non c´è da sorprendersi se in tanti hanno prestato ascolto alle voci secondo cui l´antico sistema islamico è il migliore e l´unica salvezza consiste nel mettere da parte le innovazioni pagane dei riformatori e ritornare al cammino di verità prescritto da Dio al suo popolo.
In definitiva, i fondamentalisti combattono contro due nemici: secolarismo e modernismo. La guerra contro il primo è consapevole ed esplicita, ed esiste una letteratura che lo denuncia come forza del male neopagana operante nel mondo moderno, attribuita, a seconda dei casi, agli ebrei, all´Occidente e agli Stati Uniti. La guerra contro il secondo non è, in genere, né consapevole né esplicita ed è diretta contro l´intero processo di cambiamento verificatosi nel mondo islamico nel secolo scorso o prima, che ha trasformato le strutture politiche, economiche, sociali e addirittura culturali dei paesi musulmani. Il fondamentalismo islamico ha dato al risentimento e alla rabbia delle masse musulmane una finalità e una forma di cui erano prive, e le ha indirizzate contro le forze che hanno svalutato i valori e le lealtà tradizionali, derubandole in ultima analisi di convinzioni, aspirazioni, dignità e, in misura sempre più estesa, addirittura dei mezzi di sostentamento.
Eppure, nei momenti di sovvertimento e disordine, quando si risvegliano le passioni più profonde, quella dignità e quella cortesia verso gli altri possono lasciare il posto a una miscela esplosiva di rabbia e odio che spinge addirittura il governo di un paese antico e civile, e il portavoce di una religione altamente spirituale ed etica, a ricorrere al sequestro e all´assassinio, cercando legittimazione e addirittura qualche precedente nella vita del Profeta. L´istinto delle masse non sbaglia nel riconoscere la fonte di questi disastrosi cambiamenti nell´Occidente, attribuendogli la distruzione del loro antico modo di vita di fronte all´impatto del dominio, dell´influenza, dei precetti e dell´esempio occidentali. E dato che gli Stati Uniti sono i legittimi eredi della civiltà europea nonché il leader riconosciuto e incontrastato dell´Occidente, sono loro ad aver ereditato le rimostranze, diventando il bersaglio dell´odio e della rabbia repressi.

CORRIERE della SERA - Christopher Hitchens : " Negoziare con gli islamici radicali: tutti i pericoli di una resa "

C' è un pensiero che ha iniziato improvvisamente a far tendenza. Se solo fosse possibile — questo il succo — separare, nel confronto con l'Islam reazionario, gli estremisti moderati dagli estremisti veramente estremi. In questi ultimi giorni, abbiamo sentito il presidente statunitense Barack Obama contemplare una distinzione tra talebani «buoni» e «cattivi», il governo britannico insistere sulla differenza tra «Hezbollah-partito politico» e «Hezbollah-milizia», e Fareed Zakaria ( Corriere del 4 marzo) sostenere che il miglior sistema per neutralizzare i militanti potrebbe essere quello di consentir loro di fare le cose a modo proprio, poiché la brama di imporre la sharia non equivale alla sete di jihad globale, e potrebbe anzi smorzare — in parte — tale sete.
Sarebbe sciocco negare che questo approccio abbia le sue valide ragioni: da qualche tempo, il governo Karzai in Afghanistan tiene a distinguere tra i folli seguaci del Mullah Omar e i talebani di mera rilevanza locale, offrendo a questi ultimi varie possibilità di amnistia e riconciliazione. In Libano, in un modo o nell'altro, Hezbollah prende parte alle elezioni e sinora si è sempre attenuto ai risultati (prestandosi anche come intermediario per eventuali futuri colloqui con l'Iran). E in Iraq, l'iniziale successo dell'azione di contrasto ad Al Qaeda è stato dovuto alla persuasione a suon di dollari e al reclutamento di altri insorti sunniti già ostili ad Abu Musab al-Zarqawi e Osama Bin Laden. Una delle tante ragioni per cui sono sempre stato contrario al ricorso alla tortura e ad altri metodi extralegali, è che tali sistemi bruciano irrimediabilmente ogni possibilità di «convertire» determinate categorie di militanti islamici e farne dei potenziali alleati.
Occorre prestare molta attenzione, tuttavia, alle lusinghe di questo genere di compromesso.
Nell'illusorio tentativo di porgere un ramoscello d'ulivo ai talebani nel territorio del Pakistan, il governo del Paese ha recentemente ceduto agli ultraviolenti fautori del partito e del Dio unico una valle fertile, prospera e al passo con la modernità situata nella provincia Nord-occidentale: l'ex principato di Swat. Non stiamo parlando di un'area tribale abbandonata alla desolazione, dove il governo e i confini risultano da decenni evanescenti, com'è il caso del Waziristan. Siamo a poche ore di viaggio dalla capitale, Islamabad. I talebani non hanno mai vinto un'elezione in quest'area; anzi, l'esito delle ultime consultazioni è andato in direzione esattamente opposta. E i profughi continuano ad abbandonare in massa la vallata, ora che i fondamentalisti se ne impossessano e danno il via alla loro campagna di annientamento culturale ed economico: niente più musica, né istruzione per le ragazze, né riconoscimento dell'autorità del governo centrale.
La rinuncia al potere da parte delle già traballanti autorità pachistane ha avuto l'effetto di imbaldanzire gli estremisti, anziché temperarne le posizioni. L'interlocutore simbolico con cui è stato siglato l'accordo, il Maulana Sufi Muhammad, è legato per clan e ideologia a personaggi ben più giovani e agguerriti, tra cui i sospetti responsabili dell'assassinio di Benazir Bhutto, dei roghi che hanno devastato centinaia di scuole femminili, dell'uccisione di soldati pachistani e del massacro di leader di tribù locali che hanno osato opporre resistenza alla legge dei talebani. Innumerevoli testimonianze indicano che i militanti non mostrano la benché minima intenzione di rispettare i termini della cosiddetta tregua. Anziché sborsare denaro per ottenere la pace, il governo pachistano ha ceduto parte del suo territorio vitale, e senza neanche lottare, a coloro che possono e riusciranno a farne una piattaforma per ulteriori e sempre più esorbitanti rivendicazioni. Non stiamo neanche parlando di un differimento dell'incubo imminente, che è la completa disintegrazione del Pakistan quale entità statuale. Il processo di disgregazione è già avviato.
In Afghanistan e in Iraq, dove numerosi musulmani di posizioni assai intransigenti si schierano al fianco dei governi eletti e contro le forze del nichilismo, c'è anche una robusta presenza di truppe Nato o della coalizione, che possono ricorrere alla potenza di fuoco per far valere le proprie ragioni. È stato proprio questo il presupposto necessario, ma non sufficiente, dei movimenti del «risveglio» su cui il generale David Petraeus ha fatto e fa tuttora affidamento. Anche in assenza di tale fattore, tuttavia, la resa di vaste porzioni di territorio sovrano e strategico al nemico non è contemplata in nessun piano di questo tipo; in caso contrario, le conseguenze sarebbero state catastrofiche.
Nell'articolo cui si è accennato, Fareed Zakaria fa una giustissima osservazione: non si è mai identificato alcun cittadino afghano tra i gruppi terroristici transnazionali che destano più forte preoccupazione. E ha ragione più di quanto egli stesso immagini: è più probabile, oggi, che il potenziale dirottatore in un attentato terroristico abbia la cittadinanza britannica, anziché afghana. Questa può facilmente scadere, tuttavia, al rango d'una sterile distinzione.
Quando erano al potere, i fondamentalisti afghani di fatto hanno offerto ad Al Qaeda un porto sicuro nel proprio Paese, concedendole piena libertà di movimento in aree periferiche nonché la possibilità di emettere passaporti, avvalersi di un aeroporto e via dicendo. Più o meno gli stessi vantaggi, ma in una zona assai più centrale, saranno ora accessibili in quella che un tempo era una provincia civilizzata del Pakistan, Paese alleato dell'America. Tutto ciò ha davvero dell'incredibile.
C'è un altro punto di simbiosi tra il fallimento di uno Stato di quel tipo e la diffusione di violenza letale. Uno Stato o una regione conquistati dai jihadisti sono destinati a scivolare nel giro di breve tempo nella povertà, nell'arretratezza e nella barbarie più estrema. È una regola che non prevede eccezioni.
Né c'è bisogno di dimostrare ancora una volta quale sorte attende i Paesi dove perversi visionari tentano di governare masse di illetterati con l'aiuto d'un solo libro. E su chi ricadrà la colpa del fallimento?
Posso garantirvi che i responsabili mullah non organizzeranno una seduta di autocritica. Al contrario, tutti i mali verranno imputati al complotto crociato-sionista, e ai giovani affetti da disturbi di apprendimento o malattie da carenza verrà spiegato come esportare le proprie frustrazioni verso lidi più felici. È così che lo Stato fallito si trasforma in Stato canaglia. Ed è per questa ragione che dobbiamo manifestare la nostra solidarietà a tutte le forze laiche, le associazioni femminili e altri gruppi che non vogliono che tutto ciò abbia a verificarsi nelle loro società o nelle nostre.
È assolutamente necessario che i comandanti sul terreno stipulino accordi tattici con i gruppi dissenzienti, tentino di esacerbare le linee di divisione tra essi, applichino le regole del divide et impera e difendano il male minore, pur di evitare il peggio. C'est la guerre. In nessun caso, tuttavia, si dovrebbe lasciare il monopolio della violenza a forze teocratiche o totalitarie. Per questa e altre ragioni, avremo a lungo di che biasimare la vergognosa scelta di consegnare i poveri abitanti della valle di Swat, legati e imbavagliati, nelle mani dei talebani. E — quel che è peggio— senza neanche combattere.

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