Ecco come le donne afgane e pakistane hanno celebrato la festa della donna. Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 09/03/2009, a pag. 11, l'articolo di Fausto Biloslavo dal titolo " Kabul, a viso scoperto per i diritti femminili " sulle donne afghane che ieri hanno manifestato per i loro diritti a Kabul. Peccato che abbiano dovuto farlo al chiuso e circondate da agenti armati per motivi di sicurezza. Riprendiamo, inoltre, dall'UNITA' due articoli. Il primo, a pag. 27, di Placido Falcone dal titolo " Il sogno di Selima spezzato dalla Sharia " sulla condizione delle donne pakistane, alle quali non è permesso studiare nè lavorare, il secondo, a pag. 21, dal titolo " I fondamentalisti vietano alle donne le carte d'identità " sempre sulle donne pakistane, alle quali non è concesso neppure di avere la carta d'identità e uscire di casa se non accompagnate da un loro parente di sesso maschile. Ecco gli articoli:
Il GIORNALE - Fausto Biloslavo: " Kabul, a viso scoperto per i diritti femminili "
Un velo azzurro è il nuovo simbolo dell’8 marzo afghano. Sono un migliaio le donne che hanno abbandonato il burqa, il pesante indumento che le ricopriva come fantasmi dalla testa ai piedi. A Kabul, la capitale, a Herat, dove si trova il grosso delle truppe italiane, nella più grande città del Nord, Mazar i Sharif, e nella commerciale Jalalabad le donne afghane si sono coperte il capo con un leggero velo azzurro. Il colore del cielo ha fatto capolino anche a Kandahar, l’ex capitale dei talebani, la città più conservatrice dell’Afghanistan. Un gruppo di donne coraggiose ha manifestato per l’8 marzo con questo nuovo simbolo di libertà e rivolta.
«Le donne hanno gli stessi diritti e opportunità degli uomini. Le stesse garanzie come l’accesso all’educazione, all’assistenza sanitaria e di fronte alla giustizia. Lo stabilisce la Costituzione», dichiara Suraya Parlika al quotidiano spagnolo El Mundo. La «pasionaria» afghana è una delle animatrici dell’8 marzo a Kabul, dove la strada per trasformare in realtà i principi della Costituzione è ancora lunga.
Secondo l’Onu, fra il 70 e l’80% delle donne afghane è costretto a matrimoni forzati organizzati dai capi famiglia, con un marito mai conosciuto prima. L’84,2 % è analfabeta e soltanto una ragazza su cinque maschi va a scuola. Una donna su tre subisce violenze fisiche, psicologiche e sessuali.
L’Afghanistan è il Paese con la più alta mortalità al mondo durante il parto. Ogni anno fra 1.600 e 1.900 donne muoiono dando alla luce un bambino. «Il velo azzurro è un simbolo di pace, ma con giustizia», spiega Parlika. Per la prima volta in tutte le grandi città del Paese è stato adottato un simbolo comune per i diritti delle donne. A Kabul volevano manifestare in piazza, ma per ragioni di sicurezza il ritrovo è avvenuto in un salone ministeriale circondato da agenti armati. «Continueremo a manifestare. Il prossimo anno, per la giornata internazionale della donna, lo faremo in tutte le province afghane», promettono le organizzatrici. I talebani non sopportano che le donne alzino la testa. A dicembre hanno assassinato il marito di Paween Mushtakhel, attrice della televisione afghana. Nonostante le ripetute minacce si rifiutava di ordinare alla moglie di non apparire più in tv. A settembre è stata trucidata a Kandahar Malalali Kakar, la più famosa poliziotta afghana. Sempre a Kandahar, 14 ragazzine sono state sfregiate con l’acido, in un solo giorno, perché andavano a scuola. Tutte sono tornate sui banchi, compresa Shamsia Husseini, più deturpata delle altre.I talebani e gli ultras conservatori che si annidano nella società pashtun hanno compilato una lista di incarichi e lavori tabù. Nel mirino ci sono le parlamentari, le giornaliste, le insegnanti, medici, attrici, cantanti, ballerine e soprattutto le collaboratrici di organizzazioni umanitarie occidentali.
In Afghanistan inoltre sono molte le donne che si suicidano dandosi fuoco. Ad Herat, una delle città più liberali, sono stati registrati negli ultimi sei mesi 47 casi. Soltanto sette sono le sopravvissute. Si uccidono perché brutalizzate dai mariti o ridotte a schiave dalla famiglia di lui. Nel 2007 i casi erano 186, ma si tratta soltanto della punta dell’iceberg. La maggioranza dei suicidi non è denunciata.
L'UNITA' - Placido Falcone " Vietato andare a scuola - il sogno di Selima spezzato dalla Sharia"
Non c’è mai stato un 8 marzo più disperato di questo per Selima, anche se negli ultimi giorni le bombe e le raffiche dei kalashnikov sono quasi scomparse. Negli ultimi anni la paura cresceva e cresceva, praticamente da quando aveva ottenuto il posto di insegnante nella scuola pubblica pachistana di un villaggio vicino Mingora, nella bella Valle dello Swat. Selima non temeva, sapeva che un giorno sarebbe successo.
Ha visto i talebani aumentare di numero e sentito propagandare la loro fede attraverso «Radio Mullah» praticamente in ogni casa del villaggio, anche con gli altoparlanti. Dicevano che le ragazze non devono andare a scuola, che è contro la legge della sharia islamica, e che camminare in giro da sole senza un familiare maschio al fianco era «indecente». Parecchie sue amiche diplomate come lei a Peshawar, la grande città frontaliera dei mille traffici, avevano già dovuto lasciare il lavoro di insegnanti perché le loro scuole, più di 120, erano state bruciate o fatte saltare con la dinamite, e in qualche caso anche le bambine erano state picchiate per non essere rimaste a casa.
Ora Selima ha saputo che il governo ha stretto un patto con i talebani che entra in vigore pienamente tra pochi giorni, il 15 marzo: il cessate il fuoco e la pace tra talebani ed esercito in cambio di una più severa applicazione della sharia, che nello Swat si chiama Regolamento Nizam-e-Adl. Sarà in vigore da Chitral all’Upper e Lower Dir, nell’Agenzia e nella Divisione Malakand, a Shangla e Buner, in Kohistan, in Hazara, regioni chiamate un tempo Udyana e poi Gandhara, celebri per la grande quantità di pacifici mistici e monaci che abitavano le sue grotte e propagandarono per primi la religione del Buddha fuori dall’India. Sulla carta il regolamento firmato dal capo ministro delle province Nord Ovest e dal capo delle milizie talebane Maulana Fazlullah (Radio Mullah) non prevede il divieto di far studiare le donne, ma Selima sa che si tratta solo di una formalità per non far perdere la faccia al governo davanti al mondo. Nessuna donna già ora può uscire da casa non accompagnata, men che meno senza velo integrale. Le potrebbe andare bene, ma il rischio di incontrare una ronda di «Radio Mullah», barbuti militanti del disciolto e rinvigorito Tehrik Nifaz Shariat-e-Muhammad (TNSM), o qualche altro sostenitore fanatico della legge coranica, sarebbe troppo alto.
La stampa pachistana, con l’eccezione di gran parte dei quotidiani in lingua inglese letti dall’elite più educata e tollerante, ha elogiato l’accordo perché ha comunque riportato la pace in quest’oasi di natura e storia fino a pochi anni fa aperta al turismo internazionale. Il governo ha spiegato agli alleati di Washington che non si tratta di un ritorno ai tempi dei talebani di Kabul, ma la voce di Selima e delle altre migliaia di donne che vivono nel terrore non può essere ascoltata dal vivo, per capire che in realtà le cose stanno proprio così.
Otto anni passati dalla fine del regime fondamentalista, anni di guerre, attentati, sofferenza, l’arrivo nel pacifico Swat di gruppi sempre più consistenti di militanti islamici fuggiti dagli attacchi nel Waziristan, i corpi di ladri, prostitute, traditori e semplici accusati di esserlo che da mesi penzolano (ma non negli ultimi giorni) dagli alberi dei parchi, artisti e cantanti che devono interrompere le loro esibizioni o fuggire a Karachi e Lahore, venditori di CD e video disoccupati, barbieri puniti se tagliano le barbe. Questo succede sullo sfondo delle uniche montagne verdi di questa immensa regione dell’estrema punta nord del Pakistan. Il governo del moderato Asif Alì Zardari, vedovo di Benazir Bhutto uccisa dai fondamentalisti, si è fatto vanto di aver siglato l’accordo grazie alla mediazione di un Mullah «moderato». Si chiama Sufi Muhammad e ai tempi dell’attacco americano in Afghanistan dopo l’11 Settembre reclutò quasi diecimila volontari per liberare la terra islamica dagli Infedeli. Una delle sue figlie è andata in sposa a uno dei pochi comandanti sopravvissuti a quella guerra di Jihad, proprio il celebre Radio Mullah, Maulana Fazlullah, ma nei resoconti della stampa regionale i due parenti vengono descritti quasi come antagonisti. Il genero Maulana professa una via per la Moksha, la liberazione spirituale, che passa unicamente attraverso la mortificazione dei sensi e l’accelerazione dal distacco verso ogni forma di attaccamento alle grazie del mondo, siano esse fattezze femminili esposte come tra i miscredenti occidentali, o la musica, come tra i Sufi, che si professano seguaci dello stesso Allah. Il suocero, che si chiama Sufi ma non aderisce affatto al movimento reso celebre dal poeta Rumi, la pensa allo stesso modo, ed è stato infatti anche uno degli insegnanti di Corano di Maulana. Ma con l’età ha acquistato maggiori doti di compromesso, e soprattutto sa di essere libero grazie ai «nemici» di Islamabad, invece di marcire in qualche cella come volevano i giudici che lo hanno accusato di aver comandato bande terroristiche collegate ad Al Qaeda.
Dopo la «grazia» ottenuta dall’ex presidente Musharraf, anche il governo laico di Zardari continua a trattarlo come se davvero fosse il solo garante dell’applicazione di una sharia moderata tra fasce di popolazione che – come Selima – sono estranee alla mentalità ultra-religiosa. Basta considerare che alle elezioni i cittadini avevano votato a grande maggioranza per i partiti più «laici» e secolari, come lo stesso Partito popolare di Benazir e Zardari.
Il caso di Selima e molte altre come lei dice fin da ora che la loro fiducia è stata tradita in un gioco delle parti ad alto livello nel quale ognuno sa come stanno davvero le cose sul terreno, ma finge di non saperlo. Islamabad sa che il vecchio Mullah può davvero poco contro il genero e gli altri suoi sostenitori che imperversano ovunque, rendendo la vita della gente, donne in testa ma non solo, esasperante. Nell’accordo in 17 punti che è già ufficialmente in vigore, infatti, non è prevista nemmeno la consegna delle armi («lo faranno in seguito», è stato detto) da parte dei gruppi armati, formati in diverse aree della regione talebanizzata. Ma sarà instaurata – ed in molti posti già funziona a pieno – la Corte islamica, spesso formata dagli stessi precedenti giudici di carriera che accettano di aderire al codice della sharia e ne applicano le condanne. Casi di fustigazioni in pubblico sono già da tempo scena quotidiana in ogni capoluogo o grande villaggio, e praticamente non è rimasto aperto alcun locale pubblico, né i bordelli che sopravvivevano quasi sempre a ogni epurazione semplicemente diventando clandestini.
La speranza che questo porti a una pace duratura, come sostiene il governo, è debole come il cessate il fuoco già violato più volte, con due militari uccisi e un giornalista televisivo rapito nella roccaforte dei militanti. Per questo Selima da molti anni, e specialmente oggi, non vuole nemmeno sentire parlare dell’Otto marzo, inventato cento anni fa per le donne dell’Occidente. Così sua sorella che ha pregato i cronisti di non rivelare il suo nome: «Mia madre – racconta - mi dice di non sognarmi neppure di continuare gli studi da dottore, ma io tremo all’idea di passare la mia vita chiusa in casa o di dover girare sempre col velo accompagnata da un uomo. E se una donna si ammala da chi si farà visitare? Potranno vederla i medici maschi? Mi era stato detto che in Islam l’educazione è un diritto di uomini e donne, ma i talebani hanno distrutto le nostre scuole». I dati le danno ragione: delle 191 scuole distrutte, 122 erano frequentate solo da bambine e ragazze. Che i responsabili delle distruzioni siano gli stessi chiamati ufficialmente ad amministrare la legge Coranica, la dice lunga su ciò che succederà in questa Svizzera pachistana, ma non solo. In altre province i guerriglieri di Allah possono reclamare altri accordi altrettanto «moderati».
L'UNITA' - " I fondamentalisti vietano alle donne le carte d'identità "
I talebani pachistani della regione tribali del Khyber, nel nord ovest del paese ai confini con l'Afghanistan, hanno avvisato le autorità di non rilasciare carte di identità alle donne perchè è una pratica anti-islamica. Lo ha detto Omar Farooq, comandante del gruppo talebano Tehrik-e-Taliban ai giornalisti. Farooq ha inviato una lettera all'Autorità Nazionale per le registrazione e la conservazione dei dati, che i suoi uomini sono pronti ad attaccare gli uffici dell'autorità se questa emetterà carte di identità per le donne. Secondo il leader del gruppo terrorista i talebani non possono permettere alle donne di ottenere queste carte in quanto la procedura va contro la legge islamica. Farooq ha anche avvisato le donne di non andare a chiedere questi documenti se non vorranno andare incontro a conseguenze. I talebani della provincia dello Swat nella Provincia Frontaliera di Nord Ovest, dove il 15 marzo dovrebbe entrare in vigore la sharia, hanno vietato l'educazione scolastica per le bambine e hanno vietato alle donne di uscire di casa anche solo per andare al mercato, senza essere accompagnate da parenti maschi.
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