Le tappe del viaggio di Benedetto XVI in Israele e la sua decisione di non andare a Gaza nonostante l'invito di Hamas. Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 09/03/2009, a pag. 15, la cronaca di Giacomo Galeazzi dal titolo " Papa in Israele, ma non andrà a Gaza " e dal CORRIERE della SERA, a pag. 15 l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Nuovi documenti su Pio XII, Gerusalemme apre al Vaticano " sul convegno di due giorni su Pio XII che si terrà a Gerusalemme. Ecco gli articoli:
La STAMPA - Giacomo Galeazzi: " Papa in Israele, ma non andrà a Gaza "
CITTA’DEL VATICANO
«Dio mi accompagni e ricolmi delle sue grazie quanti incontrerò sui miei passi». Ieri all’Angelus l’annuncio di Benedetto XVI ha ufficializzato lo storico viaggio in Terra Santa dall’8 al 15 maggio. Il pellegrinaggio papale si snoderà tra Amman, Gerusalemme, Betlemme, Nazareth per «domandare al Signore, visitando i luoghi santificati dal suo passaggio terreno, il prezioso dono dell’unità e della pace per il Medio Oriente e l’intera umanità». Dunque niente Ramallah né Striscia di Gaza, come auspicato fino all’ultimo dai cattolici palestinesi. Il portavoce vaticano padre Federico Lombardi precisa che «è stato accolto l’invito del re di Giordania, del presidente di Israele, del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese e dell’Assemblea degli Ordinari cattolici».
La situazione militare non ha consentito, invece, di accogliere l’invito di padre Manuel Mussalam, parroco cattolico nella Striscia, che aveva indirizzato un appello a Benedetto XVI in vista del suo viaggio. «Invito il Papa a Gaza quando a maggio sarà in Terra Santa - si legge nella missiva -. E’ un invito ufficiale a nome dei cristiani e dei musulmani di Gaza. C’è anche il benestare di Hamas, i cui capi sarebbero ben contenti se il Papa venisse, fosse solo per un paio d’ore, a trovare la nostra comunità cristiana e a portare il suo messaggio di pace all’intera popolazione di Gaza così provata dalla guerra. Sappiamo che ci sono molte difficoltà ma, se si vuole, ogni ostacolo tecnico è superabile». Dell’invito a Gaza era stato informato anche il Patriarca latino di Gerusalemme, l’arcivescovo Fouad Twal, una delle autorità più coinvolte nella preparazione della visita che aveva assicurato il suo sostegno («Ne parlerò al Papa, certamente lo farò»). E invece sarà Betlemme l’unica tappa nei Territori Palestinesi di un viaggio delicatissimo che cercherà di porre fine alle polemiche divampate tra Vaticano e comunità ebraiche in seguito alla revoca della scomunica ai 4 vescovi lefebvriani, tra cui il negazionista Richard Williamson.
«La Striscia non poteva entrare nel programma per motivi pratici, il Papa era stato invitato dalla comunità cattolica di Gaza ma non era fattibile per la contingente situazione militare - spiegano in Segreteria di Stato -. Nazareth è in territorio israeliano, Betlemme palestinese. Gaza non era un ipotesi realistica a causa del conflitto e Ramallah avrebbe avuto un senso solo politico e non religioso. Non è un viaggio politico ma un pellegrinaggio sui luoghi del Vangelo». Occorre tener conto delle «condizioni contingenti» e delle «situazioni militari che cambiano da un momento all’altro», concorda padre David Jaeger, francescano della Custodia di Terra Santa e mediatore vaticano con Israele. «Il Papa compie il suo pellegrinaggio nella storia degli uomini e le questioni logistiche devono essere trattate pragmaticamente, luogo per luogo, con le autorità del posto», precisa.
Intanto il presidente israeliano Shimon Peres, si rallegra per la decisione di Benedetto XVI: «Sono molto lieto che il Papa abbia risposto positivamente al mio invito. Sarà un evento toccante e di importanza primaria dal quale spira un’aria di pace e di speranza».
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini: " Nuovi documenti su Pio XII, Gerusalemme apre al Vaticano "
GERUSALEMME — Lo tagliarono nella collina, mezzo secolo fa. Lo pensarono come una ferita che non si chiuderà mai. E in quella gigantesca fessura di cemento, misero una memoria e un nome: Yad Vashem (in ebraico), il Museo dell'Olocausto (per tutti). Ieri mattina monsignor Antonio Franco, nunzio vaticano, s'è presentato di buon'ora ed è entrato in quella ferita. Per rimarginarne un'altra: due giorni di studi, ricercatori a porte chiuse, riuniti a chiarirsi le idee su Pio XII e su quella targa che nel museo consegna Papa Pacelli alla vergogna di chi sapeva eppure tacque («...mise da parte una lettera contro l'antisemitismo preparata dal suo predecessore... non reagì con proteste... non s'associò alla condanna... non intervenne... »). Fra due mesi arriva Benedetto XVI e il programma prevede che non passi davanti alla scritta. Un gesto di riguardo, dopo mesi di gaffe, attacchi, sgarbi. Una cortesia che non cambia la sostanza di rapporti difficili.
Domanda: gli studiosi discuteranno se rimuovere la targa? L'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Mordechay Lewy, dice di no: «È solo uno scambio d'informazioni storiche ». Però «noi siamo per la libertà di ricerca», precisa il direttore di Yad Vashem, Avner Shalev, e ciò significa «ascoltare, pubblicare, discutere» anche gli studi più controversi, «se ben documentati». Merco-ledì, il Vaticano ha citato un documento del '43, trovato in un monastero, la prova che Pio XII affidò ad alcune suore 24 ebrei romani. Così, ecco monsignor Franco aprire il convegno per superare «tristi momenti»; chiarire che «non si può essere cattolici, se si nega la Shoah»; chiedere «uno studio anche sulle testimonianze e sulla realtà »; garantire infine che nella conservazione della memoria «la Chiesa è il miglior alleato di Yad Vashem» e quindi d'Israele, che della Shoah fa la sua religione civile. Alleanza problematica. Liti ben note: su Pio XII e la segretezza degli archivi vaticani, ma anche sulle «amnesie ebraiche» di Papa Ratzinger, sul vescovo negazionista Williamson, sui paragoni fra Gaza e i lager, sul programma tv che ha bestemmiato la Madonna... La più vecchia delle sfide, di cui meno si parla, è però su soldi e proprietà. Domani compie 15 anni il concordato che riaprì il dialogo fra Israele e Vaticano, ma la commissione bilaterale che deve applicarlo si riunirà fra un mese, senza prospettive. La Chiesa vuole un'esenzione fiscale simile a quella del rabbinato, fa presenti i servizi d'assistenza che offre a ebrei e palestinesi poveri, chiede uno status giuridico: ci sono proprietà, come il santuario di Cesarea confiscato negli anni 50 e raso al suolo, che Roma vorrebbe esaminate dai tribunali, non dai politici. E ci sono luoghi sacri, come il Cenacolo, che stanno sotto giurisdizione israeliana «e invece appartengono alla cristianità». Non è facile fare il prete in Israele, s'è lamentato qualche tempo fa padre David Jaeger, memoria storica dei cattolici, ricordando la fatica d'ottenere anche soltanto i permessi di soggiorno. Le ferite della storia non si chiudono. Ma se devono bruciare meno, per dirla con monsignor Franco, «serve un dialogo, non un confronto».
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