La nuova politica statunitense di apertura all'Iran che non accenna a interrompere la sua corsa al nucleare nè a riconoscere Israele e il suo diritto ad esistere suscita preoccupazioni. Di seguito riportiamo da PANORAMA n° 11 del 06/03/2009, a pag. 11, l'analisi di Fiamma Nirenstein dal titolo " Per l'Iran Hillay ha una carta " e dalla STAMPA di oggi, 09/03/2009, l'editoriale di Vittorio Emanuele Parsi dal titolo " Trappola Iraniana per Obama ". Riportiamo, inoltre, una breve dalla STAMPA , a pag. 8, dal titolo " L'Iran testa nuovo missile per gli aerei " sull'Iran che ha testato un nuovo missile dalla gittata di 110 Km. Ecco gli articoli:
PANORAMA - Fiamma Nirenstein : " Per l'Iran Hillary ha una carta "
Il messaggio giunto dall´Iran in questi ultimi giorni, persino quando finge
uno spunto diplomatico («Parleremo con Obama, ma solo quando gli Usa ci
mostreranno rispetto» dice Mahmoud Ahmadinejad), è chiaro: «Siete tutti fuori
tempo massimo». L´annuncio che la Russia ha completato il reattore di Busher, il satellite caricato su missili che possono condurre una bomba atomica a ogni latitudine, l´annuncio esplicito del capo dell´Organizzazione per l´energia atomica Gholamreza Aghazad («L´America deve guardare la realtà in faccia e accettare di vivere con un Iran nucleare»), gli interrogativi sull´acquisto del sistema russo di difesa S300, il lento risveglio dell´Iaea di Mohamed el-
Baradei, oltre agli avvertimenti («È fatta purtroppo») degli esperti americani
e israeliani...
Si prospettano solo due ipotesi: o il mondo è pronto a vivere con la minaccia
del paese integralista islamico che ritiene indispensabile dominare il mondo,
oppure qualcuno deve fare qualcosa. George W. Bush fu bloccato dal proclama del National intelligence estimate (il coordinamento delle 16 agenzie di spionaggio Usa), che riteneva, erroneamente, interrotto l´arricchimento atomico. Ora Barack Obama spera di riuscire a parlare con l´Iran.
Israele, come ha recentemente detto il ministro della Difesa Ehud Barak, «non
esclude alcuna opzione». Ma è chiaro che la gestione Obama non invita ad agire.
Comunque, per trattenere Israele ci sono varie strategie.
La prima è quella di un ombrello nucleare, che prima di tutto dovrebbe
risultare in una dichiarazione pubblica degli Stati Uniti che dovrebbe dire:
«Un attacco di Teheran a Gerusalemme causerebbe una devastante risposta
americana» (come già Hillary Clinton annunciò durante la sua campagna). Questo però significherebbe che Washington riconosce che l´Iran sta per diventare (o è già) una potenza nucleare e che può accettare l´ipotesi. Comunque, l´ombrello di protezione è già esemplificato dall´installamento di un sistema radar nel Negev.
Ma c´è una seconda complessa carta che il segretario di Stato Clinton ha
lanciato sul tavolo da gioco. Il suo nome è Dennis Ross. Dopo i ritardi legati
forse a una spartizione di competenze con l´inviato di pace di Obama George
Mitchell, il mediatore di Clinton, ebreo, sionista, nonché presidente dell´
Istituto di pianificazione del popolo ebraico, è divenuto «consigliere speciale
per il Golfo Persico e il Sud-Est asiatico». Sarà lui, con la sua provata
competenza, a consigliare i difficili passi del colloquio con Teheran, lui che
ha detto che «la lenta diplomazia dell´Occidente non va d´accordo con il rapido
sviluppo della capacità nucleare dell´Iran». Ma anche che «l´Iran ha ancora un
ampio spettro di profonde vulnerabilità economiche».
Insomma, Ross vuole tentare l´arma della deterrenza e della trattativa, e la
sua figura garantisce a Israele che chi sta trattando per gli Stati Uniti sa
quant´è pericoloso l´Iran. Tuttavia, Ross come l´amministrazione crede che un
processo di pace con i palestinesi sia indispensabile e che fermando la
crescita degli insediamenti ebraici e aumentando il potere del presidente dei
Territori, Abu Mazen, si farebbe un passo avanti. In pratica, dice Washington a
Israele, Ross garantisce che noi conosciamo il pericolo e che faremo di tutto
per fermare l´Iran. Tu però fa´ la pace con i palestinesi, magari anche se ti
chiami Benjamin Netanyahu.
La STAMPA - Vittorio Emanuele Parsi : " Trappola iraniana per Obama "
Può darsi che la strategia di Bush incentrata sulla necessaria interdipendenza delle varie crisi del «Greater Middle East» fosse troppo ambiziosa, ma la sensazione è che l’attuale amministrazione stia optando per un frazionamento molto rischioso, che condurrà gli Usa a giocare una serie di battaglie tattiche, lasciando all’Iran il privilegio di muoversi strategicamente sui diversi scacchieri subregionali. Con una mossa audace, ma forse poco lungimirante, Hillary Clinton ha invitato l’Iran a partecipare a una conferenza di pace sull’Afghanistan da tenersi entro la fine del mese. Anche nel momento più buio della crisi irachena, timidi tentativi di approccio alla repubblica islamica erano stati messi in atto. Senza gran successo, peraltro, al punto che il miglioramento della situazione in Iraq era arrivato dal surge e dalla politica di apertura ai leader tribali della minoranza sunnita, entrambi voluti dal generale Petraeus. Nel caso afghano, si parte da un presupposto corretto, il comune interesse degli alleati della coalizione e degli iraniani a sconfiggere i talebani, ma si sottovaluta la partita strategica che Teheran sta giocando con lucida coerenza da anni.
Se l’interesse iraniano a una sconfitta dei talebani in Afghanistan e Pakistan è evidente, molto meno chiaro è quale contributo potrebbe fattivamente apportare l’Iran alla pacificazione della regione.
I Paesi arabi sunniti, infatti, sono tutt’altro che favorevoli alla prospettiva di un qualche riconoscimento della leadership iraniana nella regione. E quanto poco velleitaria fosse la visione del Greater Middle East, lo dimostra uno sviluppo di solo 48 ore fa: il Marocco ha interrotto le relazioni diplomatiche con l’Iran dopo l’ennesima minaccia lanciata da Teheran all’indipendenza del Bahrein, definito una «ex provincia iraniana». Quasi le stesse parole con le quali Saddam Hussein liquidò la sovranità kuwaitiana prima dell’invasione del 1990, che scatenò la guerra del Golfo.
Tutt’altro che dubbio, invece, è quale ruolo la teocrazia iraniana stia giocando nell’altra grande crisi mediorientale, cioè quella israelo-palestinese, dove si frappone frontalmente alla ripresa del processo di pace, al punto da essere stato invitato da Abu Mazen a non intromettersi negli affari dei palestinesi. L’Iran non è solo uno dei maggiori finanziatori di Hamas ed Hezbollah, è anche uno dei principali avversari di qualunque riavvicinamento tra Damasco e Gerusalemme e di ogni ipotesi di normalizzazione tra Libano e Israele. Ma soprattutto, come è stato ribadito dai vertici del regime schierati al gran completo appena pochi giorni or sono, fa del non riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele un’arma fondamentale della propria politica estera. Ed è molto improbabile che essa possa essere abbandonata, poiché è la via attraverso la quale il regime rivoluzionario iraniano cerca di conquistare i cuori e le menti delle masse arabe, aggirando i loro governi (ritenuti asserviti all’Occidente), e facendo passare in secondo piano la natura sciita e non araba di chi tanto rumorosamente la agita.
Simili considerazioni sarebbero sufficienti a spingere Obama e Hillary Clinton a una maggior prudenza, prima di cadere nella «trappola iraniana». Conviene alienarsi larga parte del mondo arabo sunnita per compiacere Teheran? E in cambio di che cosa? Resta poi il dubbio se l’attuale amministrazione sarebbe davvero in grado di mantenere una simile politica di fronte alle pressioni che inevitabilmente Israele metterebbe in campo per spingere gli Usa ad abbandonarla, lasciando gli alleati europei col classico «cerino in mano».
Ovviamente, il fatto che l’Iran sia reticente sui propri programmi nucleari, sulla cui esistenza ha mentito per anni in aperta violazione del Trattato di non proliferazione da esso liberamente sottoscritto, e che ormai sia fortemente sospettato di essere a un passo dal raggiungimento di una capacità nucleare militare, non fa che aggiungere dubbi circa la saggezza di questa nuova fase della politica americana. In questo caso, paradossalmente, è l’Iran che sembra essere rimasto intrappolato nella sua stessa tela. Concepito come uno strumento per asseverare le proprie pretese di leadership o, quantomeno, per vedere riconosciuto il proprio ruolo di potenza regionale, il programma nucleare rischia invece di essere il maggiore ostacolo al conseguimento di un simile risultato. Proprio ora che in molti sarebbero pronti a mettere la buona volontà iraniana alla prova, la sua presunta esistenza rende sostanzialmente impossibile il raggiungimento di un fine strategico lungamente perseguito.
La STAMPA - " L'Iran testa un nuovo missile per gli aerei "
Ci chiediamo per quale motivo venga dedicata alla notizia solo una breve. L'Iran continua la sua politica aggressiva nei confronti di Israele, ma, evidentemente, non fa abbastanza notizia.
Quali siano le minacce dalle quali vuole difendersi l'Iran, poi, non è ben chiaro. Gli Usa, al momento, hanno adottato una politica di apertura verso l'Iran, l'Europa anche. Israele non minaccia l'Iran, semmai il contrario.
Un nuovo missile con una gittata di 110 chilometri è stato installato su aerei da caccia iraniani e «sperimentato con successo», secondo quanto scrive l’agenzia Fars. Il vettore, hanno spiegato esperti del settore difesa di Teheran, «può prendere di mira bersagli in mare grazie alla guida di un nuovo sistema radar». Il missile, del peso di 500 chilogrammi, rappresenta «un nuovo mezzo per rispondere alle minacce».
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