Tareq Aziz, braccio destro di Saddam Hussein, è stato assolto dal Tribunale speciale di Baghdad in uno dei processi a suo carico. Sarà giudicato ancora per altri crimini, ma la sua situazione è decisamente migliorata. Non vogliamo attribuirlo al fatto che sia cristiano e che alcune diplomazie siano intervenute a sua difesa, saremmo sospettosi e noi non lo siamo. Di seguito riportiamo la cronaca " I giudici: ''Aziz è innocente'' " di Maurizio Molinari (pag.8) e il commento "Aziz, l'incantatore dell'occidente " di Igor Man ( pag.31) dalla STAMPA e tre brevi da LIBERO, REPUBBLICA e MANIFESTO. Ecco gli articoli:
La STAMPA - Maurizio Molinari : " I giudici: ''Aziz è innocente'' "
«Grazie». Alzando la mano destra in segno di saluto verso i giudici, Tareq Aziz ha commentato con quest’unica parola la decisione del Tribunale speciale di Baghdad di assolverlo dall’accusa di crimini contro l’umanità per il coinvolgimento nella strage di sciiti seguita all’assassinio dell’ayatollah Mohammed al-Sadr nel 1999. Poche ore dopo l’ex ministro degli Esteri ed ex vicepremier di Saddam Hussein era di nuovo di fronte alla stessa corte per difendersi dall’accusa di essere co-responsabile dei massacri di curdi del 1983 ma, pur ancora detenuto e sotto processo, l’assoluzione ricevuta lo trasforma in un’eccezione nei processi contro i delitti compiuti dal regime del Baath. Tantopiù che la sentenza a suo favore è stata pronunciata nello stesso giorno in cui il medesimo tribunale ha ordinato la terza condanna a morte nei confronti di Ali Hassan al-Majid, l’ex generale di Saddam soprannominato «Alì il chimico» per aver gestito gli attacchi ai curdi con i gas che causarono migliaia di morti.
Con i verdetti di ieri il Tribunale speciale ha sottolineato come Tareq Aziz e «Alì il Chimico» siano stati i volti opposti della dittatura di Saddam: entrambi fedelissimi ma con la differenza che il primo eseguiva disegni politici e il secondo assassinii di massa.
Arrivato alla soglia dei 73 anni, nato a Tell Kaif in una famiglia assira-cristiana con il nome di Michail Yuhanna (Michele Giovanni) che cambia per proteggersi dall’ostilità dei musulmani, Aziz si lega a Saddam sin dagli anni 50, quando entrambi sono attivisti del Baath fuorilegge. Il nazionalismo arabo, di cui il Baath è portatore, diventa per Aziz l’ideologia nella quale annegare le ostilità ataviche fra cristiani e musulmani e al tempo stesso lo strumento per assegnare all’Iraq il ruolo di potenza regionale che Saddam aspira a concretizzare.
L’essere cristiano e nazionalista arabo lo trasforma nel volto dell’Iraq che Saddam voleva presentare al mondo, facendone il protagonista di eventi che hanno cambiato il volto del Medio Oriente. Voce tenue, sigaro in bocca e occhiali grandi, gli tocca trattare con la Russia di Vadimir Putin per ottenere armi in cambio di greggio come incontrare Donald Rumsfeld, inviato di Ronald Reagan. E’ lui a giustificare l’invasione del Kuwait nell’agosto 1991, diventando il volto della più palese violazione della Carta dell’Onu ed è dunque sempre a lui che il Segretario di Stato americano James Baker si rivolge, durante un drammatico faccia a faccia a Ginevra, minacciando l’atomica contro Baghdad per impedire a Saddam Hussein di lanciare su Israele missili armati di gas.
La disfatta nella Guerra del Golfo costa ad Aziz il posto di ministro degli Esteri ma Saddam continua ad averne bisogno, questa volta per rompere l’assedio delle sanzioni Onu. Insignito dei gradi di vicepremier alterna la divisa agli abiti civili, tratta per 12 anni con gli ispettori Onu, viaggia senza interruzione fra Mosca, Berlino, Parigi, New York e Roma (Vaticano incluso) in cerca di alleati politici, alcuni dei quali riesce a corrompere sfruttando le ambiguità della risoluzione «Oil for Food».
La fedeltà assoluta per il Raiss gli impedisce di correggerne gli errori, continua a seguirlo anche nel braccio di ferro con l’Onu che porta all’attacco americano del marzo 2003 e quando il regime crolla si dilegua inseguito dalle voci che sta segretamente collaborando con gli Stati Uniti. Lui ha sempre negato di aver tradito il Raiss ed ora la sua assoluzione riapre le ferite di quell’epoca perché il figlio dell’ayatollah Mohammed al-Sadr è il giovane Moqtada, leader ribelle delle milizie sciite dell’«Esercito del Mahdi» ostili al governo centrale, che hanno trovato nel verdetto di Baghdad un’ulteriore prova del «tradimento consumato ai danni degli sciiti massacrati».
Sarà l’esito del pendente processo per i delitti contro i curdi a segnarne la sorte ma a renderlo un potenziale attore politico nel nuovo Iraq è l’identità che per oltre mezzo secolo ha considerato una propria debolezza: essere cristiano significa poter ambire ad un ruolo super partes nel duello per il potere fra sunniti, sciiti e curdi che si apre con il ritiro delle forze americane.
La STAMPA - Igor Man " Aziz, l'incantatore dell'occidente "
Igor Man(zella) , nel suo articolo, fa un ritratto positivo di Tareq Aziz, questo "amabile" settantenne che assomiglia a Groucho Marx, cristinao, che conosce le lingue...tutto è, secondo Man(zella), tranne che un criminale assassino. Ecco l'articolo:
Quella che il presidente Obama chiama «normalizzazione» compie, in Iraq, un passo in avanti: Mikhail Yuhanna, nome di battaglia Tareq Aziz, ministro degli Esteri e vice premier iracheno, è stato assolto dal tribunale speciale che mandò a morte Saddam Hussein. Tareq Aziz, cristiano-caldeo, 72 anni sempre portati male, ancorché sotto giudizio anche per «omicidio-politico», sarebbe già ai «domiciliari», in una villetta della «zona verde» di Baghdad. A differenza della maggior parte dei paesi islamici (arabi in particolare) gli iracheni sono faticatori e attenti alla politica. Non erano pochi quelli che si è usi definire «intellettuali-frondisti»: Saddam non era amato ma rispettato lo era. Governava col bastone (la tortura) e la carota (sussidi in contanti), lasciava le briglie sul collo degli scatenati del clan di Tikrit (città natale del raîss) ma una sorta di casereccio Welfare rabboniva gli iracheni sino alla rassegnazione.
Invaso l’Iraq, accusato di possesso del nucleare (una «bufala») gli americani commisero due errori. Fatali. Sciolsero immediatamente l’esercito iracheno col risultato di creare un’armata brancaleone fonte di disastri senza fine (l’Iraq è tuttora un fiammifero acceso allo sbocco del greggio). Sciolsero il partito unico Baas volendo ignorare (o ignorando davvero?) che non era una cattedra ideologica bensì la macchina (dalla scuola al fornaio, dal traffico all’università) che faceva funzionare il paese.
Come sappiamo, il vuoto bruscamente creato da epurazioni improvvide solo adesso sta riducendosi, e faticosamente. L’opinione pubblica sta scoprendo la realtà delle cose, la pace interna germoglia dopo una lunga parentesi d’orrore e di errori. La «grazia» concessa a Tareq Aziz porta l’impronta del presidente Obama. Nel giusto momento (il conto alla rovescia è già cominciato) i GI lasceranno l’Iraq a se stesso, con l’intenzione di giuocare la partita decisiva sul tavolo rosso (perché insanguinato) di quel dolcissimo ma disgraziato paese chiamato Afghanistan. (Che Dio assista i nostri soldati in servizio laggiù: non sarà una passeggiata).
In fatto la crisi mesopotamica nasce con la folle invasione del Kuwait nell’agosto del ’90 – dopo un estenuante braccio di ferro; la reazione americana arriva il 17 di gennaio del ’91: Desert Storm. A ridosso della guerra, il 10 di gennaio del 1991, si incontrano a Ginevra il segretario di Stato Baker e Tareq Aziz. «Si parla di pace con le pistole senza sicura», dirà Baker. Tutta la stampa internazionale è a Ginevra, si giuoca la dernière chance della pace.
Di giusta statura, i capelli candidi, baffi neri (tinti) che spiccano sul volto pallido, gli occhiali spessi, Tareq Aziz sembra la controfigura di Groucho Marx. Ma la somiglianza è solo esteriore. L’unico non musulmano del regime iracheno è un uomo freddo, duro come l’ossidiana, l’ideologo inflessibile del Baas. Dicono che abbia «spiegato» lui a Saddam il socialismo arabo ideato dal siriano Michel Aflak, anch’egli cristiano. Dicono che lui e Saddam giuocano al poliziotto buono, al poliziotto cattivo – cambiandosi le parti a seconda del momento. Ma Tareq Aziz col suo elaborato inglese condito non senza civetteria di citazioni da Shakespeare e Milton quando non da Cervantes (sa pure lo spagnuolo) coi suoi modi garbati e quella sfumatura di sorriso ironico sulle labbra d’ostinato fumatore di sigari cubani, ha sempre incantato la stampa internazionale che gli ha subito appiccicato l’etichetta di moderato. Il resto lo ha fatto il Vaticano che, oggi, dopo cinque dolorosi anni, lo vede tornare a casa. Non senza commozione.
Tareq Aziz è l’uomo che ha condotto la grande accostata del battello iracheno dall’approdo (ideologico) sovietico verso il più pragmatico porto americano, quando la guerra con l’Iran aveva messo in ginocchio il regime di Baghdad. E infatti, allorché Saddam invase il Kuwait, di Tareq non si seppe più nulla durante giorni e giorni. Poi ricomparve accanto al raîss smentendo le voci che lo volevano finito sulla forca. Purgò ai «domiciliari» la sua sbornia di americanismo.
Fu Tareq a «suggerire» che poiché si era in guerra bisognava indossare la divisa ch’è, poi, la copia conforme di quella dei vecchi padroni inglesi. Tareq e compagni partirono per la Svizzera infrasciamati nell’uniforme kaki. Si cambiarono in volo due ore prima di Ginevra. Indossarono gli abiti borghesi fatti al Cairo da un sarto di origine triestina (israelita), coi pantaloni sbracati e la giacca che sbecca sul collo.
Dopo l’inutile conferenza stampa, lunga, estenuante, con Baker, lo sentimmo dire a un suo tirapiedi: «La cioccolata per mia moglie, i sigari per me, mi raccomando. Se perdo questa occasione dove la trovo più?», e sorrise come un vecchio ragazzo triste che l’ha fatta grossa.
Il corrispondente di Le Monde, quello di Newsweek e chi scrive, bloccarono Tareq Aziz mentre stava eclissandosi per la porta della cucina. Protestò d’aver detto «tutto il possibile per la pace» ma infine si arrese alle nostre insistenze. Fissando un punto lontano, sopra le nostre teste, sillabò: «Gli americani non hanno capito che non sarà un film. Sarà una guerra interminabile e sanguinosa».
LIBERO - l'articolo " L'Iraq assolve Tareq Aziz : " Poteva non sapere" " di Renato Farina (pag. 21) esulta per l'assoluzione di Tareq Aziz. Sospettiamo che questo slancio di solidarietà sia dovuto al fatto che Tareq Aziz era cristiano. Per un certo modo di ragionare, questo può essere sufficiente.
La REPUBBLICA - dedica all'argomento diversi articoli a pag. 13. Il primo, " L´uomo in grigio amico del Papa era il volto più presentabile tra i gerarchi di Saddam ", di Vittorio Zucconi, dipinge un ritratto così positivo di Tareq Aziz che sembra quasi che l'articolo sia su un'altra persona. Zucconi scrive " Tareq Aziz, l´uomo in grigio con il bonario sigaro in bocca, la maschera internazionale e presentabile di un regime di ceffi di provincia impresentabili" e con questo chiarisce quale sia la sua opinione su Tareq Aziz (meno colpevole, secondo lui, di Saddam). Seguono due interviste. La prima a Mario Lana, consulente della difesa di Tareq Aziz ( " In cella ha un solo rimpianto di non essersi opposto al raìs " ), la seconda a Roberto Formigoni, (" Un moderato e un cristiano, ma a decidere era Saddam "). Le due interviste non possono fornire un'immagine realistica di Aziz, dal momento che la prima è del suo difensore, la seconda, a Formigoni, coinvolto in quel pasticcio che è stato Oil for food e che lo vide coivolto.
Il MANIFESTO - dedica l'articolo " Prima assoluzione del Tribunale speciale per Tareq Aziz " a pag. 11 di Giuliana Sgrena. E' possibile comprendere la linea del quotidiano comunista dall'inizio del pezzo: "Finalmente dall’Iraq una buona notizia. Anche a Baghdad si comincia a respirare il nuovo corso di Obama. E’ forse solo l’inizio, ma un segnale importante, anche se non definitivo. le sentenze non sono più così scontate: ieri il Tribunale speciale iracheno - che si occupa dei crimini commessi dal regime di Saddam - ha assolto l’ex vice premier Tareq Aziz. ". Tareq Aziz non sarebbe un criminale, ma un innocente che, finalmente, è stato assolto da un processo a suo carico ingiusto. Alla Sgrena interessano poco le vittime, l'importante è la morale, che deve essere anti-americana. Se si assolve uno del passato regime, addirittura il braccio destro di Saddam Hussein) il torto americano è dimostrato.
Per inviare la propria opinione a Stampa, Libero, Repubblica e Manifesto, cliccare sulle e-mail sottostanti