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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
27.02.2009 Il negazionista Williamson non convince con le sue scuse ambigue
E la sua amicizia col negazionista David Irving nemmeno

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Gian Guido Vecchi - Paolo Salom - Francesca Paci
Titolo: «Williamson chiede perdono al Papa - Resta l'ambiguità, parole gravi -Caro vescovo, stai attento. Non è finita»

Il vescovo negazionista Williamson si è scusato con il Papa per le sue affermazioni sulla Shoah, ma l'ambiguità delle sue affermazioni non convince circa la sincerità delle sue dichiarazioni. Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/02/2009, la cronaca "  Williamson chiede perdono al Papa " di Gian Guido Vecchi l'intervista " Resta l'ambiguità, parole gravi " di Paolo Salom a Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane( pag. 19 ), e dalla STAMPA, l'articolo "  Caro vescovo, stai attento. Non è finita  " di Francesca Paci sulle dichiarazioni del negazionista David Irving. Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Gian Guido Vecchi : " Williamson chiede perdono al Papa "

CITTÀ DEL VATICANO — «Posso affermare in tutta sincerità che mi rammarico di aver espresso quelle dichiarazioni, e che se avessi saputo in anticipo il danno e il dolore che avrebbero arrecato, soprattutto alla Chiesa, ma anche ai sopravvissuti e ai parenti delle vittime che hanno subito ingiustizie sotto il Terzo Reich, non le avrei rilasciate». Richard Williamson, il vescovo lefebvriano che ha negato l'esistenza della Shoah e delle camere a gas, prova a chiedere scusa, a modo suo: parla di «ingiustizie », non nomina la Shoah né gli ebrei, non parla di camere a gas, non corregge le sue cifre («sei milioni di morti? Al massimo due o trecentomila», disse) e arriva a dire che nella famigerata intervista alla tv svedese «ho solo espresso l'opinione ("Credo") di un non-storico, un'opinione formatasi 20 anni fa sulla base delle prove allora disponibili», come se vent'anni fa ci fosse qualche dubbio sullo sterminio nazista.
Williamson scrive che il Papa e il superiore lefebvriano Bernard Fellay gli hanno chiesto di «riconsiderare le dichiarazioni per il fatto che le conseguenze sono state così gravi» e dice di «rammaricarsi» proprio «tenendo conto di queste conseguenze ». Di qui l'ammissione di «responsabilità » e le scuse: «Chiedo perdono davanti a Dio a tutte le anime che si sono onestamente scandalizzate per ciò che ho detto». Conclusione: «Come ha affermato il Santo Padre, ogni atto di violenza ingiusta contro un uomo ferisce tutta l'umanità». Il vescovo, espulso dall'Argentina e riparato in Inghilterra, annuncia una prossima conferenza stampa. Nel frattempo appare difficile che la lettera possa risolvere granché. Il testo è stato pubblicato ieri dell'agenzia cattolica
Zenit.org, la quale riferisce di averlo ricevuto dalla commissione «Ecclesia Dei» guidata da Darío Castrillón Hoyos, il cardinale che ha condotto le trattative con i lefebvriani. Ma la Sala stampa vaticana non ne è stata informata e Oltretevere c'è grande distacco: secondo le prime reazioni, la risposta non viene considerata «né adeguata né autorevole ».
Il 4 febbraio, in una nota della Segreteria di Stato, si intimava a Williamson di «prendere le distanze in modo assolutamente inequivocabile e pubblico» per «una ammissione a funzioni episcopali »: una «condizione indispensabile », oltre al riconoscimento del Concilio Vaticano II chiesto a tutti i lefebvriani. L'essenziale sta nelle parole scandite da Benedetto XVI l'11 febbraio: «L'odio e il disprezzo per uomini, donne e bambini manifestati nella Shoah sono stati un crimine contro Dio e contro l'umanità. Questo dovrebbe essere chiaro a tutti, in particolare a quanti appartengono alla tradizione delle Sacre Scritture. È ovvio che qualsiasi negazione o minimizzazione di questo crimine terribile è inaccettabile e intollerabile».
Espulso Il vescovo lefebvriano Richard Williamson al suo arrivo a Londra dall'Argentina.

CORRIERE della SERA - Paolo Salom : "  Resta l'ambiguità, parole gravi  "

Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane, sono scuse sincere quelle del vescovo Williamson?
«A me pare che le dichiarazioni di Williamson contengano un notevole margine di ambiguità. Egli infatti si guarda bene dall'ammettere di aver dato credito e propagandato un falso storico inaccettabile e offensivo finalizzato a negare la realtà della Shoah».
Già una volta sembrava aver fatto «marcia indietro»...
«A un'attenta lettura, le sue dichiarazioni risultano forse anche più gravi delle precedenti in quanto egli evita accuratamente di riconoscere una realtà storica inconfutabile ed esprime solo un generico rammarico per le conseguenze prodotte dalle sue dichiarazioni».
Questa mossa aiuterà a ricomporre le frizioni tra ebrei e Vaticano?
«Ritengo che il discorso che il Papa ha fatto alla delegazione degli ebrei americani sia stato molto chiaro, forte e documentato sia sul piano storico quanto su quello teologico. Debbo notare proprio la differenza tra quello che dichiara Williamson e quello che esprime il Papa. Naturalmente nei rapporti con il Vaticano è determinante ciò che dice il Pontefice, non le parole di Williamson».

La STAMPA - Francesca Paci : "  Caro vescovo, stai attento. Non è finita "

Il vescovo Williamson deve fare molta attenzione, gliel’ho scritto. Credo che non si renda conto del guaio in cui si è cacciato. Se pensa che la storia finisca con l’Argentina sbaglia. E’ probabile che ora sia automaticamente bandito dal Canada e dagli stati del Commonwealth. L’Australia ha modificato la legge sull’immigrazione per non farmi entrare». Lo storico revisionista David Irving siede nel salotto chiaro della grande casa vittoriana a Dorney, nella campagna del Berkshire, dove vive da due anni. Si è trasferito qui nel 2007, quando è uscito dal carcere viennese in cui ha passato 13 mesi per apologia del nazismo. L’arredamento è spartano. Faldoni e cartelle di appunti addossati alle pareti con pochi quadri e nessun libro; un grande televisore con i dvd dei film «Poseidon» e «Ever After» con Anjelica Huston; sul camino le foto delle cinque figlie, la maggiore delle quali morta suicida nel ‘99 dopo aver combattuto tutta la vita contro la schizofrenia.
«Il reverendo Williamson l’ho conosciuto qui, in casa mia, lo scorso ottobre» continua Irving. Una grande vetrata si apre sul giardino con fontana, immalinconito dalla luce grigia del pomeriggio nuvolo: «Un amico l’ha portato al mio garden party, c’erano novanta persone. Di solito in queste occasioni non riesco a scambiare più di due parole con nessuno, ma con sua Eccellenza ho chiacchierato una decina di minuti. Nessun accenno all’Olocausto, ci siamo intrattenuti sul cattolicesimo, io sono un tradizionalista, conservatore, ho studiato il latino, non apprezzo le aperture liberali della chiesa. Lui era ancora ai margini del Vaticano, poi per qualche ragione il Papa l’ha riammesso». Nel computer portatile aperto sul tavolo della cucina in legno conserva le foto di quella festa. C’è nè una in cui compare accanto al vescovo lefebvriano con in mano un calice di champagne.
Irving l’aveva messa sul suo sito internet. Ma il 28 gennaio, un mese fa, l’avvocato tedesco di Williamson ha suggerito al cliente appena perdonato dal Pontefice di farla rimuovere perché «non sarebbe utile se la notizia fosse notata in Germania». Il giorno stesso il vescovo gli ha mandato un’email: «Caro signor Irving, mi fa piacere che si ricordi del nostro breve incontro ma dovrei chiederle di non farmi pubblicità in questo momento».
«Ho tolto l’immagine ovviamente, poi gli dato qualche consiglio, gli ho indicato quello che può dire sull’Olocausto senza crearsi problemi. Finchè Williamson è stato in Argentina abbiamo comunicato direttamente, ora ci scriviamo attraverso un comune amico inglese che ho sentito anche mercoledì». David Irving, settantun anni a marzo, è autore di diversi libri tra cui «Apocalisse a Dresda», «La guerra di Hitler», «Norimberga ultima battaglia», il primo pubblicato in Italia da Mondadori, gli altri dalla casa editrice Settimo Sigillo specializzata in storia della destra. Dopo la causa persa nel 1996 contro la storica americana Deborah Lipstadt e la sentenza della Corte che lo definiva «attivo negatore dell’Olocausto» lavorare gli è stato sempre più complicato. Ha pronte tre biografie, dice. La sua, scritta in carcere, la storia di Churchill e quella di Himmler: «Il problema è pubblicarle, anche in Italia ci sono difficoltà».
Quando il Vaticano ha ritirato la scomunica riaccogliendo i lefebvriani e il reverendo Williamson è finito nell’occhio del ciclone per le interviste in cui negava l’esistenza delle camere a gas, David Irving s’è ricordato di lui: «Un uomo molto intelligente, molto inglese, molto innocente». La loro corrispondenza è cominciata così: «Israele ha scatenato questa tempesta contro di lui e la Chiesa cattolica, guidata da un papa tedesco, per distrarre il mondo dal massacro di Gaza. Mi piacerebbe rincontrare sua Eccellenza, ma credo che nelle prossime settimane sarà molto occupato. Ho l’impressione che la Chiesa gli abbia raccomandato un basso profilo. Per due anni non farà nulla. Per questo, in privato, voglio dargli una mano. Lui non ha studiato l’Olocausto, non sa che in molti paesi europei negarlo è un reato e dei peggiori». In un’email di qualche settimana fa lo stesso Williamson gli aveva chiesto aiuto e materiale su Auschwitz.
Lo storico più amato dai revisionisti non se l’è fatto ripetere: «Gli ho spiegato che la cosa migliore è ammettere che ci sono stati omicidi di massa organizzati dal 1942 al 1943 nei tre campi controllati da Himmler, Treblinka, Sobibor e Belzec. La cifra è da verificare ma sua Eccellenza non può discutere che sia accaduto». Non lo mette in dubbio neppure lui che è stato a Treblinka un anno fa: «Mi sono convinto che lì potrebbero essere stati uccisi due o tre milioni di persone. C’è un documento tedesco del 1943 desecretato dagli inglesi che, sebbene con qualche discrepanza, parla di un milione e duecentomila morti nel 1942. Ma poiché i campi funzionarono fino all’ottobre del 1943 il numero potrebbe essere il doppio». Su Auschwitz invece, il vescovo lefevriano può star tranquillo, i suoi dati coincidono con quelli di Irving: «Ad Auschwitz sono morte circa 300 mila persone di paesi diversi. Il resto è leggenda costruita per i turisti che vanno lì come a Disneyland».
Entra una ragazza bionda sui venticinque anni e gli ricorda l’appuntamento dal medico. «E’ la mia assistente americana, è arrivata ieri dagli Stati Uniti» dice lo storico bevendo l’ultimo sorso di caffè. Il notiziario annuncia che il vescovo Williamson ha appena chiesto perdono alla Chiesa e alle vittime dell’Olocausto. David Irving scuote la testa, le scuse non sono esattamente un dietrofront. «Conoscendolo penso che non ritratterà. Ha sempre detto d’essere disponibile a cambiare idea solo alla prova dei fatti. Le persone intelligenti come lui non accettano il pacchetto Olocausto a scatola chiusa» osserva prima di congedarsi. Toglie dal cancello il foglio con scritto Irving («L’avevo messo per il tassista, non voglio che si sappia dove vivo») e si allontana in automobile tra i sentieri tortuosi che avvolgono la sua casa.

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