Tutti i quotidiani di oggi, 23/02/2009, riportano la notizia dell'attentato di ieri al Cairo. Di seguito l'articolo di Guido Rampoldi da REPUBBLICA dal titolo " La guerra di Gaza non è finita " , l'analisi di Guido Olimpio " " dal CORRIERE della SERA e l'intervista di Maurizio Molinari a Frank Gaffney, ex vice Segretario alla Difesa con Ronald Reagan e presidente del Center for Security Policy di Washington sulla STAMPA. Ecco gli articoli:
La REPUBBLICA - Guido Rampoldi : " La guerra di Gaza non è finita "Rampoldi attribuisce a Israele e all'operazione Piombo Fuso la responsabilità dell'attentato. La frase " Converrà ricordare che vista dal Cairo l´offensiva israeliana aveva obiettivi molteplici, tra elettorali e tattici, ma innanzitutto uno scopo strategico: scaricare Gaza e i suoi abitanti all´Egitto " è davvero curiosa. Quando la striscia di Gaza era amministrata da Israele tutti sostenevano che Israele - oppressore doveva liberarla e lasciarla ai palestinesi. Ora che è davvero in mano ai palestinesi e che è diventata la base per gli attentati di Hamas, se Israele si difende significa che voleva scaricarla all'Egitto? In ogni caso la striscia di Gaza è stata parte dell'Egitto fino al 1967. che rifiutò di riprendersela dopo la guerra dei sei giorni.
" Secondo diplomatici egiziani, a più riprese gli israeliani tentarono di convincere Mubarak che Gaza all´Egitto sarebbe stato un buon affare. Invano. Il Cairo non ne voleva sapere. E perché non si creassero equivoci, teneva chiuso il confine con la Striscia. La polizia chiudeva gli occhi, questo sì, sul via vai sotterraneo di merci che raggiungevano i palestinesi attraverso i tunnel di Rafah. Ma formalmente la frontiera era sigillata, proprio come lo era, anche nei fatti, la frontiera israeliana.". Ciò scrive Rampoldi è falso, la frontiera Gaza / Egitto era chiusa. Ma lo era solo formalmente, mentre i tunnel (usati da Hamas per contrabbando e armi) restavano aperti grazie alla polizia compiacente. Con la frase "Tutto è precipitato poco prima che si insediasse Obama. Diviso e forse incapace di sottrarsi agli ordini di Teheran, Hamas non ha rinnovato la tregua, sapendo perfettamente cosa ne sarebbe seguito. E Israele ha lanciato l´offensiva che preparava da mesi." Rampoldi attribuisce ogni responsabilità per la guerra Israele/Hamas a Israele. Israele, secondo Rampoldi, avrebbe preparato l'offensiva da mesi. Per prima cosa non si è trattato di offensiva, ma di difesa, in secondo luogo Hamas, in tutti quei mesi, ha continuato il lancio di razzi sulle città israeliane.
Secondo Rampoldi la diplomazia egiziana " continua a lavorare, per ora inutilmente, ad un compromesso che costringa Israele a riconoscere la propria responsabilità su Gaza, e Hamas a riconoscere un qualche ruolo istituzionale al presidente Abu Mazen, legittima Autorità palestinese. Ma questo ruolo di mediatore, per forza di cose neutrale, espone Mubarak all´ira di tutto l´estremismo islamico. Lo si considera un complice di Israele, un traditore della causa araba e un nemico dei palestinesi, per aver tenuto chiuso il confine prima e durante l´offensiva israeliana". Israele non è responsabile di Gaza dal momento che non è territorio israeliano. Inoltre ci sembra assurdo che Rampoldi giustifichi i fondamentalisti islamici, citici con Mubarak perchè "amico d'Israele" e perchè ha tenuto chiusi i confini (notare che poche righe sopra Rampoldi dice il contrario...parla dei tunnel che erano aperti grazie alla polizia che teneva gli occhi chiusi). Ecco l'articolo :
Converrà ricordare che vista dal Cairo l´offensiva israeliana aveva obiettivi molteplici, tra elettorali e tattici, ma innanzitutto uno scopo strategico: scaricare Gaza e i suoi abitanti all´Egitto Secondo diplomatici egiziani, a più riprese gli israeliani tentarono di convincere Mubarak che Gaza all´Egitto sarebbe stato un buon affare. Invano. Il Cairo non ne voleva sapere. E perché non si creassero equivoci, teneva chiuso il confine con la Striscia. La polizia chiudeva gli occhi, questo sì, sul via vai sotterraneo di merci che raggiungevano i palestinesi attraverso i tunnel di Rafah. Ma formalmente la frontiera era sigillata, proprio come lo era, anche nei fatti, la frontiera israeliana.Tutto è precipitato poco prima che si insediasse Obama. Diviso e forse incapace di sottrarsi agli ordini di Teheran, Hamas non ha rinnovato la tregua, sapendo perfettamente cosa ne sarebbe seguito. E Israele ha lanciato l´offensiva che preparava da mesi.continua a lavorare, per ora inutilmente, ad un compromesso che costringa Israele a riconoscere la propria responsabilità su Gaza, e Hamas a riconoscere un qualche ruolo istituzionale al presidente Abu Mazen, legittima Autorità palestinese. Ma questo ruolo di mediatore, per forza di cose neutrale, espone Mubarak all´ira di tutto l´estremismo islamico. Lo si considera un complice di Israele, un traditore della causa araba e un nemico dei palestinesi, per aver tenuto chiuso il confine prima e durante l´offensiva israeliana
LA BOMBA esplosa ieri in un caffè del Cairo prossimo al mercato più frequentato dai turisti, Khan el-Khalili, sembra ricordarci che la guerra di Gaza non è definitivamente finita con il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia. L´attentato ha ancora contorni confusi e converrà attendere di saperne di più, senza dimenticare quel che accadde a proposito delle stragi di turisti nel Sinai, che attribuite dalla polizia ad Al Qaeda, si rivelarono la vendetta di tribù beduine contro il governo.
Ma premesso quest´obbligo alla cautela, è difficile sottrarsi al sospetto che questa riapparizione del terrorismo al Cairo sia connessa con quanto avvenuto nella Striscia, e con la parte complicata imposta dalle circostanze al regime di Mubarak, costretto a districarsi tra Hamas e Israele, mediatore e possibile vittima di una partita da cui ha molto da perdere.
Converrà ricordare che vista dal Cairo l´offensiva israeliana aveva obiettivi molteplici, tra elettorali e tattici, ma innanzitutto uno scopo strategico: scaricare Gaza e i suoi abitanti all´Egitto. Non era tanto la seconda guerra di Ehud Olmert, quanto l´ultima di Ariel Sharon. Era stato infatti Sharon a varare nel 2006 quel Disengagement Plan, o Piano di disimpegno, che portò l´esercito israeliano a sgomberare con la forza tutti gli insediamenti colonici nella Striscia. Ma Israele si proponeva di liberarsi non soltanto del peso di quei villaggi, troppo costosi da difendere e ormai d´impaccio, ma anche delle responsabilità legali verso i palestinesi che derivavano ad Israele dal suo ruolo di potenza occupante (come afferma il Piano al capitolo 1, paragrafo 6, dove si legge: «The completion of the plan will serve to dispel the claims regarding Israel´s responsibility for the Palestinians in the Gaza Strip»). Allo stesso tempo il governo israeliano non voleva che Gaza diventasse Stato palestinese. O perlomeno non lo voleva dopo la vittoria di Hamas nella Striscia, giacché a quel punto avrebbe avuto un alleato di Teheran quasi in casa. L´unica soluzione che assecondasse i desideri israeliani era il ritorno di Gaza all´Egitto. Ma l´Egitto, che fino al 1967 il Cairo aveva esercitato sulla Striscia un mandato fiduciario, non aveva alcuna intenzione di prendersi un milione e mezzo di palestinesi, per giunta affacciati sul Sinai. Sarebbe stato come spingere un popolo senza terra verso una terra senza popolo, con tutto quel che ne poteva derivare. Per esempio, che la diaspora palestinese tentasse di ritagliarsi una patria nel Sinai, come già aveva fatto in Giordania e in Libano.
Secondo diplomatici egiziani, a più riprese gli israeliani tentarono di convincere Mubarak che Gaza all´Egitto sarebbe stato un buon affare. Invano. Il Cairo non ne voleva sapere. E perché non si creassero equivoci, teneva chiuso il confine con la Striscia. La polizia chiudeva gli occhi, questo sì, sul via vai sotterraneo di merci che raggiungevano i palestinesi attraverso i tunnel di Rafah. Ma formalmente la frontiera era sigillata, proprio come lo era, anche nei fatti, la frontiera israeliana. Vittime di quel braccio di ferro, i palestinesi restavano totalmente isolati. E Hamas minacciava di vendicarsi ricominciando a sparare razzi sulle città israeliane.
Tutto è precipitato poco prima che si insediasse Obama. Diviso e forse incapace di sottrarsi agli ordini di Teheran, Hamas non ha rinnovato la tregua, sapendo perfettamente cosa ne sarebbe seguito. E Israele ha lanciato l´offensiva che preparava da mesi.
Che questo fosse o no da subito il principale obiettivo, l´aviazione ha raso al suolo tutti i palazzi che rappresentavano la statualità palestinese e bombardando depositi alimentari o mulini, ha costruito le premesse perché i palestinesi dipendessero dagli aiuti egiziani. Ma tutto questo, così come la morte di 1300 persone, è stato inutile. L´Egitto non ha ceduto e Mubarak ha messo in chiaro che non si sarebbe fatto imbrogliare dagli israeliani. Hamas conserva i suoi arsenali e non ha perso la presa su Gaza. Israele è più isolata, e le ultime elezioni non hanno certo contribuito alla sua immagine.
Ma la partita non è finita. Così come hanno voluto la guerra, paradossalmente Hamas e Israele vogliono anche che il conflitto si concluda, almeno sul momento, con la stessa soluzione tecnica: che l´Egitto apra il confine. Mubarak si rifiuta e la sua diplomazia continua a lavorare, per ora inutilmente, ad un compromesso che costringa Israele a riconoscere la propria responsabilità su Gaza, e Hamas a riconoscere un qualche ruolo istituzionale al presidente Abu Mazen, legittima Autorità palestinese. Ma questo ruolo di mediatore, per forza di cose neutrale, espone Mubarak all´ira di tutto l´estremismo islamico. Lo si considera un complice di Israele, un traditore della causa araba e un nemico dei palestinesi, per aver tenuto chiuso il confine prima e durante l´offensiva israeliana. In Egitto i suoi accusatori più tenaci sono quelle frange dei Fratelli musulmani forse sfuggiti di mano al vertice dell´organizzazione fondamentalista, un consesso di vecchioni molto più inclini al compromesso della base giovanile.
E´ quest´area fuori controllo, oppure il terrorismo palestinese, che potrebbero aver prodotto l´attentato di ieri. Che ci ricorda come lo statu quo di Gaza non sia sostenibile a lungo. Occorre trovare una soluzione, e trovarla in fretta.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Quei terroristi fai-da-te inesperti e male addestrati "
WASHINGTON — Cellule autonome composte da pochi elementi e neppure troppo ben addestrati. Gruppuscoli, spesso creati su base familiare coinvolgendo fratelli e sorelle, che cercano di imitare le formazioni storiche. Per fare il salto di qualità prendono di mira gli stranieri e i luoghi turistici sapendo così di conquistarsi titoli e forse una benedizione postuma dei capi del qaedismo.
L'attentato del Cairo giunge in un momento particolare dell'estremismo egiziano. La Jamaa ha ribadito il suo no alla violenza e uno dei suoi leader in carcere ha chiesto a Bin Laden di dichiarare una tregua di 4 mesi. La Jihad, decimata dagli arresti, ha i suoi «resti» in Afghanistan e Pakistan. Inoltre il suo ideologo principe, il dottor Fadl, ha fatto clamore contestando apertamente la deriva stragista di Al Zawahiri. I dissidi, però, non hanno impedito che si formassero nuclei indipendenti con due «centri».
Il primo è rappresentato dal Cairo. Nella capitale alcuni reduci della passata stagione del terrore (anni '90) potrebbero aver ispirato dei giovani militanti. Poco esperti, suggestionati da quanto scovano su Internet e dalla propaganda jihadista, magari in contatto con qualche «predicatore», si trasformano in terroristi fai-da-te. E agiscono come possono: basta un ordigno e la scelta di un obiettivo classico come il pittoresco suk del Cairo. Era già avvenuto nel 2005, con un modus operandi simile a quello di ieri. Inoltre un anno fa la polizia aveva annunciato di aver sventato alcuni «grandi attacchi» ed era sulle tracce di un gruppo di fuoco.
Il secondo «focolaio» arde nel Sinai. A tenerlo acceso alcuni clan beduini in lotta perenne contro lo Stato che li ha repressi in modo spietato e li ha tenuti fuori dal boom turistico. Una realtà locale che, mescolatasi ad alcuni jihadisti, si è resa protagonista negli ultimi anni di spaventosi attentati agli alberghi (Taba, Sharm, Dahab). Rispetto agli estremisti del Cairo, quelli che operano nel Sinai possiedono capacità maggiori. Hanno contatti con gli artificieri di Hamas, nascondono importanti riserve di esplosivo, si armano con il fiorente contrabbando che dal Sudan e dallo Yemen arriva sino al confine della Striscia di Gaza.
Alle motivazioni locali — la battaglia contro «il faraone Mubarak» — si sono poi aggiunte, in queste ultime settimane, quelle regionali. Le decine di palestinesi uccisi, i timidi tentativi delle autorità di ridurre i traffici dei tunnel verso Gaza, la difficile mediazione dell'Egitto e i tempestosi rapporti tra il Cairo ed Hamas hanno fornito agli estremisti nuovi pretesti. E loro hanno colto l'occasione.
La STAMPA - Maurizio Molinari : " È una sfida a Obama che ha aperto all'Islam"
L’attacco avvenuto al Cairo è una sfida a Mubarak e un monito per Obama». Frank Gaffney, ex vice Segretario alla Difesa con Ronald Reagan e presidente del Center for Security Policy di Washington, consiglia di «non sottovalutare l’attentato del bazaar perché temo potrebbero esservene molti altri».
Perché parla di «sfida dei terroristi a Hosni Mubarak»?
«Non so chi abbia commesso l’attentato ma in passato simili azioni hanno avuto la firma di gruppi islamici che tendono a minare la stabilità dell’Egitto e con Mubarak in procinto di incontrare Obama alla Casa Bianca l’intenzione dei Fratelli Musulmani, o di altre fazioni simili, può essere quella di ribadire la sfida al governo».
E il monito a Obama?
«Sta nel fatto stesso che l’attentato è avvenuto».
Si spieghi meglio...
«Da quando si è insediato Obama ha avuto un approccio ai nemici dell’America basato su aperture, dialogo, diplomazia e offerte. In questa maniera ha fatto percepire ai nostri nemici la debolezza dell’America. L’impressione che ne hanno tratto è quella di una nazione incerta. Da qui la possibilità che questi nemici tornino a colpire. Lo hanno fatto in Egitto, potrebbero rifarlo presto altrove. Potremmo essere solo all’inizio».
Prevede dunque una stagione di attentati..
«Spero di sbagliarmi e voglio essere in errore ma è l’approccio scelto da Obama che spinge questi gruppi a colpire. Più l’America si mostra debole, più i suoi alleati appaiono vulnerabili, più i gruppi nemici colpiscono. In Medio Oriente questa è la logica. Il presidente finora sta percorrendo una strada molto pericolosa. L’attentato del Cairo è un campanello d’allarme. Se i gruppi islamici anti-Mubarak tornano a seminare il terrore contro i turisti stranieri è per far capire al presidente egiziano che oramai, con l’America così incerta, anche lui è diventato più vulnerabile».
Cosa prevede per l’incontro di Washington fra Obama e Mubarak?
«Credo che Mubarak risponderà a questo attentato con la tradizionale pressione contro i prevedibili responsabili, questo porterà ad arresti ed a provvedimenti duri sul piano della restrizione delle libertà personali in Egitto. Come già avvenuto in passato in simili occasioni. Ma se Mubarak ripeterà tale approccio potrebbe essere sorpreso dalla reazione di Obama...».
Perché?
«Per il semplice motivo che Obama, fedele all’approccio finora avuto, dirà a Mubarak che sbaglia l’atteggiamento con i fondamentalisti, che deve trovare vie di dialogo e comprensione con gli integralisti islamici. Gli parlerà del bisogno di creare una situazione di reciproco rispetto con i suoi nemici».
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