Su L'UNITA' di oggi, 04/02/2009, a pag. 22-23, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Ehud Barak.
Ecco il pezzo:
Umberto De Giovannangeli : " Posso vincere, tratterò la pace coi palestinesi moderati "
Il «soldato più decorato» d’Israele va alla «battaglia» delle urne. Ehud Barak, ministro della Difesa e leader del Partito laburista, è di nuovo in lizza per la carica di premier nelle elezioni del 10 febbraio. A pochi giorni dal voto, tra un meeting elettorale e una riunione del Gabinetto di sicurezza nazionale, l’Unità lo ha intervistato.
La sua corsa continua, come sostengono in molti, per assicurarsi anche nel prossimo governo il ministero della Difesa, visto che i sondaggi per la poltrona di primo ministro danno favorito il suo avversario di sempre, il leader del Likud, Benjamin Netanyahu?
«Il forte consenso dell’opinione pubblica riguardo il mio operato come ministro della Difesa mi inorgoglisce, ma mi creda: la mia candidatura a premier non è un azzardo, tanto meno ha il senso di una testimonianza. L’incarico di Primo Ministro d’Israele è uno dei più complessi al mondo e per svolgerlo serve una persona che unisce a elevate e provate doti individuali anche esperienze al massimo livello negli apparati più delicati della politica, dell’economia, della sicurezza nazionale della diplomazia e via dicendo. Ho cominciato a servire il mio Stato quando avevo meno di 18 anni e non sarei qui se non fossi fermamente convinto di poter dare al futuro di Israele un contributo migliore degli altri due candidati (Netanyahu e la leader di Kadima e attuale ministra degli Esteri, Tzipi Livni, ndr.)».
E quali devono essere i punti cardinali di questo futuro?
«È chiaro che nessun Paese ha un futuro senza la sicurezza di poter sopravvivere. Ci si dovrà quindi continuare ad occupare di sicurezza nazionale perché abbiamo più di un nemico che vorrebbe vederci sparire. Lo abbiamo fatto con Hamas quando non ci è stata lasciata più scelta, dopo otto anni in cui ha reso impossibile la vita ai cittadini del sud di Israele mettendo in pericolo le loro vite in ogni momento della giornata. Ma questo è nulla di fronte al pericolo nucleare iraniano che esula perfino dalla nostra regione geografica e rappresenta una minaccia per il mondo intero. Ma tutto ciò non ci impedirà di continuare a curare la crescita del Paese nella scienza, nella medicina e nella cultura dando il massimo peso all’istruzione, che è poi la vera chiave tanto per lo sviluppo del livello di vita dei nostri cittadini, quanto per l’avanzamento nell’ambito delle nazioni più progredite».
E Lei pensa che ci sia una possibilità che nel prossimo futuro vengano compiuti passi avanti nel cammino per la pace?
«Israele ha già fatto enormi passi sul cammino per la pace. Oggi la grande maggioranza dell’opinione pubblica israeliana accetta il principio di due Stati per i due popoli ed è pronta a valutare i compromessi per realizzarlo. In effetti questo dialogo è in corso ormai da anni con la parte moderata del mondo arabo e dei Palestinesi. Il problema sta nei fanatici fondamentalisti, per i quali l’unica soluzione possibile è la distruzione dello Stato ebraico. I Palestinesi devono prendere una loro decisione e se intendono trovare una soluzione e vivere pacificamente accanto a noi, devono decidersi a rigettare la strada della violenza e del terrorismo, che può portare solo ad altri spargimenti di sangue e tragedie».
Ma Hamas, nonostante tutto, è salito al potere dopo essere stato scelto a maggioranza dai Palestinesi in elezioni democratiche. Potrà mai essere un partner per la pace?
«Non entro nel merito né delle elezioni palestinesi, né della successiva violenta presa di potere da parte di Hamas nella Striscia di Gaza, né tanto meno sul modo di mantenere questo potere, lontano anni luce da quello che intendo io - e penso anche lei - per democrazia. Israele non chiude alcuna strada con chi vuole sinceramente cercare una soluzione, ma non ci si può chiedere di trattare la pace con chi non è disposto ad accettare la tua stessa esistenza. È nostra speranza e interesse che i Palestinesi estendano la loro base moderata e che questa divenga la loro voce di maggioranza. Da quel momento, la pace sarà molto più reale e vicina».
Nei giorni scorsi i suoi avversari politici, fra i quali anche alcuni alleati di governo, l’hanno accusata di voler legittimare Hamas.
«Sono accuse strumentali, bassa propaganda elettorale. Nessuna legittimazione da parte mia verso chi usa l’arma del terrore per portare avanti le proprie idee. Ciò che ho sostenuto è che occorra iniziare a parlare con accenti più realistici. Sarà più utile affrontare le vere sfide del Medio Oriente piuttosto che (cullarci) in una realtà idealizzata che piaccia solo a noi. Per quanto mi riguarda, cerco di muovermi nel solco dell’insegnamento politico di David Ben Gurion (il leader laburista fondatore dello Stato d’Israele, ndr.), secondo cui Israele non ha interesse alla guerra ma non la teme. Abbiamo dichiarato un cessate il fuoco unilaterale, dando spazio alla mediazione egiziana, ma quando i miliziani palestinesi sono tornati a lanciare razzi contro Ashkelon e il Neghev, non abbiamo esitato ad agire con la necessaria determinazione. Il nostro diritto di difesa è fuori discussione, il che non significa che siamo in procinto di scatenare un’operazione "Piombo fuso" bis. L’uso della forza non può mai essere fine a se stesso e, comunque, non può sostituirsi ad una strategia politica che punta ad un intesa di pace con chi vuol vivere in pace con Israele. È questa la grande eredità lasciataci da Yitzhak Rabin. Un’eredità che non va delapidata».
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