Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Che presidente sarà Barack Obama ? analisi, speranze, cattivi consigli
Testata:La Stampa - Il Foglio - Il Giornale Autore: Maurizio Molinari - Christian Rocca - Peppino Caldarola Titolo: «Con lui è finita la stagione delle ideologie - Con lui è finita la stagione delle ideologie - Macché svolta la sinistra non s'illuda»
Barack Hussein Obama ha giurato ieri, 20 gennaio 2009, come 44° presidente degli Stati Uniti d'America. Del suo discorso, riportiamo alcuni passaggi che riguardano la lotta al terrorismo, il rapporto con l'islam e la politca mediorentale.
La dipendenza dal petrolio:
ogni giorno porta nuove prove che il nostro modo di usare l’energia rafforza i nostri avversari e minaccia il nostro pianeta (..) Imbriglieremo il sole, i venti e la terra per alimentare le nostre automobili e le nostre fabbriche.(...)
La guerra al terrorismo:
Per quanto riguarda la nostra comune difesa, respingiamo come falsa la scelta tra la sicurezza e gli ideali(...) Cominceremo a ritirarci responsabilmente dall'Iraq, lasciandolo al suo popolo, e a costruire con fatica una pace in Afghanistan. Con i vecchi amici e gli ex nemici lavoreremo instancabilmente per alleviare la minaccia nucleare e respingere lo spettro di un pianeta che si surriscalda. Non chiederemo scusa per il nostro modello di vita, né esiteremo nel difenderlo. A quelli che cercano di raggiungere i propri obiettivi seminando terrore e uccidendo innocenti, noi diciamo che il nostro spirito è più forte e non può essere spezzato; non potrete sopravvivere, vi sconfiggeremo.(..)
Il rapporto con l'islam:
Siamo una nazione di cristiani e musulmani, ebrei e hindu, e di non credenti.(..) Al mondo musulmano: cerchiamo una nuova strada che ci faccia fare progressi, basata su interesse e rispetto reciproco.
Le dittature e l'odio verso l'Occidente
Ai leader che cercano conflitti, o accusano dei mali delle loro società l’Occidente: sappiate che i vostri popoli vi giudicheranno su quello che potrete costruire, non su quello che potete distruggere. A quelli che si aggrappano al potere con la corruzione, l’inganno e il bavaglio ai dissidenti: sappiate che siete dalla parte sbagliata della storia. Ma se vorrete aprire le vostre mani strette a pugno, vi tenderemo la mano.
Di seguito, dai quotidiano del 21 gennaio, riportiamo tre analisisull'insediamento di Obama. Quella del politologo liberal Paul Berman, intervistato per La STAMPA da Maurizio Molinari, quella del filosofo Franco Zerlenga, intevistato da Christian Rocca per Il FOGLIO sui finanziamenti sauditi ai Clinton (Hillary, ricordiamo, è Segretario di Stato nell'amministrazione Obama) e quella contenuta in un editoriale di Peppino Caldarola, pubblicato dal GIORNALE.
Maurizio Molinari "Con lui è finita la stagione delle ideologie" , pagina 8 de La STAMPA :
Con Barack Obama l’America torna pragmatica, finisce la stagione dell’ideologia». Parola di Paul Berman, nome di spicco della galassia liberal, autore di «Terror and Liberalism», politologo del «World Policy Institute» e docente alla «New York University». A quale ideologia si riferisce? «A quella degli ultimi due presidenti, George W. Bush e Bill Clinton. Entrambi appartengono alla generazione del baby boom ed hanno portato alla Casa Bianca scelte ideologiche. Clinton sull’economia, Bush sulla sicurezza. L’elezione di Obama segna la fine di questa stagione. Gli americani hanno voluto lasciarsi alle spalle l’approccio ideologico alla contrapposizione fra conservatori e liberal. Con l’insediamento di Obama l’America archivia l’ideologia e diventa pragmatica». Che pragmatismo sarà quello di Barack Obama? «Credo si richiamerà molto a Franklin Delano Roosevelt. E’ stato Obama a farci sapere che nei giorni immediatamente prima all’insediamento si è soffermato nella lettura di «The Defining Moment», il libro in cui Jonathan Alter racconta come Roosevelt appena eletto non avesse alcuna idea di come affrontare la Grande Recessione. Fece più tentativi, seguì diverse strade e solo un anno dopo essere stato eletto, nel 1933, indovinò la ricetta per risollevare l’economia». Crede che Obama si trovi in condizioni simili? «Obama ha illustrato un’idea generica di stimolo economico e subito dopo ha iniziato a trattare con i leader del suo partito, che gli hanno contestato la dimensione del pacchetto, l’inclusione dei tagli fiscali e altro ancora. Di fronte al fuoco di sbarramento, ad obiezioni dure come quelle sollevategli da sinistra da Paul Krugman, Obama ha risposto: “Datemi delle idee valide e le farò mie”. Questo significa avere un approccio pragmatico, essere aperto alla possibilità di cambiare opinione, andare d’accordo con gli avversari». Non crede che i tanti clintoniani inclusi nell’amministrazione finiranno per condizionare l’operato di Obama? «Non è detto che i clintoniani di ieri siano clintoniani anche oggi. Guardiamo ad esempio a Larry Summers, quando era ministro del Tesoro di Clinton aveva orientamenti moderati adesso invece solleva obiezioni di sinistra a Obama, lo spinge verso posizioni stataliste. E poi non dimentichiamoci che proprio come gli uomini di Bush al tramonto anche quelli di Clinton non se la passano troppo bene: Robert Rubin, ex ministro dell’Economia, è stato obbligato a lasciare in fretta i vertici di Citigroup riconoscendo le responsabilità nei gravi errori finanziari compiuti. Alla fine il governo sarà del presidente». Ci parli del pragmatismo di Obama. «Obama ha un forte senso della soluzione. Identifica i problemi, raccoglie idee diverse e poi prova a risolverli. Interpreta il pendolo della società americana che dopo quattro mandati presidenziali ideologici si è spostato verso il pragmatismo». Hillary Clinton è come lui? «Nella deposizione al Senato sulla politica estera ha dimostrato di esserlo. Ha detto che il Dipartimento di Stato, l’amministrazione, affronteranno i problemi, cercheranno alleati e soluzioni e poi faranno gli interessi dell’America. Questo significa essere pragmatici. Hillary ha detto che tenterà il dialogo con l’Iran ma che Teheran non dovrà mai avere l’atomica. Questo significa essere pragmatici. Hillary ha anche detto che il Dipartimento di Stato crescerà, per dimensione e importanza, perché oggi non ha molto senso che l’America abbia più componenti di bande militari che diplomatici. Hillary è pragmatica ma soprattutto riflette l’approccio di Obama, il Pragmatico in Capo». Lei ha scritto «Terror and Liberalism». Cosa succederà alla dottrina della guerra al terrorismo con Obama? «Le espressioni lessicali contano meno della sostanza. Obama, Hillary e il Segretario alla Difesa Robert Gates potranno forse rinunciare ad adoperare l’espressione coniata da Bush ma la sostanza di questa strategia è destinata a durare perché il terrorismo di Al Qaeda minaccia l’America. Fra i cambiamenti che potranno intervenire ci saranno quelli sulle alleanze. Potremmo vedere Obama tentare di creare un’alleanza anti-terrorismo come riuscì a Bill Clinton nei Balcani contro Milosevic». Cosa consiglia all’Europa? «Unirsi a lui sulle cose da fare: la ripresa economica, la lotta alla proliferazione nucleare, la stabilizzazione dell’Afghanistan, lo sviluppo di energie alternative e la difesa del clima. C’è un’agenda molto concreta su cui lavorare assieme con Barack Obama».
Da pagina 2 del FOGLIO, di Christian Rocca "Perché Zerlenga teme che Hillary sia condizionata dai soldi sauditi":
New York. “Bar Boulud” su Broadway, tra la sessantatreesima e la sessantaquattresima. Il pensatore newyorchese Franco Zerlenga ordina una zuppa di zucca, un ricco piatto con gamberi della Louisiana, merluzzo scottato nell’olio d’oliva, verdure, lattuga e maionese di uova di quaglia all’aglio e, per finire, un’insalata di frutta. Elettore del Partito democratico, e con particolare entusiasmo di Obama, nei giorni scorsi Zerlenga ha scritto una lettera al senatore Charles Schumer e un’e-mail alla deputata Carolyn Maloney, i suoi rappresentanti al Congresso, per suggerirgli di sostenere una proposta di legge semplice semplice: “Gli ex presidenti e gli ex membri dell’Amministrazione non possono ricevere finanziamenti da governi stranieri e soprattutto da quelli dittatoriali che non riconoscono i principi fondamentali della democrazia americana”. L’ex professore di Storia dell’islam alla New York University è sconvolto dalla blanda reazione politica e pubblica alla notizia che la fondazione e la biblioteca presidenziali di Bill Clinton abbiano ricevuto 25 milioni di dollari dall’Arabia Saudita e altrettanti da membri della famiglia reale. “E’ incredibile – dice – è chiaro che questi soldi, che per loro sono noccioline, servono a influenzare la politica americana. Eppure nessuno ne vuole parlare”. Anche al Senato, ricorda Zerlenga, durante l’audizione per la conferma di Hillary Clinton a segretario di stato nessuno le ha davvero chiesto conto di quei soldi e di quei finanziatori. Pochi giorni fa, la commissione Esteri ha votato a favore di Hillary con 16 voti e uno solo contrario, proprio per il potenziale conflitto di interessi con i sauditi. Zerlenga è felice che Hillary abbia detto che “la discriminazione delle donne in Afghanistan non sia un fatto culturale, come dicono i multiculturalisti, ma un fatto criminale”, ma si chiede come mai non abbia detto la stessa cosa sulla discriminazione delle donne saudite. L’altro giorno, racconta il professore, una corte saudita ha ribadito che “una bambina di otto anni non può divorziare, perché è stata già venduta, e io mi chiedo che cosa faccia l’Unicef”. Non fa niente nemmeno l’America, però: “Ogni tanto noi americani quando vediamo i soldi ci dimentichiamo dei nostri valori fondamentali – dice – Abbiamo approvato leggi per porre limiti al finanziamento privato alla politica, ma ci giriamo dall’altra parte di fronte a uno stato come l’Arabia Saudita che versa milioni di dollari agli ex presidenti”. Zerlenga usa il plurale perché, oltre a Clinton, anche Bush senior e Jimmy Carter hanno ricevuto finanziamenti sauditi per le loro biblioteche. Su Carter, Zerlenga invita a leggere il libro dell’avvocato liberal Alan Dershowitz “The case against Israel’s enemies – Exposing Jimmy Carter and others who stand in the way of peace”. La mancata indignazione americana, spiega Zerlenga, è una tragedia. Eppure, continua, se Clinton avesse preso un dollaro dal Ku Klux Klan sarebbe diventato giustamente uno scandalo internazionale, una notizia da prima pagina. Il paragone tra i seguaci della nazione ariana e i sauditi, ricorda Zerlenga, non è campato in aria. L’ha spiegato il più grande esperto occidentale di islam, Bernard Lewis: “Immaginatevi – ha detto Lewis – se il Ku Klux Klan ottenesse il pieno controllo del Texas, avesse a disposizione tutto il reddito petrolifero e usasse quei soldi per costruire in tutto il mondo cristiano una rete di ricche scuole e università capaci di diffondere il loro particolare tipo di cristianesimo. Questo è quello che i sauditi hanno fatto con il wahabismo. I soldi del petrolio hanno consentito di diffondere questa forma fanatica e distruttiva di islam in tutto il mondo musulmano e tra i musulmani che vivono in occidente. Senza il petrolio e senza la creazione del regno saudita, il wahabismo sarebbe rimasto una frangia estremista in un paese marginale”
Dalla prima pagina e dal pagina 38 del GIORNALE, l'editoriale di Peppino Caldarola "Macché svolta la sinistra non s'illuda":
È dai tempi di Lenin che non si registrava un così grande entusiasmo della sinistra mondiale per un leader. Ed è già un bel passo avanti passare dal feroce capo sovietico all'accattivante e «abbronzato» nuovo presidente degli Stati Uniti. Barack Obama, appena incoronato, ha sollevato speranze inaudite. Tutti si aspettano il miracolo. Stiamo passando dal «Santo subito» al «Santo prima». Non era successo a nessun altro leader occidentale. Gli apolidi di sinistra che, come è capitato a me, avevano pubblicamente espresso la loro simpatia per il maverick John McCain guardano questo culto della personalità «preventivo» con stupore, preoccupazione e, diciamolo, ironia. E se fosse tutto un bluff? Se le aspettative si rivelassero sproporzionate alle possibilità concrete?
Tradizionalmente nella politica dei Paesi anglosassoni decisivi sono i primi cento giorni. Il panorama che guarderà da Capitol Hill il nuovo presidente è devastato da una crisi economica senza precedenti, dal dossier afghano, da quello iracheno, da quello iraniano, per tacere di Gaza e Cisgiordania. È un mondo sottosopra quello che dovrà governare Obama. Per quanto forte sia il suo carisma, per quanto innovative siano le sue idee, è difficile che un uomo solo al comando sia in grado di dare una risposta immediata a tutte queste domande. Sarà tanto se riuscirà a imprimere fiducia, se cioè sarà abbastanza berlusconiano da imporre a un'America attonita un po' più di ottimismo. Ma miracoli non potrà farne. Proseguirà la linea di Bush nel sostegno dello Stato ai settori in crisi, rilancerà la domanda pubblica nel ricordo del New Deal di Roosevelt, porrà le basi per la ripresa ma il povero Obama non ha la bacchetta magica e già mi immagino i musi lunghi al termine dei cento giorni quando finita la luna di miele, magari dopo un nuovo scossone delle Borse, ci si accorgerà che la situazione è pressoché uguale a prima.
Stessa cosa nella politica estera. Chiuderà Guantanamo, cambieranno alcuni toni nel modo di proporsi dell'America, ma Obama dovrà riuscire in primo luogo a preservare l'America da un secondo attacco terroristico e poi dovrà concentrarsi sui punti caldi senza troppi fronzoli. Aumenterà l'impegno afghano, ci sarà una data lontana per il ritiro iracheno, continuerà la faccia feroce contro Teheran, deluderà i sostenitori europei di Hamas e Hezbollah. Invece della brutale franchezza di Bush, avremo i toni ispirati di Blair o di Clinton, ogni decisione sarà infiocchettata di miti democrats, ma cambierà poco, anche se molti scriveranno che sta cambiando tutto. Come ci sono state le guerre di Bush e quelle di Clinton avremo anche le guerre di Obama e le marce di Assisi contro di lui.
Una sinistra ragionevole affronterebbe con sano realismo e pragmatismo l’avvento epocale del primo afro-americano alla guida della superpotenza occidentale. Farà quel che potrà, esporrà in modo fascinoso le sue iniziative, ci dovremo accontentare e sperare che passi la «nuttata» dell'economia. Lo sentiremo più vicino a noi solo quando dovrà affrontare i conflitti con Hillary e le altre star del suo governo che gli contenderanno la prima scena. Sarà l'unico momento italiano della presidenza Usa.
Non tutta la sinistra, tuttavia, è entusiasta del nuovo presidente. Il filosofo Mario Tronti, che con Asor Rosa è stato a lungo maestro di giovanili estremismi, ritiene che il fenomeno Obama sia solo l'altra faccia del solito potere americano. C'è una sinistra all'antica che non si fa incantare dal kennedismo anni 2000. Ma la sinistra veltroniana aspetta con ansia le prime mosse del nuovo leader pronta a magnificarne le gesta e a identificare il leader d'Oltreoceano con qualcuno degli sventurati leader nostrani. Da anni la sinistra italiana girovaga per il mondo. Se in Francia Ségolène Royal ha la faccia di bronzo di dire che Obama ha copiato da lei, la sinistra italiana, assai più provinciale e esterofila, si appresta a cambiare ancora una volta pelle e dopo essere stata mitterrandiana, socialdemocratica tedesca, blairiana, zapaterista oggi si concentrerà sull'obamismo.
Ogni frase del nuovo leader sarà compulsata e paragonata ad analoghe frasi di Martin Luther King, di Mandela, di John e Bob Kennedy. Le guerre di Obama saranno «guerre etiche» o «interventi umanitari», come quelli di Clinton. Fino a che qualcuno non darà ragione al vecchio Tronti e dirà che l'America è sempre l'America. La sinistra si dividerà fra obamisti riformisti e non obamisti radicali. Credo nell'indifferenza generale.
Sul CORRIERE della SERA, a pagina 8, Christopher Hitchens, sostenitore di Obama, scrive però a difesa dell'amministrazione Bush ("Faccio festa Ma nel 2004 non ero per Kerry"):
Non siamo mai invitati a riflettere su cosa sarebbe accaduto se i democratici fossero stati al governo quell'autunno. Il decreto sulla pena capitale e le misure antiterrorismo, fatto approvare in tutta fretta da entrambe le Camere da Bill Clinton dopo la puntura di spillo inflitta dall'attentato di Oklahoma City, era stato giustamente denunciato dall'Unione americana per le libertà civili come il peggior colpo alla causa dei diritti civili. Ma dato il precedente, e vista l'entità dell'attacco dell'11 settembre, ci scommetto che parole come intercettazioni e tortura sarebbero diventate di uso corrente, e anche più in fretta di quanto non sia accaduto. Sì, avremmo potuto evitare la guerra in Iraq, pur avendo sia Clinton che Gore ripetuto che un nuovo scontro con Saddam Hussein appariva inevitabile. Ma sono convinto che gli storici giudicheranno il rovesciamento di Saddam come qualcosa che la comunità internazionale non avrebbe potuto rimandare sine die (anzi, è una vergogna che i precedenti inquilini della Casa Bianca si siano lavati le mani del problema).
Barbara Spinelli, nell'editoriale "Il presidente ragazzo" in prima pagina e a pagina 37 della STAMPA dichiara che
le guerre contro il terrore non portano frutti
Dunque meglio cessarle e trattare, anche con l'Iran che vuole distruggere Israele. Inoltre:
E' stato quanto meno azzardato far credere ai piccoli nazionalismi (Georgia, Ucraina e Israele) che potevano tutto, perché alle spalle avevano il gigante Usa.
Meglio l'alleanza con la grande umma islamica e lasciare che le piccole nazioni vengano spazzate via dalla carta geografica ? Cattivi consigli al nuovo presidente americano.
Su La REPUBBLICA, in un editoriale pubblicato in prima pagina e a pagina 8,"L' America migliore" Vittorio Zucconi auspica che con Obama avvenga la
riapertura ad un mondo che l'angoscia delle torri gemelle aveva sbarrato nell'unilateralismo bushista e nella seduzione della forza
"Unilateralismo" e "seduzione della forza" sono i nomi politicamente corretti dell'autodifesa americana dal terrorismo, che per Zucconi, a quanto sembra, dovrebbe cessare.
Sempre su REPUBBLICA, intervistato da Alix Van Buren, l'islamologo Gilles Kepel attribuisce grande importanza al fatto che Obama abbia descritto gli Stati Uniti come una nazione di "cristiani e musulmani, ebrei e hindu", anteponendo l'islam all'ebraismo (pagina 7, "Gilles Kepel, Una rivoluzione verso l'islam"):
Il nuovo messaggio è che Israele e la sua sicurezza restano centrali, ma il mondo musulmano acquista un'importanza tutta particolare
Intervistato dal RIFORMISTA Rashid Khalidi , storico palestinese, docente alla Columbia University, auspica una svolta antisraeliana della politica americana (pagina 12, "Dal mio compagno Barack aspetto la svolta promessa").
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