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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Rassegna Stampa
10.01.2009 A sinistra c'è un gran vuoto di serietà e di equilibrio
Che il giornale di Antonio Polito potrebbe riempire. Se lo vuole.

Testata:
Autore: Antonio Polito
Titolo: «Dove cresce l'uovo del serpente antisemita»

Alcuni quotidiani a confronto, oggi, 10/01/2009:

IL RIFORMISTA - L'editoriale è di Antonio Polito, il direttore, è perfetto, e fa piacere leggerlo su un quotidiano . Chissà che una parte dei suoi lettori non ne traggano giovamento. Ci permettiamo di includere nella categoria dei beneficiati anche qualche collaboratore del giornale. Che senso o interesse ha conoscere l'opinione di Azzam Tamini, un trombettiere di  Hamas (pag.7), per sentirsi di che "Hamas si attende da Obama un dialogo senza stabilire pre-condizioni " ? Non ci pare una novità, per cui ci farebe piacere se Polito chiedesse all'autrice del pezzo Alessandra Cardinale, come mai le è venuta questa originale pensata. Anche i titoli a senso unico, nel senso che riportano solo tesi ostili a Israele, andrebbero seguiti con più attenzione. La sinistra ha un disperato bisogno di un giornale serio e il  Riformista potrebbe diventarlo, non avendo praticamente nessun concorrente. Gli altri, che a sinistra, nel senso partitico, potrebbero fargli concorrenza,  sono L'unità,il Manifesto e Liberazione, vale a dire l'informazione con la clava. Forza, caro Polito, non è impossibile.

Ecco l'articolo, con i complimenti di Informazione Corretta:

- " Dove cresce l'uovo del serpente antisemita " di Antonio Polito

Sono piccoli segnali, per carità. E per lo più vengono dai soliti noti. Un sindacatino rosso che vuol boicottare i negozi ebrei. Un filosofo rosso (Vattimo) che si limiterebbe a «procurarsi missili più efficaci dei Qassam e a portarli laggiù» per aiutare Hamas. Qualche fascio che mette nottetempo un minaccioso striscione contro il presidente della comunità ebraica romana. Perfino un giornale come il Manifesto che rimprovera al Corriere della sera di essere «beghino e bigotto» per la linea dei suoi editorialisti sulla guerra di Gaza, ipotizza una cospirazione del direttore che impedisce loro di esprimersi liberamente, e considera un'evidente e arrogante manifestazione del potere della lobby ebraica il semplice fatto che l'ambasciatore di Israele sia ammesso nella sede di quel giornale per tenere un forum (sebbene «non per la pubblicazione, ma a uso interno»). Forum inutile, sentenzia il Manifesto, perché «l'ambasciatore sembrava un pappagallo con le sue risposte più banali e scontate a qualsiasi domanda».
Episodi diversi l'uno dall'altro, e di ben diversa gravità, figuriamoci. Ma tutti originati da un unico pregiudizio storico: il peccato originale di Israele. La colpa in fin dei conti è sempre sua, perché Israele non è uno stato come un altro, ma uno stato che non esisteva e che si è radicato con la forza e la sopraffazione in una terra che era di altri.
L'ignoranza che questo assunto denuncia è abissale, o voluta. Il mondo è pieno di stati che sessant'anni fa non esistevano. Se è per questo, nemmeno la Palestina esisteva sessant'anni fa. Nemmeno come idea. È nata dopo, la causa palestinese; e spesso per affermarsi ha dovuto battersi innanzitutto con gli stati arabi, che rifiutarono la partizione del '48.
Tutte queste posizioni negano la legittimità dell'atto di fondazione stesso di Israele, la sua giustificazione morale, la sua opportunità storica. Ed è per questo che spesso finiscono per prendersela con gli ebrei. Perché se Israele esiste è perché esistono gli ebrei sparsi in tutto il mondo, che invece di restarsene dove le onde della storia e della diaspora li avevano portati, hanno voluto farsi nazione in Israele.
È per questo che bisogna essere «per Israele». Ed è per questo che il nostro giornale aderisce alla manifestazione «Per Israele e per la pace» che si tiene oggi a Roma. Essere «per Israele» vuol dire accettare la legittimità dell'esistenza di uno stato che è nato sulla base di una risoluzione dell'Onu, che ha dovuto difendersi molte volte dalle aggressioni dei suoi vicini che negavano e spesso negano ancora quell'esistenza, e che da tempo riconosce da parte sua il corollario necessario del suo diritto ad esistere: e cioè il diritto ad esistere, al suo fianco, di uno stato palestinese, che dia finalmente una patria a un popolo che non l'ha mai avuta.
Questi sono princìpi, che l'Occidente e l'Europa ritengono non negoziabili. Tutto il resto è politica. E allora si può decidere, di volta in volta, se si è oppure no «con Israele», come si intitola un'altra manifestazione che si terrà mercoledì davanti a Montecitorio, su iniziativa dell'associazione parlamentare di amicizia Italia-Israele. Se cioè si ritiene, di volta in volta, che le azioni dello stato di Israele siano oppure no in grado di assicurare e di accelerare quel duplice obiettivo di pace: due popoli, due stati. Nel conflitto in corso a Gaza, non è difficile rispondere al quesito: chi dei due contendenti vuole assicurare e accelerare quell'esito? Hamas, che ha nel suo Statuto l'obiettivo della distruzione di Israele? O Israele, che con l'Autorità nazionale palestinese ha già firmato accordi per la nascita di uno stato palestinese?
Queste cose bisogna tenerle ben in mente. Perché se non lo si fa, si apre sempre e di nuovo una crepa nella quale l'uovo del serpente antisemita può impiantarsi. Non dite che è una cosa da anni '30, che l'orrore non può ripetersi, che si può abbassare finalmente la guardia. Pochi anni prima che nascesse l'antisemitismo più feroce, quello che in Germania arrivò fino all'Olocausto, il livello di integrazione degli ebrei nella società tedesca era totale. Il numero dei matrimoni misti era poco meno della metà dei matrimoni totali degli ebrei. L'yiddish, la lingua della diaspora, era un dialetto tedesco. Gli ebrei dicevano di se stessi: «Ci saremmo messi a ridere se ci avessero detto che non eravamo tedeschi». Eppure.
Ogni guerra che coinvolge Israele è un'occasione ghiotta per l'antisemitismo. Anche chi non sta «con Israele», ha dunque il dovere di vigilare innanzitutto su se stesso, per imparare ad essere «per Israele».

L'UNITA' e IL MANIFESTO sono la fotocopia l'uno dell'altro, chissà se Furio Colombo li confronta ogni tanto. Glielo consigliamo vivamente. Al Manifesto non ci permettiamo di consigliare nulla, anzi, di entrambi non riportiamo nemmeno le titolazioni. E dire che da obiettare ce ne sarebbe. Ma siamo presi da una noia abissale nello sfogliarli, per fortuna che in prima pagina c'è  la data di oggi.

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info@ilriformista.it

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