Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
La tragedia israelo-palestinese, il compromesso e la pace: la visione di Amos Oz un'intervista di Umberto De Giovannangeli allo scrittore israeliano
Testata: Autore: Umberto De Giovannangeli Titolo: «Israele, ti chiedo coraggio: scegli il compromesso nella tragedia con la Palestina»
Da L'UNITA' del 30 novembre 2008 riportiamo un'intervista di Umberto De Giovannangeli allo scrittore israeliano Amos Oz:
I suoi romanzi lo hanno reso famoso in tutto il mondo. L’impegno per il dialogo con i palestinesi ha sempre accompagnato la sua straordinaria produzione letteraria. Scrittura e impegno civile s'intrecciano indissolubilmente nel percorso di vita del più grande tra gli scrittori israeliani contemporanei: AmosOz. Dai libri all’agone politico: in questa conversazione con l'Unità, Ozspiega il senso della sua sfida.E racconta il «suo» Israele. Partendo, in una Terrasanta che si nutre di assoluto, dall’elogio del compromesso. Vero antidoto al fanatismo: «Nel miomondo - riflette Oz - la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c’è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismoenemmenodeterminazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte». Scrittura e politica. Un binomio che aiuta il grande scrittore israeliano a inquadrare il conflitto israelo-palestinese: «A renderlo particolarmente grave - annota Oz - è il fatto che esso sia essenzialmente un conflitto fra due vittime. Due vittime dello stesso oppressore. L'Europa, che ha colonizzato il mondo arabo, l’ha sfruttato, umiliato, ne ha calpestato la cultura, che l’ha controllato e usato come base d'imperialismo, è la stessa Europa che ha discriminato, perseguitato, dato la caccia e infine sterminato in massa gli ebrei perpetrando un genocidio senza precedenti. A rigore, due vittime dovrebberomanifestare d’istinto una solidarietà tra loro.Così succede spesso nei romanzi. Ma nella vita vera alcuni fra i più aspri conflitti vedono incampo due vittime dello stesso oppressore». LECONSIDERAZIONIdiAmosOzsono permeate da un ispirato realismo. Come quando sottolinea che per lui «l’opposto della guerra non è l'amore e l'opposto della guerra non è nemmeno pietà, e l’opposto della guerra non ha nulla a che vedere con la generosità e il perdono o la fratellanza. No: l'opposto della guerra è la pace. Le nazioni debbono poter vivere in pace. Se facessi in tempo a vedere lo Stato d'Israele e lo Stato di Palestina vivere fianco a fianco decorosamente, senza massacri, senza terrorismo, senza violenza, ne sarei soddisfatto anche se non si trattasse di un trionfo dell’amore...». Al suo Paese, Israele, Amoz Oz chiede un atto di coraggio. Politico, morale, intellettuale. E storico. In particolare su un tema scottante, cruciale per un accordo di pace: la questione dei profughi palestinesi. «È venuto il momento - afferma lo scrittore - di riconoscere apertamente la nostra partecipazione alla catastrofe che imprigiona i profughi palestinesi. Non siamo i soli responsabili e i soli colpevoli, ma le nostre mani non sono pulite. Lo Stato di Israele è sufficientemente maturo e forte per ammettere la propria parte di responsabilità e per accelerare le conclusioni». Non è di tutti i giorni che uno scrittore, sia pure impegnato, decida di «sporcarsi le mani» con la politica, scendendo in campo per formareunnuovopartito. Cosal'ha spinta a questa scelta? «La decisione di coinvolgermimaggiormente nella creazione di un vero partito socialdemocratico, deriva dalla considerazione che le prossime elezioni israeliane (fissate per il 10 febbraio 2009, ndr.) potrebbero essere determinanti per il futurodel Paese. Potrebbero dare come risultato la scelta della via della pace o della guerra. Questa è la posta in gioco. E non siamo mai stati così vicini, comeadesso, a unaccordo coi palestinesi. Per quanto riguarda la natura di questa compagine, ho ritenuto che solo il Meretz (la sinistra laica e pacifista, ndr.) possa servire da base per dare espressione alla necessità di un partito che porti avanti una piattaforma socialdemocratica che oggi, nella politica israeliana, non ha una vera rappresentanza». E perché il partito laburista, il partito di David Ben Gurion, Golda Meir, Yitzhak Rabin - le cui vicende si intrecciano fortemente con la nascita dello Stato d'Israele e con buona parte dei suoi sessant'anni di vita - non la rappresenta più? Cosa resta oggi di quel partito e dei principi che lo ispirarono? «Purtroppo, molto poco. Il Partito laburista è diventato un partner molto marginale di coalizioni di governo guidate da altri. Il suo compito storico è terminato e con unsuccesso che è solo parziale. È vero - e questo va riconosciuto - che la sinistra israeliana è riuscita a far penetrare moltedelle sue ideenell’opinione pubblica israeliana. Molti tabù sono stati infranti. Si può senz’altro dire che, in buona misura, l’area politica del centro destra israeliano di oggi, ha assorbito e fatto proprie posizioni per le quali, 15-20 anni fa, la sinistra veniva accusata di disfattismo o peggio, di tradimento. Il problema è che i laburistinon sono riusciti a portare a compimento questa opera: hanno convinto gran parte dell’opinione pubblica sulle posizioni di principio, ma non sono riusciti a trovare la strada per rendere concrete e accettate dalla maggioranza anche le inevitabili conclusioni, vale a dire la necessità di porre fine al conflitto sulla base territoriale dei confini del 1967, Gerusalemme ovest capitale di Israele e Gerusalemme est capitale dello Stato Palestinese e assicurazione di pace e sicurezza per Israele. Ma non c'è solo questo...» Cos’altro ancora? «Il Partito laburista è stato partner, negli ultimi anni, di governi che hanno gestito il Paese sulla base di un’economia capitalistica che definirei bestiale, senza regole, senza vincoli sociali. Questo stato di cose va radicalmente cambiato. Va trovato un sistema economico-sociale che dia una giusta risposta anche ai bisogni degli strati sociali più poveri e bisognosi di aiuto». Israele vive da anni tra paura e speranza.Sentimentichesegnanoilpresenteecondizionano il futuro. Qual è la visione di Israeledi cui Lei si fa portatore? «Penso che si debba e si possa porre fine al conflitto fra Israeliani e Palestinesi o almeno ridurne le dimensioni a un confronto con il regime, quello di Hamas, che controlla oraGaza.Unrisultato del genere rappresenterebbe già di per sé un fatto storico e cambierebbe molto rispetto alla situazione attuale, poiché spalancherebbe la possibilità di una pace con tutto il mondo arabo». Si dice che gli intellettuali siano la coscienza critica di un Paese. Vale ancora questo assunto e se sì, come si cala nella realtà attuale di Israele? «Gli intellettuali israeliani coprono un arco di idee così ampio, da rendere difficile e improbabile ogni tentativo di generalizzazione. Io stesso, non mi vedo come coscienza della società israeliana. Mi considero un cittadino coinvolto, che ha una particolare sensibilità nei confronti della lingua. Questo è il canale che mi avvicina alla realtà delPaese e mi porta all’impegno sociale che sento di dover dare». Guardando al conflitto israelo-palestinese, Lei ha parlato e scritto spesso di una tragedia in cui a scontrarsi sono due diritti ugualmente fondati. E' ancora così e come uscirne? «L’unica strada per uscirne passa per il compromessoe per il riconoscimento dell'altro e della sua esistenza in pace in suoi confini sicuri e sovrani. Laddove c’è uno scontro fra due giusti diritti, fra giusto e giusto, il finalepuò essere solo di due tipi: shakespeariano o cecoviano. Nel primo la scena è cosparsa di corpi cadaveri e regna la disperazione; nel secondo, tutti i personaggi sono insoddisfatti, melanconici, tristi e con il cuore cuore infranto,ma nessuno muore. Io sono alla ricerca di un finale cecoviano alla tragedia israelo-palestinese». In un attualissimo pamphlet, “Contro il fanatismo” nelqualesonoraccoltealcunesuelezioni universitarie, Leihasvoltounlucido,appassionato elogio del compromesso. Non è in contraddizione con la nettezza delle idee che l'hanno spinta all'impegno politico? «Direi proprio di no. Vede, quando dico compromesso non intendo capitolazione, non intendo porgere l’altra guancia all'avversario, un nemico, una sposa. Intendo incontrare l’altro, più o meno a metà strada. Tutti conoscono il prezzo e le condizioni. Tutti sanno, chilometro più, chilometro meno, quale sarà la mappa definitiva dell'accordo. È solo una questione di leadership coraggiosa delle due parti, per realizzare quello che i due popoli già sanno in cuor loro. E compromesso significa che il popolo palestinese non debba mai mettersi in ginocchio, e nemmeno debba farlo il popolo ebraico israeliano. Una dei tratti di questa tragedia è di aver voluto rinviare nel tempo la ricerca, inevitabile, di un compromesso. Inevitabile perché, piaccia o no, dobbiamo dividere questa terra: né noi né loro abbiamo un altro posto dove andare»
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