Dal CORRIERE della SERA del 30 ottobre 2008, un intervento di Ayaan Hirsi Ali:
I ribelli islamici, di ispirazione wahhabita e associati all'Unione delle corti islamiche, già scacciati da Mogadiscio nel 2006 dalle forze governative somale ed etiopi — con la benedizione degli Stati Uniti — oggi hanno il controllo della città di Chisimaio. Come primo atto di governo, hanno imposto la Sharia. E come sempre, la prima cosa che hanno fatto in nome di questa eccelsa legge tribale è stata quella di cercare una donna da punire. Una giovane di 23 anni, Aisha Ibrahim Dhuhlow, è stata lapidata per adulterio.
L'hanno infilata in una buca e ricoperta di terra fino alla testa, per poi colpirla ripetutamente con pietre fino a che non ha esalato l'ultimo respiro. Alcuni in Occidente sostengono che l'Unione delle corti islamiche, che per poco non riuscì a «unificare» la Somalia nel 2006, rappresenta l'unica soluzione per arginare l'anarchia e riportare ordine in questa sventurata nazione, travagliata dalla guerra, dove io sono nata. Ma si tratta di un concetto errato. Lo stesso si era detto dei talebani in Afghanistan, nel caos che travolse quel Paese al ritiro delle truppe sovietiche. Soprattutto da una prospettiva femminile, l'unico ordine che si potrà riportare sarà quello del Medio Evo, non del ventunesimo secolo. Anzi, il mio timore per il prossimo decennio è che il ritiro degli Stati Uniti dall'Iraq e dal Medio Oriente, nel tentativo di affrancarsi dalla dipendenza energetica, non farà altro che infervorare ancor più i jihadisti e abbandonerà l'intera regione — la Somalia — nelle mani dei fondamentalisti islamici. È una prospettiva spaventosa. L'Occidente, in particolare, non deve trattare con leggerezza questa lapidazione e altri crimini dello stesso genere. I responsabili di questa barbarie contro i diritti umani dovrebbero essere incriminati, catturati e processati dal tribunale internazionale dell'Aia, come lo fu Slobodan Milosevic.
© Global Viewpoint, traduzione di Rita Baldassarre
L'editoriale del FOGLIO
In Somalia, dopo la mostruosa lapidazione pubblica di una ragazza accusata di adulterio, nel sud del paese controllato dalle Corti islamiche, una mezza dozzina di attentati suicidi ha provocato numerose vittime nel nord e nel centro, compresi dipendenti dell’Onu, per dimostrare che il terrore islamista è in grado di colpire ovunque. Intanto le coste della Somalia diventano santuari della pirateria che minaccia una delle rotte commerciali e petrolifere più importanti del mondo. E’ evidente che la Somalia, assieme al Sudan, rappresenta la più importante zona d’insediamento del terrorismo di al Qaida in Africa, con l’aggravante che, mentre sul Sudan, seppure sporadicamente, si fa sentire una pressione internazionale, la Somalia è stata abbandonata a se stessa quando l’azione militare dell’Etiopia, che aveva evitato il completo dominio delle Corti islamiche, non è stata sostenuta dalle cancellerie. Sul piano economico l’unica potenza dinamica in Africa è quella cinese, che non ha alcun interesse a creare problemi ai potentati locali per il fatto che anch’essi non rispettano i diritti umani. In occidente solo la Francia ha mostrato a tratti una certa capacità di iniziativa, che ha ottenuto importanti successi difensivi, per esempio in Ciad. L’Unione africana non conta nulla e non riesce a sedare le guerre tribali che sconvolgono l’area subsahariana, a cominciare dal Congo, e non è certamente in grado di intervenire efficacemente in Somalia. Tutti i ritardi che si accumulano oggi, e che danno vantaggi al fondamentalismo islamico, al terrorismo internazionale e alla pirateria, saranno pagati domani con gli interessi. Come ha dimostrato l’operazione etiope, in realtà la capacità militare dei fanatici della sharia è tutt’altro che irresistibile. Ma se si permetterà che essa si radichi sul territorio e stringa i legami col terrore internazionale e con la pirateria, sconfiggerla diventerà sempre più difficile e costoso. In questa situazione una protesta verbale per le vittime dell’Onu è davvero troppo poco.
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