Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Intervista a Zeev Sternhell ma lui, pur reduce da un attentato, sa distinguere tra le minoranze violente e la maggioranza degli israeliani degli insediamenti
Testata: Autore: Umberto De Giovannangeli Titolo: «Zeev Sternhell: non è in gioco la mia vita ma il futuro di Israele»
Intervista di Umberto De Giovannangeli allo storico israeliano Zeev Sternhell, sull'UNITA' del 30 settembre 2008. Osserviamo che le distinzioni introdotte da Sternhell (tra i 250.000 coloni della Cisgiordiania, afferma lo storico, 200.000 non hanno motivazioni ideologiche, e la maggioranza dei restanti 50000 è aliena dai metodi violenti di una minoranza di fanatici) ben difficilmente trovano spazio nella quotidiana informazione dell'UNITA' (si veda in proposito il nostro commento al reportage da Kyriat Arba di u.d.g. http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=13&sez=120&id=26025) Ecco il testo:
Le ferite che fanno più fatica a rimarginarsi sono quelle dell’anima. Dalla finestra del suo studio, Zeev Sternhell fa un cenno di saluto agli uomini della polizia che, ventiquattr’ore su ventiquattro, dal giorno dopo l’attentato presidiano il palazzo in cui lo storico e la sua famiglia risiedono. Zeev Sternhell ha aperto all’Unità, unico giornale italiano, la sua casa «blindata». Con la memoria ritorna a quei momenti drammatici dell’attentato e ripete: «Al mio posto avrebbe potuto esserci un mio familiare; no, non perdonerò mai chi ha messo quell’ordigno». Il telefono squilla ininterrottamente: la Cnn lo vorrebbe in diretta, così la Bbc e Al Jazira. Mentre parliamo, telefona da Ramallah il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmud Abbas (Abu Mazen): chiede notizie sul suo stato di salute, lo ringrazia per il suo impegno a favore del dialogo. Lo stesso fa la premier incaricata, Tzipi Livni:«È una donna molto determinata, credo nella sua volontà di combattere l’estremismo della destra radicale», osserva lo storico. A ravvivare l’atmosfera è il caos festante dei suoi nipotini. La stanza in cui Sternhell ci riceve è colma di libri, non solo negli scaffali, ma sui tavoli, intorno al computer, dappertutto. È il campo di «battaglia» di un intellettuale coraggioso, scomodo, e per questo da eliminare. «In gioco - dice Sternhell - non è solo la mia vita, ma il futuro stesso di Israele e della nostra democrazia». «Non ho la tempra dell’eroe - dice sorridendo lo storico - ma una cosa è certa: non mi farò intimidire». Professor Sternhell, torniamo a quel mercoledì notte…. «Il ricordo di quei momenti non mi abbandonerà più… Era circa a mezzanotte, e prima di andare a dormire sono andato a chiudere il cancello esterno della porta di casa. Aperta la porta c’è stato lo scoppio e ho capito che si trattava di una carica esplosiva. Non posso pensare cosa sarebbe successo se ad aprire la porta fosse stato uno dei miei nipotini che era lì fino a poco prima..». Chi può essere stato? «Non essendo membro di alcuna famiglia mafiosa, non vedo altra possibilità che chi mi ha fatto questo appartenga al gruppo sul quale dico da 40 anni cose dure e scomode. Non so se è un singolo, una cellula di due o tre persone o magari i membri di un intero insediamento che hanno deciso di saldare il conto con me». Lei ha detto che se si tratta di una organizzazione, ciò potrebbe essere il segnale dell’inizio della fine della democrazia israeliana. «Ho dedicato molti anni allo studio di questo genere di processi politici e sociali. Società, anche illuminate e europee, si sono trovate in questo tunnel. Il problema non è tanto nel gruppo che compie gli atti, ma nel modo in cui la società reagisce. C’è chi fa un mezzo sorriso di compiacimento o magari una smorfia di disaccordo. C’è chi allarga le braccia dicendo "che si può fare?". Nella mia attività di studioso troppe volte ho visto verso i coloni un sorriso indulgente, una strizzatine d’occhio. Ricordo che negli scorsi anni 80 il premier Shamir (Likud) disse di un gruppo terroristico di coloni che erano dei "gran bravi ragazzi". Per lui, primo ministro d’Israele, si trattava di patrioti pieni di buone intenzioni, non di criminali come essi erano….Quando ciò accade, quando si banalizza questo fenomeno o peggio ancora si giustificano questi "patrioti", allora siamo di fronte all’inizio dello sfaldamento della democrazia che, di per sé stessa, è una forma fragilissima di regime, da tenere continuamente sotto protezione. Se si ledono le fondamenta di questa struttura, tutto l’edificio può crollare. Di queste fondamenta, la più importante è forse quella della libertà di parola che deve essere esercitata in una atmosfera in cui la violenza non la metta in pericolo. Le idee, tutte le idee, hanno il diritto di essere espresse e ascoltate, senza che nessuno lo impedisca, tanto meno facendo uso della violenza - e alla fine la maggioranza deciderà, difendendo anche i diritti della minoranza». Pur condannando l’atto di cui Lei è stato vittima, la destra più moderata non le perdona alcune dichiarazioni, come quando disse anni fa, che i se i palestinesi ragionassero meglio, indirizzerebbero la loro lotta contro le colonie e non all’interno dei territori consensuali di Israele. «Innanzitutto ho più volte detto che questa mia dichiarazione, in quanto a chiarezza non è certo stata delle migliori. L’ho spiegata un infinito numero di volte chiarendo che non c’era ovviamente nessuna intenzione di dare un via libera morale ai Palestinesi ad assassinare coloni. Ma prendendo come punto di partenza proprio questa mia dichiarazione, e in generale tutto il mio pensiero totalmente negativo sugli insediamenti, possiamo arrivare a capire ancor meglio la pericolosità della situazione per la democrazia: l’estrema destra, soprattutto quella negli insediamenti dei territori occupati, vede nelle mie parole dette e scritte, un pericolo, e abbandonando le regole della democrazia, decide di reagire con la violenza, l’intimidazione o forse peggio, con l’eliminazione. La mia forza è nelle parole e queste parole - non dimentichiamolo - oggi sono in buona parte condivise dalla maggioranza degli israeliani». Nei giorni successivi all’attentato, Lei aveva rivolto un’accusa generale ai coloni e aveva parlato del pericolo che essi rappresentano per la democrazia israeliana. «Ho sempre parlato delle frange più estreme dei coloni. Facciamo un attimo chiarezza su questo punto, anche per farlo ben capire al pubblico che non conosce bene questa realtà. Oggi vivono nei Territori circa 250.000 ebrei. Di questi, circa 200.000 non sono lì per motivi ideologici ma per varie altre ragioni - migliore qualità della vita, abitazioni più economiche ecc.... Anche dei restanti 50.000, la maggioranza è gente con la quale divergo ideologicamente in modo profondo, ma con la quale possiamo intrattenere un dialogo civile. Il problema è che all’interno della seconda e terza generazione di nati nei Territori, si sono sviluppate quelle frange estremiste alle quali mi riferisco. Un pugno di persone che non riconosce nessun potere costituito, nemmeno quello della loro leadership interna - il Consiglio di Giudea e Samaria - visto come un manipolo di traditori che dialoga con "il nemico" (lo Stato ebraico). Questo pugno di persone calpesta la legge e fa uso di violenza tanto contro palestinesi quanto contro rappresentanti del potere costituito ebraico - soldati, poliziotti e funzionari - che spesso sono lì solo per proteggerli». E lo Stato fa abbastanza per affrontare questo pericolo? «Non è necessario che sia io a dare la risposta; basta leggere i rapporti dei magistrati dell’Avvocatura di Stato, in cui si dice espressamente che nei Territori le leggi non vengono applicate, o meglio, ci sono nei Territori due modelli legali paralleli - uno per i palestinesi e uno per i coloni. E da parte mia, continuerò a dire e a sostenere che nei Territori c’è una forma di regime coloniale che va abbattuto. L’inizio di questo è l’applicazione della legge anche ai coloni. L’indulgenza nei loro confronti ha portato ad una situazione degenerativa in cui ciò che mi è stato fatto si inserisce in modo del tutto ovvio e naturale. In fondo è solo stato "esportato" al di qua della Linea verde un metodo di comportamento che quando viene compiuto contro palestinesi nei Territori, viene tollerato, spesso neppure indagato e comunque non approfondito». Ma contro questi oltranzisti e contro il fenomeno delle «due leggi, una per i palestinesi e una per i coloni» si sono lanciati l’altro ieri anche Olmert, Tzipi Livni e Haim Ramon. Forse da un male potrà uscire un bene? «Non posso che sperarlo. Il problema che questa situazione è davanti ai nostri occhi da anni. Non si doveva certo aspettare un attentato a Zeev Sternhell per togliersi il paraocchi. E poi un governo, di qualsiasi colore sia, è lì per agire e non per parlare. La solidarietà e le parole di condanna e di buoni propositi sono una cosa; trasformare tutto questo in operativo è tutt’altra storia. Bisogna dare gli ordini in modo chiaro e categorico; bisogna appurarsi che tutta la catena sia pronta e capace ad applicarli, dal premier, agli ultimi dei poliziotti, dei soldati e dei giudici; bisogna confrontare l’opposizione politica di quelle forze che da sempre vogliono conferire ai coloni l’impunità di fronte ad atti illegali compiuti contro i palestinesi. Se veramente tutto questo avverrà, potrò dire che sarà valsa la pena di subire ciò che ho subito».
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