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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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La Stampa - Il Giornale - La Repubblica Rassegna Stampa
22.09.2008 Le dimissioni di Olmert, il tentativo di Tzipi Livni
rassegna di quotidiani

Testata:La Stampa - Il Giornale - La Repubblica
Autore: Francesca Paci - R.A. Segre - Alberto Stabile
Titolo: «Olmert si dimette da premier Parte la corsa di Tzipi Livni - Israele, Olmert si dimette ma non molla il timone - La sfida dei maschi alla donna di ferro - La cosa giusta è allearsi con il Likud»
Da pagina 12 de La STAMPA del 22 settembre 2008, la cronaca delle dimissioni di Olmert e della situazione politica interna in Israele, di Francesca Paci:

«Per me non è una decisione facile. E’ stata anzi una decisione molto difficile, accompagnata da gravi incertezze». A conclusione di una giornata apparentemente normale scadenzata da incontri, riunioni, la consueta seduta di governo, il premier israeliano Ehud Olmert consegna le sue dimissioni al presidente Shimon Peres e passa ufficialmente il testimone al ministro degli Esteri, neoleader del partito Kadima: «Auguro alla signora Tzipi Livni di riuscire a formare un nuovo governo nel minor tempo possibile». Dopo 33 mesi di reggenza segnati dalla seconda guerra del Libano, l’estrema scommessa di Annapolis, l’incriminazione per corruzione, l’erede non naturale di Ariel Sharon passa la mano. Ancora poche incombenze istituzionali, dice, poi tornerà alla vita «tranquilla» d’una volta: «La famiglia, lo sport, la spiaggia, le partite del Beitar Jerusalaim».
Da Beit Hanassi, la residenza gerosolimitana del presidente dello Stato ebraico, filtra la rassicurazione che il Paese attende da giorni: «Faremo presto». Shimon Peres, in partenza per New York, dove resterà una settimana per l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, fa sapere d’essere già al lavoro. Le consultazioni con i partiti, premessa necessaria per affidare a un politico l’incarico di formare il governo, sarebbero inziate già ieri sera. Olmert, pur dimissionario, resta in carica con pieno mandato fino al giuramento del nuovo esecutivo, magari anche qualche mese, e, in questa veste, si appresta a incontrare in settimana il presidente palestinese Abu Mazen.
«Se ci accorgeremo che non ci sono le condizioni per mettere insieme la coalizione chiederemo di tornare al voto», fa sapere il ministro degli Esteri, possibile futura premier israeliana. Lei però, è ottimista: «A chi vuole sapere come sta Kadima, se si è indebolito o rafforzato, rispondo che è solido e continuerà, compatto, a guidare il Paese».
Il ministro degli Esteri sa bene che le sfide dei prossimi mesi chiedono «un governo stabile». Meglio ancora se di unità nazionale, nonostante la reticenza del leader laburista Ehud Barak. C’è la minaccia nucleare della repubblica islamica iraniana, il riarmo di Hezbollah, il partito di Dio al confine con il Libano, il rebus siriano e l’ambiguo riposizionamento di Damasco, in equilibrio tra la conferenza di Parigi e Teheran. C’è la no man’s land di Gaza da cui, nonostante la relativa calma degli ultimi mesi, giunge il tic-tac sinistro di una bomba a orologeria. C’è, soprattutto, il processo di pace in corso con l’Autorità Palestinese, «mai così avanti come in questo momento», secondo quanto ha dichiarato ieri il portavoce di Olmert Mark Regev. I negoziati, sostiene Regev, sono a buon punto: «Esiste un accordo di massima sulla sicurezza, sui confini, perfino sui rifugiati i due partner si sono dimostrati flessibili e fantasiosi». Giovedì il capo dei negoziatori palestinesi Abu Ala ha salutato come un buon auspicio per la pace l’elezione della Livni, da mesi «disponibile» controparte al tavolo delle trattative.
Certo, resta irrisolto il nodo di Gerusalemme su cui gli ultraortodossi del partito Shas non appaiono disposti ad arretrare di un passo a costo di mettere a repentaglio la coalizione sognata dalla leader di Kadima. Ma il terreno, a detta dell’entourage del premier uscente, è pronto a chiudere l’accordo: «Quando la settimana scorsa Olmert ha detto basta ai pogrom dei coloni israliani a danno dei palestinesi di Cisgiordania non ha parlato a caso, pogrom da queste parti non è una parola neutra». L’eredità nelle mani del nuovo capo del governo è un libro bianco carico di premesse, una dote non necessariamente invidiabile.

Da pagina 14 del GIORNALEl'opinione di R.A. Segre

Alla riunione settimanale del governo israeliano, ieri mattina, il premier Ehud Olmert ha confermato ai suoi colleghi la sua decisione di dimettersi per dare al ministro degli esteri Zipi Livni, nuovo leader del partito di maggioranza relativa Kadima - a cui ha promesso il suo sostegno - la possibilità di formare un nuovo governo. In serata, entrando dalla porta di servizio in modo da «dribblare» i fotografi, si è poi recato dal Presidente Shimon Peres, nelle cui mani ha rassegnato le dimissioni che avranno effetto entro 48 ore. Peres, in partenza per l'assemblea generale dell’Onu, ha subito aperto le consultazioni: scontato l’affidamento dell’incarico alla Livni.
In qualunque paese democratico questo segnerebbe la fine della tumultuosa - personale, ideologica, e politica - carriera di un personaggio cresciuto nel mito del Grande Israele, diventato, a seguito della scomparsa dalla politica di Ariel Sharon, l'affossatore ufficiale di questo sogno nazionale ebraico e sostenitore della divisione della Terra di Israele in due Stati e della pace coi palestinesi. Ma Israele non è un paese come gli altri e Olmert tutt'altro che un «morto che cammina» per cui sembra ancora prematuro cercare di tirare le somme dei suoi tre anni di governo.
Nei 42 giorni che la Livni ha a disposizione per formare un nuovo governo egli resta in carica con pieni poteri. Se entro questo periodo il nuovo leader di Kadima non riuscirà a ottenere l'assenso del parlamento per la nuova coalizione, il Paese - come chiede il suo principale rivale Bibi Nethanyahu, leader del Likud, andrà per legge a elezioni anticipate. Le quali, però, non possono aver luogo prima di 90 giorni. In tal caso Olmert resterebbe al timone del paese per almeno altri quattro mesi. Un lungo periodo durante il quale tutto può succedere e di cui si servirà per cercare di uscire con qualche successo «storico» dalla guida del governo oltre alla possibilità di essere rieletto alla Knesset. Il suo obiettivo, confermato ieri ai suoi collaboratori, è quello di raggiungere un accordo quadro con i palestinesi. Un’intesa sui principi di una futura coesistenza, destinata peraltro a rimandare a un secondo tempo i dettagli, soprattutto quelli relativi alla spinosa questione di Gerusalemme. Questa settimana Olmert ha già in programma un incontro con Abu Mazen.
In altre parole sembra ancora presto per scrivere un «coccodrillo» politico su questo straordinario personaggio ambizioso, sfortunato, sinceramente impegnato nella difficile lotta per la pace che la guerra del Libano - in cui è stato trascinato dagli Hezbollah e dall'entusiasmo vendicativo dell'opinione pubblica israeliana - ha fatto il principale capro espiatorio di molti errori e colpe passate e recenti della corrotta dirigenza di Israele.

In prima pagina e a pagina 4 de La REPUBBLICA , sulla scorta di una rticolo del giornalista israeliano Nahum Barnea,  Alberto Stabile propne la sua interpretazione della situazione politica israeliana, e in particolare della mossa del leader laburista, e attuale ministro della Difesa, Ehud Barak, che ha proposto al leader del Likud Netanyahu un governo di unità nazionale.
Per Stabile, come per Barnea, l'ostilità a Tzipi Livni dei politici israeliani sarebbe dovuta al loro sessismo.
E' un peccato che nell'illustrare questa interpretazione, Stabile pecchi per eccesso, presentando Israele  come  più maschilista degli altri paesi, perché "per raggiungere determinate posizioni di comandonei settori strategigici è necessario appartenere alla rete dei cosiddetti old boys, quel network di amicizie indelebili che nasce nelle fila dell'esercito e poi cresce e si mantiene perennemente in vita".
Una spiegazione congetturale che, in assenza di una comparazione statistica che dimostri che in Israele le donne hanno più difficoltà che altrove ad accedere a ruoli di comando e di responsabilità, riguarda un fenomeno che pure è del tutto congetturale: lo speciale maschilismo israeliano. Non stupisce che, per dimostrarne l'esistenza, Stabile incorra in un errore fattuale scrivendo

non è un caso che in un esercito che vede da sempre ledonne in prima linea gli alti ufficiali-donne siano pochissime e nessuna fa parte dello Stato maggiore

Salvo eccezioni, le donne dell'esercito israeliane non vanno in prima linea.

Intervistato da Stabile, Mattan Vilnai, vice-ministro della Difesa e braccio destro di Barak, fornisce un'altra spiegazione della proposta di governo di unità nazionale. Secondo lui

Solo un governo di cui faccia parte anche il Likud è in grado di misurarsi con l'insieme di tutti i nostri problemi, per un periodo lungo, che vada oltre qualche mese

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