Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Attentato di Al Qaeda all'ambasciata americana in Yemen cronache e analisi
Testata:La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica Autore: Francesco Semprini - Guido Olimpio - Alix Van Buren Titolo: «Al Qaeda torna a colpire l’America - Terrore nello Yemen, sedici vittime all'ambasciata Usa - Bin Laden e la paure dell´intelligence "Può influenzare la campagna elettorale"»
Attentato qaedista all'ambasciata americana in Yemen. Di seguito, la cronaca di Francesco Semprini, da La STAMPA del 18 settembre 2008:
L’ambasciata americana in Yemen di nuovo nel mirino di Al Qaeda. Con un’operazione in stile militare, un commando di terroristi ha sferrato ieri mattina un massiccio attacco alla sede diplomatica statunitense a Sanaa causando la morte di almeno sedici persone, tra cui i sei terroristi. L’operazione ha «il marchio di Al Qaeda», dicono gli esperti americani secondo cui la rete che fa capo allo sceicco Osama bin Laden sta mettendo a punto una riorganizzazione strategica proprio nei territori dello Yemen. Gli attacchi sono scattati intorno alle 9,15 del mattino, quando una vettura con a bordo tre uomini si è avvicinata al primo posto di blocco, quello che consente l’accesso alla fascia più esterna del compound. I terroristi si sono fatti largo a colpi di mitra, granate e lanciarazzi, consentendo a una seconda vettura con a bordo un kamikaze di penetrare nella fascia più interna per farsi saltare in aria nei pressi di un altro check-point, quello più vicino agli edifici dell’ambasciata. La ricostruzione fornita in via ufficiosa da alcuni uomini della sicurezza non coincide però con quella riferita dal ministero degli Interni all’agenzia Saba. Secondo i funzionari del governo yemenita le autobomba sarebbero state due, mentre non ci sarebbe traccia del primo gruppo di fuoco. Una terza versione fornita da funzionari di Washington e della ambasciata parla invece di almeno cinque detonazioni alcune delle quali «minori». È certo che alcuni uomini del commando con indosso le divise dell’esercito yemenita stazionavano sulla strada antistante l’ingresso dell’ambasciata già prima dell’attacco, e una volta che le squadre di sicurezza sono accorse dopo l’esplosione le hanno neutralizzate sparando loro con fucili di grosso calibro. Un’operazione in grande stile, quindi, studiata nei particolari per creare più danni possibile: il bilancio delle vittime, il più pesante dei quattro attentati compiuti all’ambasciata Usa di Sanaa, è di sedici morti, tra cui i sei del commando, sei soldati yemeniti e quattro civili, tra cui una cittadina indiana. Tra i feriti, molti erano in fila al vicino sportello consolare, altri sono bambini che si trovavano nelle case circostanti alla sede diplomatica. Nel giro di poche ore arriva la rivendicazione «dell’operazione martire», da parte della Jihad islamica nello Yemen. Il gruppo, praticamente sconosciuto, ha minacciato di «proseguire la serie» di attentati contro le ambasciate attaccando quelle di Arabia Saudita, Gran Bretagna e Emirati Arabi Uniti a Sanaa, «se i nostri fratelli non saranno liberati» dalle prigioni. Sia alle autorità yemenite che gli esperti americani ritengono però che la matrice è riconducibile ad Al Qaeda sia per lo stile sia per le dimensioni. «L’attentato torna a ricordarci che siamo in guerra contro estremisti e terroristi che uccidono innocenti per raggiungere i loro obiettivi», dice il presidente americano George W. Bush. Al Qaeda è nel mezzo di una riorganizzazione strategica iniziata meno di due anni fa proprio sui territori dello Yemen, un Paese di 22 milioni di abitanti la gran parte dei quali poveri e su cui il messaggio di Osama bin Laden ha grande presa. In virtù di questo, spiega l’osservatorio politico Stratfor, la rete terroristica potrebbe contare su infiltrati negli ambienti di governo, oltre al fatto che lo stesso fondatore di Al Qaeda è nato in Yemen. La conferma è nella lunga serie di attentati a obiettivi occidentali, cinque dei quali avvenuti negli ultimi tredici mesi. Sebbene Bush consideri il collega Ali Abullah Saleh un alleato nella lotta al terrore, i rapporti tra i due Paesi traballano, specie per alcuni episodi, come la «facile» fuga di 23 militanti dalla prigione di massima sicurezza di Sanaa, il rifiuto dell’estradizione per Jaber Elbaneh, l’americano-yemenita condannato per aver organizzato attacchi a pozzi petroliferi, o la commutazione della pena di morte a 15 anni di prigione per Jamal al-Badawi, la mente dell’attacco al cacciatorpediniere Uss Cole, quello che nel 2000 inaugurò la stagione degli attentati anti-occidentali in Yemen.La roccaforte Le radici culturali e tribali di Al Qaeda sono qui. Il 12 ottobre 2000 l’attacco al cacciatorpediniere Cole segnò un salto di qualità. Le ultime vittime occidentali sono otto turisti spagnoli uccisi nel 2007 e due belgi il 18 gennaio scorso.La ritirata In Iraq, dopo il 2003, Al Qaeda ha prodotto il suo maggior sforzo bellico, con 10 mila uomini, al suo culmine, nel 2006. La strategia del generale Petraeus li ha messi all’angolo nell’ultimo anno. Oggi sono stimati in circa 2.000.Il ritorno I combattenti arabi in Afghanistan hanno rappresentato il nucleo fondante di Al Qaeda. Tra il 1996 e il 2001, sotto i taleban, erano più di 10 mila. Al lumicino nel 2003, ora ce ne sono 2-3 mila al confine con il Pakistan.
L' analisi di Guido Olimpio dal CORRIERE della SERA:
WASHINGTON — Un'operazione complessa, condotta secondo gli insegnamenti impartiti dai mujaheddin più esperti. Un'azione che sembra tratta dai manuali qaedisti così popolari su Internet. A lanciarla un commando di diversi militanti che ha preso d'assalto l'ambasciata americana a Sana'a, nello Yemen. Sedici le vittime, tra cui almeno sei terroristi. L'attacco, rivendicato dalla Jihad islamica, si è svolto in tre fasi. Due estremisti kamikaze hanno provato a violare i posti di blocco usando delle autobombe e poco dopo un altro team, sceso da una terza vettura, ha iniziato a sparare contro le sentinelle usando razzi e kalashnikov. Altri militanti avrebbero poi preso di mira soccorritori e rinforzi sparando con fucili da cecchino. Sotto il tiro sono caduti guardie e civili ma nessun cittadino americano in quanto i terroristi non sono riusciti a penetrare all'interno del complesso. Il nuovo attentato nello Yemen conferma che la rete estremista è più viva che mai, in grado non solo di assorbire i colpi delle autorità (pochi giorni fa sono stati neutralizzati alcuni ricercati importanti) ma di reagire con azioni complesse. Merito del lavoro clandestino condotto in passato da alcuni veterani del conflitto afghano. L'ex segretario di Bin Laden, Nasir Al Wahaishi, fuggito in modo rocambolesco da un carcere locale, ha riorganizzato le cellule estremiste. Altri rispondono agli ordini di Tareq Al Fadly, personaggio che era con Osama in Afghanistan, ed ha animato il gruppo Jihad. I militanti si sono mossi lungo tre direttrici prendendo di mira altrettanti obiettivi: 1) rappresentanze straniere (diverse ambasciate, compresa quella italiana); 2) impianti petroliferi; 3) turisti occidentali. Uno sforzo reso possibile dall'unione di nuovi elementi con mujaheddin temprati dai conflitti iracheno e afghano. I primi rappresentano la punta della lancia, i secondi fanno da ispiratori. Rispetto ad altri teatri, gli estremisti yemeniti possono contare su una inesauribile disponibilità di armi, dovute alla tradizione locale e ai traffici. Una abbondanza di bocche da fuoco che in passato li ha trasformati in rifornitori dei «fratelli» sauditi. Ma sul fenomeno integralista ha sicuramente inciso l'atteggiamento del governo. Come altri Stati della regione le autorità si nascondono nell'ambiguità. Da un lato professano impegno assoluto nella lotta al terrore: ed ecco gli arresti e qualche eliminazione mirata. Dall'altro mostrano un approccio morbido: ed ecco gli sconti di pena, i rilasci prematuri o, peggio, il lassismo nel sorvegliare i prigionieri. Il governo dunque cerca di tenere buona Washington ma senza recidere radici storiche e religiose. Una spazio che i terroristi cercano di sfruttare a loro vantaggio. Più volte — ed è avvenuto anche alla vigilia dell'attentato — i militanti hanno minacciato ritorsioni nel caso di una mancata liberazione dei loro compagni.
L'analisi di Alix Van Buren da La REPUBBLICA:
«Osama Bin Laden è troppo impegnato ad assicurare la propria sopravvivenza per poter progettare attentati su larga scala», promette il direttore della Cia, Tom Hayden, interrogato ieri dopo l´attentato suicida a Sanaa, capitale di un Paese, lo Yemen, annoverato fra i più stretti alleati degli Stati Uniti nella "guerra al terrorismo". E tuttavia «la sua cattura o uccisione avrebbero un effetto dirompente», chiosa Hayden, malgrado lo "sceicco nero" resista da sette anni a incursioni e a una taglia sul suo capo di 25 milioni di dollari. Che Bin Laden trascorra il tempo guardandosi le spalle è opinione diffusa fra gli esperti dell´Intelligence, i quali però sottolineano quanto egli abbia diversificato e ampliato la propria rete dando vita a una galassia del terrore più inafferrabile e dunque insidiosa: «un´idra dalle mille teste pronta a colpire obiettivi imprevedibili, su scala transnazionale», confermano i ricercatori del Control Risks Group londinese. Soprattutto, nelle impervie aree tribali del Pakistan, si è dotato di un apparato di propaganda «sempre più agile e attivo», avverte Bruce Riedel, ex analista della Cia, consigliere della Nato. Dagli "studios" ipertecnologici di as-Sahab (in arabo "le nuvole" per significare il rifugio nascosto in qualche eremo dell´Hindu Kush), sforna messaggi al-qaedisti al ritmo di oltre un centinaio l´anno (contro una decina appena nel 2004). E da lì, scommette Riedel, preparerebbe la "sorpresa di ottobre": un´azione spettacolare studiata per scombinare le elezioni presidenziali americane alla vigilia del voto. E´ già successo in Spagna nel 2004, ricorda l´analista, tre giorni prima dello scrutinio, deragliandone il risultato. Lo stesso anno la comparsa di Bin Laden in un video indirizzato agli elettori americani frenò le speranze del democratico John Kerry. Il che suggerisce a Riedel che «Al-Qaeda ha sviluppato uno schema di comportamento prevedibile, e ciò fornisce importanti indizi su ciò che dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi». Non è forse irrilevante che i mujaheddin della Jihad islamica, figlia di Ayman al-Zawahiri, il braccio destro dello sceicco, ieri abbiano colpito proprio nello Yemen, la terra ancestrale di Bin Laden, originario della tribù Kindah nella regione dell´Hadramaut. Lì il governo del presidente Saleh si esercita in un delicato equilibrio fra l´amicizia con Washington, la simpatia di cui gode al-Qaeda fra larghi strati della popolazione, e la passata prossimità coi suoi militanti nella guerra di riunificazione del Paese contro il regime comunista. Nelle previsioni di Michael Scheuer, ex capo del centro antiterrorista della Cia dedicato a Bin Laden, lo sceicco dispone di una rete libera di operare attraverso il territorio yemenita. Anzi, potrebbe eleggere quel Paese a rifugio «vista la topografia montagnosa delle sue remote regioni, simile all´Afghanistan». Le tribù dell´Hadramut gli offrirebbero santuario. E fresca manovalanza.
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