Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Ancora sulla memoria del fascismo due interviste e una cronaca
Testata:La Repubblica - L'Opinione - La Stampa Autore: Simonetta Fiori - Michael Sfaradi - Amedeo La Mattina Titolo: «Falsi miti e luoghi comuni - Solo un errore di percorso - Fini ai colonnelli “Basta col fascismo pensate a lavorare”»
La REPUBBLICA dell'11 settembre 2008 pubblica un'intervista di Simonetta Fiori allo storico Emilio Gentile sulla realtà storica del fascismo:
«È il nostro paese, la nostra cultura nazionale, a non aver mai fatto i conti fino in fondo con il totalitarismo fascista. Le recenti sortite del sindaco di Roma e del ministro della Difesa avvengono in un contesto politico e culturale che le legittima, in un terreno favorevole concimato in questi anni da formulazioni e stereotipi diffusi purtroppo anche in parte della storiografia e nel discorso pubblico». Quella di Emilio Gentile, storico del fascismo tra i più noti sul piano internazionale, è un´antica battaglia culturale. I suoi saggi - tradotti in molti paesi - insistono su questo fenomeno tutto italiano che è la "defascistizzazione del fascismo", lo svuotamento operato sul regime dei suoi tratti liberticidi originari, la negazione del carattere totalitario. «In un mio saggio recente, a proposito di questa inclinazione nazionale all´autoassoluzione, cito la provocazione d´un anonimo secondo cui il fascismo non è mai esistito. Da battuta è diventata profezia». In Germania è impensabile che il ministro della Difesa elogi il patriottismo delle SS o il suo collega francese pronunci accenti commossi per Vichy. Perché succede da noi? «In Italia è stato cancellato tutto quello che il fascismo ha rappresentato come distruzione della democrazia e umiliazione della collettività. La defascistizzazione del fascismo nasce da un totale travisamento di quello che il regime è stato. A quest´offuscamento non è estranea la cultura antifascista. Per molti anni è prevalsa a sinistra l´immagine d´un regime ventennale sciolto come un castello di carte, una "nullità storica" con cui in sede storiografica s´è cominciato a fare i conti troppo tardi. A destra gli umori hanno oscillato tra la caricatura e l´indulgenza, fino alla tesi del fascismo modernizzatore: un´interpretazione che dura tuttora». Per i suoi eredi politici il fascismo è una dittatura nata per caso. «I neofascisti hanno sempre negato il carattere intenzionale della dittatura, escludendone il tratto totalitario. È la tesi circolata nel Movimento Sociale fino agli anni Ottanta, uno schema interpretativo che si riflette sulle prime dichiarazioni di Gianni Alemanno a Gerusalemme: da una parte il fascismo, fenomeno complesso; dall´altra le leggi razziali, vergogna indotta da Hitler». Poi il sindaco di Roma ha affrettato una correzione, aggiungendo in modo contorto che non poteva disconoscere l´esito liberticida del fascismo. «Sì, ha parlato di fenomeno totalitario, categoria negata ancora da molti storici di destra, e non solo. Ma non capisco come possano stare insieme il riconoscimento della natura totalitaria del fascismo con la sua assoluzione fino alle leggi razziali. Gran confusione alberga nella destra postafscista italiana, con un equivoco di fondo». Quale? «Partiamo da una domanda essenziale: la dittatura è un fatto accidentale o appartiene all´essenza del fascismo e alla volontà di Mussolini? Le leggi razziali sono estranee a ciò che il fascismo era stato fino a quel momento? Se noi optiamo per una lettura accidentale, le leggi antisemite furono un incidente di percorso dovuto a influenze esterne. Con tutto quello che ne consegue: la buona fede, il patriottismo, i valori di chi servì il fascismo». È questa la lettura espressa da autorevoli dirigenti di Alleanza Nazionale oltre che importanti cariche istituzionali. «Ma è un metodo inaccettabile! Con questi stessi criteri si possono riscattare lo stalinismo e il nazismo. Fino al 1941, quando il Führer decise la soluzione finale, il nazismo fece tante cose buone: nessuno potrebbe negare storicamente che fu per patriottismo e non per odio agli ebrei che milioni di tedeschi videro in Hitler il salvatore. Sempre seguendo questo metodo, potremmo dire che De Gaulle e Petain avevano in contrasto solo la linea del fronte: per il resto erano due patrioti francesi...». Il patriottismo diviene una categoria molto arbitraria. Il ministro La Russa ha reso omaggio al valore dei "patrioti di Salò". «Quale patria? Una delle caratteristiche del fascismo fin dalle origini fu quella di negare l´esistenza di una patria di tutti gli italiani: esisteva soltanto la patria di coloro che aderirono al fascismo. Anche soggettivamente il patriottismo fascista fu liberticida. È Mussolini che il 4 ottobre del 1922, prima della Marcia su Roma, dichiarò che lo Stato fascista avrebbe diviso gli italiani in tre categorie: gli indifferenti, i simpatizzanti e i nemici. Questi ultimi, annunciò, andavano eliminati. Se si parte da queste premesse, non c´è più una patria degli italiani: c´è solo la patria dei fascisti. Per i seguaci del duce, Amendola e Sturzo non sono italiani. È questa stessa logica che nel 1938 conduce Mussolini ad affermare che gli ebrei sono estranei alla razza italiana e per questo vanno discriminati». Un altro stereotipo invalso in articoli, libri, interviste su Salò è quello della buona fede dei ragazzi che vi aderirono. «Per capire storicamente si deve considerare anche la buona fede. Ho scritto anch´io sul patriottismo nella Rsi. Ma la buona fede non può essere un criterio di valutazione storica! Se avessero vinto Mussolini e il Führer, che ne sarebbe stato di questi patrioti idealisti o non fascisti? Che fine avrebbero fatto in un nuovo ordine dominato da Hitler, ancor più totalitario, razzista e nutrito d´odio feroce? Anche i responsabili dei campi di concentramento nazisti come Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz, professarono d´essere bravi padri di famiglia e sinceri amanti della patria. Forse lo pensavano anche i guardiani dei gulag». Perché secondo lei la destra postfascista ha difficoltà a riconoscere una realtà storica così evidente? La condanna di An finora s´è limitata alla vergogna delle leggi razziali: mai una parola sui delitti precedenti, da Amendola a Matteotti, Gobetti e i fratelli Rosselli, Gramsci che muore per la galera. Senza contare le vittime della violenza squadrista, tra il 1920 e il 1922, circa tremila morti. E i ventottomila anni di carcere comminati complessivamente dal Tribunale Speciale agli antifascisti, con una trentina di condanne a morte. E gli eccidi commessi in Africa, più tardi centinaia di migliaia di italiani mandati a morire nella guerra voluta da Mussolini. Su tutto questo un prolungato silenzio. «Una realtà storica che non si presta a equivoci. Sono persuaso che queste dichiarazioni estemporanee, confuse e contraddittorie, di due importanti esponenti di Alleanza Nazionale siano anche il frutto di scarsa conoscenza delle vicende del fascismo, di quel che ha detto e fatto Mussolini contro la democrazia. Nel neofascismo è sempre prevalsa una visione mitico-nostalgica, che evidentemente sopravvive ancora a dispetto della conoscenza storica». Su questa visione irrazionale s´innesta la nuova vulgata suggerita anche da tanta parte della pubblicistica che si professa liberale. È innegabile che in questi anni abbia operato nella stampa quotidiana, in tv e in libri di successo un filone neorevisionistico teso a screditare l´antifascismo e a defascistizzare il fascismo. «Se un autorevole storico come Piero Melograni dichiara al Corriere della Sera che il fascismo non è esistito ma è esistito il mussolinismo, posso contestarlo sul piano storiografico, senza però attribuirgli intenti ideologici. Certo, togliendo al fascismo i suoi attributi originari per i quali fu definito totalitario, si finisce per annacquarlo, facendone un fenomeno riducibile alla responsabilità di un solo individuo. E senza fare i conti con la vera natura del regime - nella complessità della sua origine, del suo svolgimento e della sua fine - sarà difficile affrontare con consapevolezza critica il problema dell´eredità fascista nelle istituzioni, nella politica, nella società e nei costumi degli ultimi sessant´anni. Ma una cosa più di tutto m´indigna». Che cosa, professore? «Che il nome di Renzo De Felice venga spesso citato per giustificare la riduzione del male del fascismo alle leggi antisemite e ridimensionare il problema della Rsi al patriottismo in buona fede». Accanto al De Felice storico c´è un De Felice più incline all´uso pubblico della storia, cui si richiamano alcuni dei suoi eredi. «A me interessa il grande studioso di storia. Sulle leggi razziali De Felice scrive che la responsabilità maggiore fu di Mussolini, della sua "incosciente megalomania" di trasformare gli italiani "in nome di principi e ideali che erano negazione di ogni principio e ogni ideale". Più chiaro di così. E ancora: "La tragica conclusione del fascismo è nelle sue stesse premesse e nella sua logica, nella sua sostanza antidemocratica e liberticida, nella sua mancanza di rispetto per i valori più elementari della personalità umana". Anche su Salò si espresse in modo inequivocabile, attribuendo alla Rsi l´origine della guerra civile. Non sono opinioni assolutorie». Professore, non le sembra segno d´un grave ritardo culturale che ora ci troviamo a ripetere sul fascismo considerazioni che dovremmo considerare l´abc d´una coscienza democratica? «Dopo le grandi passioni ideologiche d´una volta, su una spinta cinica e irrazionale il nostro paese ha forse rinunciato sia all´ideologia che alla conoscenza storica. Appare come svuotato, isterilito sul piano etico e nella coscienza civica. Sull´apologia del fascismo prevale l´apatia, l´insensibilità ai problemi della libertà. Gli italiani sembrano indifferenti alla storia, dunque più esposti alle semplificazioni. Mi chiedo cosa accadrà fra tre anni, quando ricorderemo la nascita dello Stato italiano. Forse riconosceremo che, soggettivamente, avevano ragione Metternich e Francesco Giuseppe nel voler mantenere l´Italia divisa e sottomessa? E invece Mazzini, Cavour, Garibaldi, Vittorio Emanuele II oggettivamente sbagliarono a renderla unita e indipendente?».
Da L'OPINIONE, un'intervista di Michael Sfaradi a Raffaele Pace, Presidente di Kadima Italia che ribadisce"Non ci può essere un fascismo buono che ha provocato leggi razziali orrende", senza però chiusure: "ritengo" dichiara "che in quest’ultima vicenda Alemanno sia scivolato sulla classica buccia di banana".
Dopo le dichiarazioni del Sindaco di Roma Alemanno sul fascismo che non sarebbe male assoluto, a differenza delle leggi razziali, e dopo le polemiche e le spiegazioni che ne sono seguite, ho il piacere d’incontrare Raffaele Pace, il Presidente di Kadima Italia, un’associazione culturale che si occupa di sviluppare ed incrementare i rapporti di amicizia fra Italia ed Israele, al quale chiedo:
Rileggendole con calma e con il senno di poi, cosa pensa lei personalmente delle dichiarazioni del Sindaco Alemanno? Credo che il Sindaco, in quei giorni a Gerusalemme, abbia voluto proprio in quel luogo spiegare il concetto di vicinanza al popolo ebraico rafforzando l’idea che le leggi razziali furono il male assoluto ma dimenticando, invece, che quelle leggi furono il frutto di un regime autoritario e totalitario come il fascismo. Specialmente nell’animo degli ebrei italiani, cosi duramente colpiti da quel periodo storico, è difficile separare la causa dall’effetto provocato da un ventennio che ha diviso ed insanguinato il nostro Paese. Chi ha avuto parenti ed amici deportati ed uccisi, anche con la complicità dei fascisti, non può e non deve dimenticare quanto accaduto. Non ci può essere un fascismo buono che ha provocato leggi razziali orrende. C’è un periodo storico che per gli ebrei, ma aggiungerei per tutto il popolo italiano, ha rappresentato una delle pagine più buie della storia.
Si è trattato di un errore di percorso oppure c’è ancora nell’aria nostalgia del passato? Spero e mi auguro di no. Il Sindaco Alemanno ha dimostrato, in questi pochi mesi alla guida di Roma, di avere a cuore le vicende ebraiche. Non possiamo dimenticare che è stato il primo Sindaco ad issare sul Campidoglio la bandiera di Israele durante il sessantesimo anniversario dell’indipendenza ed è stato presente in tutte le iniziative. Non voglio certamente fare il difensore d’ufficio del Sindaco, ma ritengo che in quest’ultima vicenda Alemanno sia scivolato sulla classica buccia di banana, su una risposta mal ponderata, che ha poi avuto conseguenze nell’opinione pubblica.
Lei è a contatto con la Comunità Ebraica Romana. La reazione è stata quella delle dichiarazioni ufficiali che sono seguite a caldo e descritta dai media, oppure la gente ha reagito con più pragmatismo? Credo che la popolazione ebraica abbia reagito con pragmatismo. C’è una diffusa disillusione nei confronti della politica in generale, non solo da parte ebraica e, questo tipo di vicende, di certo non aiutano a generare fiducia in un mondo che viene visto come sempre più distante. Non c’è uniformità di pensiero nella Comunità Ebraica ma, anzi, grande pluralità. Certo che su valori comuni quali l’antifascismo e ciò che esso ha rappresentato nessuno è disposto a fare sconti, e secondo me giustamente.
Da quando è stato eletto, già diverse volte il sindaco Alemanno ha dovuto spiegare le sue dichiarazioni. Secondo lei è lecito il dubbio che paghi il suo passato nell’M.S.I. e che qualche volta le levate di scudi contro di lui siano state pretestuose? Non c’è dubbio che il suo passato ma anche il suo presente politico rappresenti per la parte avversa una fonte inesauribile di appigli per creare polemiche ad arte. Questo, però, ritengo non debba essere argomento di interesse per gli ebrei, se non come semplici cittadini romani. La politica è una cosa, l’ebraismo è un’altra. I valori ebraici non si barattano con il politico di turno al potere ma sono gli elementi essenziali che hanno fatto della Comunità Ebraica di Roma la più antica dell’Occidente.
Il fascismo è un argomento del quale vale la pena discutere dopo quasi 60 anni? Certamente si per gli ebrei ma dovrebbe esserlo anche per tutto il popolo italiano. Il fascismo, così come altre pagine buie della storia italiana, necessita di una riflessione ampia e condivisa da tutti, al di là delle ideologie politiche. Non è la stessa cosa per chi, in quel periodo, ha scelto di stare da una parte o dall’altra. La resistenza e Salò non possono e non debbono essere messe sullo stesso piano. Se avesse vinto la RSI per gli ebrei italiani la storia sarebbe finita lì, visto che i repubblichini erano di fatto alleati con i nazisti. Ecco perché per gli ebrei il fascismo rimane un nervo perennemente scoperto e nessuno di noi può stare inerme alla finestra quando sente messa in pericolo la memoria collettiva di quegli anni. La speranza è che sul fascismo, come detto giustamente dal Presidente Napolitano, si apra finalmente un’ampia e condivisa discussione da parte di tutto il popolo italiano. Da La STAMPA, una cronaca sulla presa di posizione di Fini (interna ad Alleanza Nazionale) sulla vicenda:
La sostanza della reprimenda è stata: occupatevi delle cose per le quali siete stati eletti e nominati. E se avete qualcosa da recriminare nei miei confronti, ditemelo in faccia, qui, ora. Quando Gianfranco Fini vuole essere spietato non alza mai la voce, ma le sue parole rivolte ieri a Ignazio La Russa, Gianni Alemanno e Maurizio Gasparri erano quelle di un capo furibondo. «Basta ad usare la storia come arma impropria della politica». Non ce l’aveva solo con le dichiarazioni del sindaco di Roma e del ministro della Difesa sul fascismo e i «patrioti» della Repubblica di Salò, che hanno scatenato polemiche e il risentimento degli «amici» della comunità ebraica. Il presidente della Camera non ha gradito nemmeno il protagonismo del capogruppo al Senato Gasparri che questa estate lo ha contraddetto duramente sul boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino e il diritto di voto agli immigrati, ha esaltato la leadership di Berlusconi mettendo in ombra Fini, ha cannoneggiato la Commissione Attali di Roma perché è stato chiamato a presiederla Giuliano Amato. Ieri nello studio della terza carica dello Stato, su quest’ultima questione Alemanno avrebbe avuto qualcosa da dire a Gasparri. Ma non era aria di mettersi a litigare tra colonnelli. Perché a parlare è stato soprattutto Fini che non ha voluto sentire ragioni, spiegazioni, giustificazioni. Perché certe cose non si vanno a dire al museo dell’Olocausto dello Yad Vashem o davanti al capo dello Stato mentre si ricorda la Resistenza a Porta San Paolo. «Siete della cariche istituzionali. Sei il primo sindaco di Roma della destra, destra europea - ha detto ad Alemanno - e tu sei il ministro della Difesa della Repubblica italiana», ha aggiunto rivolto a La Russa. «Gli italiani non vogliono sentir parlare di fascismo buono e cattivo, ma delle cose che sapete fare. I giornalisti sono lì con il fucile puntato ad ogni nostro passo falso: non abboccate ai tranelli». In mattinata Fini aveva incontrato Alessandro Ruben, l’esponente di spicco della comunità ebraica eletto alla Camera nelle liste del Pdl in quota An. In serata una stretta di mano con Riccardo Pacifici, presidente degli ebrei romani durante la fiaccolata per i cristiani uccisi in India. «Ci siamo già sentiti lunedì - ha spiegato Pacifici - con Fini non c’è alcun problema, i rapporti sono ottimi. So che oggi ha incontrato La Russa e Alemanno... Avrà espresso la nostra amarezza». Il presidente della Camera ha sempre un occhio di particolare riguardo per gli umori e le reazioni che vengono da questi ambienti. Ha costruito buona parte della sua immagine politica nazionale e internazionale picconando il passato missino e relegando il fascismo agli archivi storici e al «male assoluto» (riferito soprattutto alle leggi razziali). E a pochi giorni dalla Costituente del Pdl che dovrà traghettare An nel Ppe, la rivalutazione del Ventennio è proprio un fuori programma. Alemanno ha lasciato Montecitorio senza fermarsi con i giornalisti: «E’ meglio che sto alla larga da voi». Poi a Torino, lette le parole di Napolitano sulla non «identificazione» di alcuni nella Costituzione, ha fatto una sorta di abiura: «Come sindaco e prima ancora come ministro ho giurato sulla Costituzione e da uomo di destra intendo rimanere fedele al mio giuramento. I giornali non sono i veicoli migliori per fare riflessioni che hanno portata storica. In futuro - ha precisato il sindaco di Roma - cercherò di trovare strumenti più adeguati per far capire le mie idee che non vogliono essere certo un ritorno al passato». La Russa si è limitato a dire: «Ho grande stima per il capo dello Stato».
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