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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
08.09.2008 Alemanno e il fascismo, Monsignor Fisichella e Pio XII
due polemiche storiche: cronache e commenti

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Giovanna Cavalli - Francesco Di Frischia - Ernesto Menicucci - Maria Grazia Bruzzone - Francesca Paci - Elena Loewenthal
Titolo: «Alemanno e la frase sul fascismo La comunità ebraica: chiarisca - Croppi: interpretazioni forzate Gianni ha parlato come Fini - Fisichella, polemica su Pio XII - Bufera su Alemanno Assolve il fascismo - In Israele infamano la memoria di Pio XII - Quelle l»
Dal CORRIERE della SERA e da La STAMPA del 9 settembre 2008 riportiamo più sotto cronache e analisi sul caso Alemanno (il sindaco di Roma ha distinto tra fascismo e leggi razziali, sostenendo che solo queste ultime e non il primo possono essere ritenute "male assoluto") e sul caso Fisichella (il rettore dell'Università Lateranense, guida di un pellegrinaggio di parlamentari italiani in Israele, ha polemizzato con la presentazione della figura storica di Pio XII da parte di una guida di Yad Vashem).

Per la posizione di INFORMAZIONE CORRETTA sulle due vicende, si veda l'articolo di Angelo Pezzana a questo link

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=25784

Di seguito, da pagina 12 del CORRIERE  "Alemanno e la frase sul fascismo La comunità ebraica: chiarisca", di Giovanna Cavalli:

ROMA — Questa, di là non gliela passano. Le valutazioni con distinguo di Gianni Alemanno su fascismo («Un fenomeno complesso, molti vi aderirono in buona fede») e leggi razziali («Quelle sì che furono il male assoluto, un cedimento al nazismo») sollevano prevedibilmente l'indignazione del centrosinistra.
Walter Veltroni praticamente lo invita a un ripasso: «Vorrei ricordare a chi la storia non la conosce perché l'ha letta sulla base di una considerazione parziale, che prima delle leggi razziali il fascismo aveva cancellato la libertà dei cittadini che non la pensavano allo stesso modo, al Parlamento c'era un solo partito, erano stati cancellati i sindacati, sono stati uccisi Antonio Gramsci e Giacomo Matteotti». Che «non è possibile scindere le due cose», glielo ripete Emanuele Fiano, deputato Pd ed esponente della comunità ebraica: «Nessuno insegue Alemanno per dargli colpe che non sono sue. Lui non c'era ma la Storia va raccontata come è successa: quel male assoluto faceva parte del fascismo».
Ma il primo cittadino di Roma non ci sta: «C'è una strumentalizzazione pazzesca da parte della sinistra. Qualsiasi parola si dice viene usata per fini politici. Si sono volute interpretare le mie parole come se condannassi il fascismo solo per le leggi razziali, non è così ».
Ma per Alemanno ce n'è ancora. «Le vittorie elettorali non autorizzano a riscrivere la Storia », gli manda a dire Giuseppe Fioroni, ex ministro e deputato Pd. «Difficile poter definire se non un male assoluto un'esperienza politica che per 20 anni ha soppresso le libertà». Un discorso, quello del sindaco romano in trasferta in Israele, che per Roberto Morassut, altro deputato Pd, segna «un clamoroso passo indietro per la destra ital iana» e una macchia «per Roma, città medaglia d'oro al valore civile per la Resistenza.
Le persecuzioni contro gli ebrei non furono un incidente di percorso, Alemanno chieda scusa ai romani e agli italiani per le sue improvvide affermazioni ». Per il sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio, la differenziazione «le leggi razziali furono proprio il frutto infame e prevedibile del regime».
Più contenute, almeno in parte («Molto più di quelle di Veltroni», annota lo stesso sindaco) le considerazioni della comunità ebraica. «Le leggi razziali furono emanate dal regime fascista e convalidate dalla monarchia, quindi mi sembra difficile separare le due cose», sottolinea seccamente il presidente dell'Unione delle Comunità italiane (Ucei) Renzo Gattegna. «Quando si trattano argomenti così importanti è necessario essere molto cauti». E Piero Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz: «Se non ci fosse stato il fascismo non ci sarebbero state le leggi razziali». Propende per un possibile fraintendimento Riccardo Pacifici, presidente della comunità romana: «Ho motivo di credere, anche alla luce dei molti incontri privati di questi mesi, che il pensiero espresso dal nostro sindaco volesse arrivare a conclusioni diverse». E nel dubbio invita Alemanno «ad un chiarimento » già oggi, durante le celebrazioni per l'8 settembre.
Se la prendono con la lettura faziosa dell'opposizione molti esponenti del Pdl. Chiede di smetterla con «speculazioni politiche meschine e inutili» il senatore Andrea Augello. Francesco Giro consiglia «ai soliti chierici di sinistra di studiare le carte prima di proferire giudizi ». Per il vicesindaco Mario Cutrufo «la sinistra sta ferma a 70 anni fa». L'assessore all'Educazione Marco Marsilio dice di «condividere pienamente le dichiarazioni del sindaco» come Gaetano Quagliarello, senatore Pdl e Marco Pomarici, presidente del Consiglio comunale capitolino: «Nel fascismo ci sono stati anche diversi elementi positivi, e dunque le affermazioni di Gianni Alemanno sono frutto di una riflessione oggettiva e condivisa da da molti storici ».

Di Francesco Di Frischia: "Croppi: interpretazioni forzate Gianni ha parlato come Fini"

ROMA — «Alemanno ha solo ribadito quello che aveva detto Fini e cioè la condanna assoluta delle leggi razziali come uno dei peggiori crimini contro l'umanità». Umberto Croppi, intellettuale fuori dagli schemi ed assessore alla Cultura del Comune di Roma, commenta così le parole del sindaco sul Ventennio pronunciate durante la visita in Israele.
Alemanno, secondo lei, non ha modificato la sua posizione rispetto a quello che disse Fini nel 2003?
«Assolutamente no. Anzi: Alemanno ha ribadito che le leggi razziali hanno coinciso con la fine del fascismo. Il resto mi sembrano interpretazioni assolutamente forzate».
Ma lei condanna il fascismo anche prima delle leggi razziali o no?
«Non entro in questa esegesi. Il mio giudizio sul fascismo è articolato e non può essere liquidato in una battuta. Sono disponibile a parlarne, ma non in due minuti».
Dunque non c'è nessun atteggiamento revisionistico nelle parole del sindaco?
«Alemanno ha già dato dimostrazione, anche nei pochi mesi vissuti da sindaco, del suo atteggiamento nei confronti della storia politica italiana. Sono i fatti e e le azioni che testimoniano, meglio di qualsiasi dichiarazione, il pensiero chiaro e netto di una persona su certe vicende ».
Di quali fatti e quali azioni parliamo?

Dalla prima pagina e da pagina 13, di Ernesto Menicucci , "Fisichella, polemica su Pio XII":

GERUSALEMME — A Yad Vashem, dove l'orrore del nazismo diventa visibile e si trasforma in persone, volti, nomi, filmati, tutto nasce da una foto di Pio XII, l'unica immagine di un Pontefice dentro il museo dell'Olocausto.
Sotto c'è una didascalia, da sempre contestata dal Vaticano, che cita i «silenzi di Pio XII, la mancanza di una condanna all'uccisione degli ebrei, la non reazione con proteste scritte o verbali, il non intervento della Chiesa quando a Roma ci furono le deportazioni ad Auschwitz». Frase che la guida, illustrando il museo ai politici, ha sottolineato, citando anche il caso dei criminali nazisti che il Vaticano avrebbe aiutato a fuggire.
Dal gruppo degli italiani, a quel punto, si è sentita una voce: «Perché non dite anche che il Vaticano ha aiutato molti ebrei a salvarsi? ». E anche a monsignor Fisichella, arcivescovo di Roma, cappellano di Montecitorio, che ha organizzato il viaggio in Terrasanta dei parlamentari, quel passaggio della guida proprio non è andato giù: «A Yad Vashem c'è una lettura politica della figura di Pio XII, e non storiografica. Ma se la questione è politica, venga trattata come tale, senza pressioni».
L'esponente del Vaticano insiste: «I fatti storici sono più complicati di quello che sembra, e non possono essere liquidati in due parole. Mi meraviglia che la guida abbia detto quelle cose: gli atti di Pio XII sono tutti pubblici, ci sono state commissioni di storici, ebrei e non, che li hanno valutati. Che la Chiesa sia stata contro gli ebrei è un luogo comune». Fisichella si accalora: «L'Associazione Pave di New York, fatta da ebrei, ha tirato fuori molte testimonianze di persone di religione ebraica che durante la deportazione del ghetto sono state aiutate a fuggire da Roma, e quindi a salvarsi, proprio da Pio XII».
Sembra deluso, il monsignore: «Che vengano tirati in ballo, tutte le volte, i silenzi di Pio XII mi sembra triste, soprattutto in un periodo nel quale invece si dovrebbe aspirare ad essere solidali ed amici. Non possiamo stare sempre a giustificarci ». E l'accusa, che si muove sempre al Vaticano, di aver fatto fuggire dei criminali nazisti? «È una generalizzazione fuorviante. Poi che vuol dire il Vaticano? La Chiesa, come tutte le istituzioni, è fatta di persone fisiche».
Ma a Yad Vashem diventa anche inevitabile parlare del fascismo e delle leggi razziali del '38 volute da Mussolini. Inevitabile sia perché i politici accendono la fiaccola della memoria, con la kippah in testa, sia perché da Roma rimbalzano le reazioni all'intervista al Corriere del sindaco Gianni Alemanno, nella quale il primo cittadino ha definito «le leggi razziali il male assoluto, non il fascismo che fu un fenomeno più complesso ».
Il commento di Monsignor Fisichella all'uscita dal Museo dell'Olocausto è secco: «Le leggi razziali il male assoluto e il fascismo no? E allora c'è da chiedersi: ma chi le ha fatte le leggi razziali in Italia?». Quindi, monsignore, leggi razziali e fascismo sono la stessa cosa? Fisichella sorride: «Non voglio entrare nella polemica sulle frasi di Alemanno, ma mi sembra che il mio pensiero sia molto chiaro... In tutte le cose c'è una causa ed un effetto. E le leggi razziali, in Italia e in Germania, sono direttamente riconducibili al fascismo e al nazismo. Non credo che i due aspetti possano essere separati».
«Tra i primi atti del suo mandato ha visitato il museo storico della Liberazione di via Tasso (usato dai nazisti come carcere tra il 1943 e il '44
ndr) e ha partecipato alle celebrazioni del 25 aprile. Così ha cancellato ogni tipo di dubbio ».
Fini, però, definì il fascismo «epoca del male assoluto » e bocciò come «infami» le leggi razziali. Per Alemanno sono solo le leggi razziali «il male assoluto»...
«Dire che il fascismo trova la sua fine con le leggi razziali dice tutto. Il resto non conta perché altrimenti di finisce solo per alimentare un retropensiero che io francamente in questo caso non vedo. Smettiamola di fare l'analisi logica agli accenti e alle virgole. Ma che doveva dire di più Alemanno?».
Lei, quindi, condivide le parole del sindaco?
«Certamente. E le polemiche che si sono scatenate mi sembrano solo alimentate da chi vuole offuscare agli occhi dell'opinione pubblica il disastro lasciato dal centrosinistra in Campidoglio e la crisi del Pd».

Da pagina 11 della STAMPA  "Bufera su Alemanno "Assolve il fascismo " ", di Maria Grazia Bruzzone:

C inque anni fa, quando Gianfranco Fini da Israele pronunciò la durissima e integrale condanna del ventennio fascista («epoca del male assoluto») che ripulì definitivamente An da ogni incrostazione culturale missina, Gianni Alemanno, allora esponente della Destra sociale, pur apprezzando la mossa politica di Fini, considerò quel giudizio troppo «sbrigativo». Oggi, da sindaco di Roma in visita al museo della Shoah di Gerusalemme con una delegazione di politici, conferma. «Male assoluto furono le leggi razziali mentre il fascismo fu un fenomeno più complesso», spiega. E si attira un nugolo di critiche da parte di esponenti del Pd ma anche dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, con code polemiche.
La definizione data allora da Fini gli era sembrata «eccessiva e ingenerosa nei confronti di tanti che avevano aderito a quella esperienza in buona fede», racconta oggi. E sostiene che «male assoluto furono le leggi razziali volute dal fascismo, che ne determinarono la fine politica e culturale», in quanto «furono un cedimento al nazismo e al razzismo biologico che non era nelle corde iniziali del fascismo».
Una interpretazione della storia che lascia per lo meno molti dubbi nella comunità ebraica. «Le leggi razziali sono state emanate dal regime fascista, convalidate dalla monarchia, mi sembra difficile separare le due cose», sottolinea il presidente dell’Ucei Renzo Gattegna. «Le leggi razziali hanno privato l’Italia di tutta la cultura portata dal mondo ebraico, come la prestigiosa scuola di fisica e i numerosi docenti costretti ad andarsene», aggiunge Alain Elkann, consigliere del ministro Sandro Bondi, con Gattegna a Milano dove si celebrava la Giornata europea della cultura ebraica. Mentre il presidente della Comunità romana, Riccardo Pacifici, vuol credere che Alemanno sia stato male interpretato: «Ci attendiamo un chiarimento già domani (oggi, ndr) alla celebrazione dell’8 settembre».
A sinistra dubbi non ne hanno affatto. «Alemanno sbaglia, le leggi razziali furono il frutto infame e prevedibile del fascismo, la conseguenza diretta di un clima ideologico alimentato sistematicamente per anni e di una caccia alle streghe, una caccia al diverso che fu del fascismo, che fu il fascismo», osserva il sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio, inaugurando una sinagoga alla presenza di Romano Prodi e di Ricky Levi. In parallelo, ma curiosamente senza incrociarsi, alla festa del Pd della stessa cittadina emiliana, Walter Veltroni adopera espressioni simili e ricorda «a chi la storia non la conosce perché l’ha letta sulla base di una considerazione parziale, che prima delle leggi razziali il fascismo aveva cancellato la libertà dei cittadini che non la pensavano allo stesso modo, in parlamento c’era un solo partito, erano stati cancellati i sindacati e uccisi Antonio Gramsci e Giacomo Matteotti». Prima di lui, alla festa Pd di Firenze, Beppe Fioroni si era detto preoccupato soprattutto dall’impressione che «le vittorie elettorali possano consentire di riscrivere la storia. E con un governo che vuol riscrivere anche i libri di testo, questo getta una luce sinistra». La polemica si allarga a livello locale. Il presidente della regione Lazio, Marrazzo, ricorda che «Roma è la città di Porta S. Paolo ed è medaglia d’oro della Resistenza». L’ex assessore capitolino Morassut, oggi deputato Pd, parla di un «clamoroso passo indietro per la destra italiana» e sottolinea come il sindaco «in questi mesi non abbia mai voluto condannare con chiarezza la matrice di destra di tanti atti di violenza commessi da militanti neofascisti contro giovani romani».
In difesa di Alemanno accorrono esponenti di primo piano di Fi. Per il vicepresidente dei senatori del Pdl Gaetano Quagliariello «nessuno storico rifiuterebbe di sottoscrivere la sostanza delle dichiarazioni di Alemanno» e «in presenza di un rinascente antisemitismo la sinistra farebbe bene a fare i conti con chi alimenta campagne contro la condanna del negazionismo dell’Olocausto». Fabrizio Cicchitto invita «a non criminalizzare Alemanno». Il capogruppo alla Camera del Pdl interviene nel merito della discussione «a metà storiografica e a metà politica», sostenendo che «il fascismo ha fatto un salto di qualità nella sua negatività quando ha varato le leggi razziali e quindi si è inserito in quel “male assoluto” dal quale fino ad allora era rimasto estraneo».

Di Francesca Paci " " In Israele infamano la memoria di Pio XII" ":

Certe persone farebbero bene a documentarsi prima di parlare di questioni complicate come l'opera di Pio XII». Monsignor Rino Fisichella esce sulla terrazza che si apre alla fine dello Yad Vashem, il museo dell'Olocausto, e respira piano. E' lui, ricorda, ad aver portato qui, nel memorial della Shoah, 65 parlamentari e amministratori italiani, con rispettivo seguito, unica deviazione al pellegrinaggio in Terra Santa. «E' una tappa dovuta all'interno di un viaggio spirituale» continua il rettore della Pontificia Università Lateranense. Un pacchetto completo. Il commento della guida a Pio XII però, no, non l'ha digerito. Monsignor Fisichella non c'era quando Angela Polacco, interprete ufficiale delle delegazioni italiane, si è fermata nella stanza chiamata «dell'indifferenza» e, spiegando il silenzio omertoso intorno allo sterminio di sei milioni di ebrei, ha definito Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli «un Papa controverso», di cui si sa per certo che «fece scappare molti nazisti». Il vescovo non c'era, ma gliel'hanno raccontato: «E' ora di smetterla con questa storia, consultino gli archivi. Ci sono nuovi studi, come quello della commissione americana Pave, che dimostrano quanti ebrei abbia salvato il Pontefice. Altro che chiudere gli occhi. In fondo lo sanno anche loro, tanto che sono stati costretti a togliere la lunga descrizione che avevano appeso contro il Sommo Padre».
Peccato che la lunga descrizione si trovi al suo posto, accanto alla grande foto color seppia di Papa Pacelli. «La targa "a matter of controversy" non è stata mai spostata», conferma la portavoce dello Yad Vashem Esti Yaari. Neppure quando, lo scorso anno, il nunzio apostolico minacciò di disertare il Giorno della Memoria se non fosse stata rimossa. E' rimasta sempre lì, immutata, in quella stanza «dell'indifferenza» dove ieri mattina un pellegrino italiano del gruppo di monsignor Fisichella ha ripreso la guida: «Quando ci parla di quanti ebrei ha salvato la Chiesa cattolica?». Sarà soddisfatto pochi passi più avanti, nel padiglione dedicato ai «giusti»: troppo pochi e troppo tardi per arginare la polemica.
«C'è stata un po' di maretta» ammette il presidente del Senato Renato Schifani. Una vecchia questione: «Qualcuno non ha gradito la postilla su Pio XII e i nazisti ma si è rasserenato subito di fronte alla documentazione sui preti che hanno salvato gli ebrei». Schifani ha appena consegnato la sua riflessione al registro degli ospiti, dopo le firme dei sindaci di Roma Gianni Alemanno e di Palermo Camarrata: «Non dimenticare la Shoah è un imperativo categorico». Nessuno spazio dunque per il contenzioso storico. Quel che conta per Schifani è il carattere spirituale, apolitico e bipartisan del tour che ha messo insieme il Guardasigilli Angelino Alfano, il vicepresidente della Camera Lupi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi, l'ex ministro della Salute Livia Turco e la teodem Paola Binetti. Destra e sinistra senza paura di contraddizioni.
Eppure, monsignor Fisichella mastica amaro. Il dialogo tra Israele e il Vaticano appare complicato quasi quanto quello con i palestinesi. «I cattolici non hanno la minima volontà di comprensione» osserva Sergio Minerbi, ex diplomatico, studioso di rapporti tra la Santa Sede e lo Stato ebraico all'università di Gerusalemme. «Fingono d'ignorare che Pio XII coprì la fuga di nazisti in Argentina e poi vengono qui al memoriale dell'Olocausto, l'unico luogo dove gli ebrei vanno bene a tutti perché sono morti». Fu Giovanni Paolo II a sdoganare lo Yad Vashem, ricorda Angela Polacco: «Prima di lui i pellegrini in visita in Terra Santa non si fermavano mai al museo della Shoah». Ieri sì, una sosta di un'ora e mezza, avevano portato anche due guide arabe-cristiane che però sono rimaste fuori.

Da pagina 31, di Elena Loewenthal, "Quelle leggi razziali italiane":

Le vie delle parole sono, talvolta, imperscrutabili. Nel linguaggio della politica, che si fa alla giornata su improvvisazione dettata dalle circostanze e ciononostante lascia il segno, l’aggettivo irrituale ha ormai un che di scostante. Designa qualcosa di quasi inammissibile, secondo le regole del gioco. Le parole pronunciate qualche giorno fa dal presidente Napolitano dando il via al Quirinale alle celebrazioni per il Giorno della memoria, riportano invece alla valenza positiva di questo termine. Nel contesto di una ricorrenza che è ormai il (troppo) capiente contenitore di cerimonie monotone e parole che a forza di ripeterle suonano a vuoto, il suo breve discorso è stato decisamente irrituale. Ma nel senso migliore e soprattutto più profondo che l’aggettivo porta con sé: quello di uscire dagli schemi del rito per entrare nel contesto del significato, rammentando all’Italia le sue leggi razziali. La memoria non è di per sé terapeutica. Come diceva Primo Levi, il fatto che sia accaduto non azzera, anzi moltiplica le probabilità che accada di nuovo. La memoria non è uno scudo inossidabile, di fronte al male. È una necessità, forse un tributo a chi non c’è più. Ma di per sé non serve affatto, se non a risvegliare sentimenti inesprimibili. La percezione della storia attraverso la memoria è invece istruttiva: guardare al passato per capire che cosa e come siamo. Da dove veniamo, insomma. E il presidente Napolitano ci ha ricordato che l’Italia di oggi viene anche dall’infamia delle leggi razziali.
Gli italiani amano denigrarsi, sparlano del proprio Paese e delle sue disfunzioni con un narcisistico compiacimento. Guai però a toccarne gli aspetti più profondi, il «carattere nazionale», dentro il quale vige tenace l’immagine degli italiani «brava gente». Quasi incapaci di far male a una mosca, e quando capita è per cause di forza maggiore. Eppure, a dispetto di questo inossidabile stereotipo, settant’anni fa esatti questo Paese è stato capace di sfoderare una legislazione razziale che non fu seconda a nessuno. Nemmeno alla Germania nazista, se restiamo sul piano dei documenti giuridici con cui la storia si racconta. «Leggi che suscitarono orrore negli italiani rimasti consapevoli della tradizione umanista e universalista della nostra civiltà», ha ricordato il presidente Napolitano parlando delle leggi razziali del 1938 come mortali apripista della Shoah. È tutto terribilmente vero. Il censimento degli ebrei italiani che nell’agosto di quell’anno fu l’astuta premessa per una applicazione «a tappeto» delle leggi razziali emanate nell’autunno successivo, costituì dopo l’8 settembre 1943 un comodo strumento per i tedeschi a caccia di stücke («pezzi» come loro chiamavano i deportati) per i vagoni merci, i campi di sterminio, i forni crematori.
Le leggi razziali, in cui «Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e per volontà della nazione re d’Italia - imperatore d’Etiopia» decreta e firma i provvedimenti insieme con Mussolini, sono un vero monumento all’infamia. Stabiliscono una serie di restrizioni che vanno dal divieto di contrarre matrimonio misto a quello di firmare manuali scolastici, proibiscono agli ebrei italiani di avere dipendenti, di essere dipendenti di enti statali, banche, assicurazioni, di prestare servizio militare, possedere terreni e aziende. Pretendono, con brutale ottusità, di definire l’appartenenza ebraica in termini di sangue (art. 8, comma a: «È di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se appartenga a religione diversa da quella ebraica») con paradossale precisione (comma c: «È considerato di razza ebraica colui che è nato da madre di razza ebraica qualora sia ignoto il padre»).
Queste leggi, tanto spietate quanto assurde, non furono un meteorite precipitato sul ridente pianeta Italia da una remota e maligna regione siderale. Furono il prodotto di forze congiunte: il regime fascista, la consenziente monarchia (i cui degni eredi, forse perché non hanno più nessun regio decreto da firmare, si son dati allo sport, con risultati davvero eccellenti nel lancio di boutades) e il popolo italiano. Stretto nelle maglie di questa orribile storia, che tuttavia è proprio la sua.
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