Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Quattro articoli sull'Iraq gli incontri di Al Maliki con Berlusconi e Ratzinger, un nuovo attentato, il bando dai giochi olimpici
Testata:Corriere della Sera - Il Foglio Autore: Maurizio Caprara - la redazione Titolo: «Berlusconi rilancia: «Più carabinieri in Iraq» - Gli iracheni banditi dai Giochi - Donna kamikaze contro le milizie filo-Usa»
Dal CORRIERE della SERA del 25 luglio 2008, un articolo sull'incontro Berlusconi- al Maliki:
ROMA — Silvio Berlusconi ha promesso al primo ministro iracheno, lo sciita Nuri Kàmil al Maliki, che l'Italia invierà altri militari a infoltire il gruppo di quelli attualmente impegnati ad addestrare le forze di sicurezza dello Stato sottratto cinque anni fa al dominio di Saddam Hussein. «Al Maliki ci ha chiesto di incrementare il numero dei carabinieri presenti come istruttori in Iraq e noi abbiamo aderito alla richiesta. In questo senso ha dato garanzie il ministro della Difesa Ignazio La Russa», ha dichiarato il presidente del Consiglio ieri sera al fianco del premier venuto da Bagdad, passando per la Germania, e ricevuto a Palazzo Chigi mentre lì vicino Marco Pannella e una quarantina di radicali manifestavano per risparmiare la condanna a morte all'ex vicepremier Tarek Aziz. In pubblico, al Maliki ha indirizzato all'Italia parole di gratitudine «per l'opera di addestramento», ha ringraziato il Cavaliere per la consegna di 13 reperti archeologici provenienti da scavi clandestini del suo Paese e recuperati nel nostro Paese tra il 2003 e il 2005 dai carabinieri, ha invitato Berlusconi a Bagdad e quest'ultimo si è impegnato ad andarci. I fotografi hanno potuto scattare la stretta di mano di rito, ma ai giornalisti non è stato consentito porre domande. L'orientamento di massima a mandare più carabinieri nella «Training mission» affidata alla Nato può comportare qualche problema nella sua definizione in dettaglio. Per una questione di soldi. Gli istruttori italiani in Iraq sono adesso 70. Circa il doppio di quanti ne volle lasciare nel 2006 il governo di Romano Prodi, per non peggiorare i rapporti con l'Amministrazione di George W. Bush, mentre ritirava il contingente schierato nella provincia di Dhi Qar dal precedente governo Berlusconi. Il numero, negli anni seguenti, è aumentato. La Russa, in un'intervista pubblicata ieri dal Tempo, ha fatto capire che se i tagli alla spesa pubblica colpiranno il ministero della Difesa nella misura prevista finora, reagirà proponendo di rinunciare ad alcune delle operazioni oltrefrontiera. «Sul bilancio Difesa pesava un surplus di spese per le missioni all'estero finanziate con apposito decreto, ma che presentano sempre costi aggiuntivi. Ecco, fermo restando la necessità di risparmiare, con i tagli non potrò coprire il disavanzo e allora porterò la questione in sede politica, cioè riduciamo le missioni se non riusciamo a trovare copertura », ha affermato La Russa. E' chiaro che l'Iraq, nel quale gli Stati Uniti hanno 140 mila militari, ha per Berlusconi un alto valore simbolico. Ma la decisione può risultare comunque laboriosa. Secondo il decreto di finanziamento delle missioni all'estero del 31 gennaio scorso, per il 2008 sono 8 milioni e 157 mila gli euro stanziati «per la proroga della partecipazione di personale militare impiegato in Iraq in attività di consulenza, formazione e addestramento di forze armate e polizia ». Per i fondi della Nato volti a rafforzare «la gestione autonoma della sicurezza in Iraq» e attività simili in Afghanistan e Asia centrale, si autorizzava la spesa di un milione e 640 mila euro. «Siamo il secondo Paese importatore di greggio iracheno e contiamo diventare, perché no, il primo», ha detto ieri Berlusconi. A La Russa, in un incontro a porte chiuse, il collega ministro della Difesa Abdul Kader Mohammed Jassim al Mufrji aveva spiegato che, su 18 zone dell'Iraq, in 15 la sicurezza sarebbe a un livello del 95%. Al Maliki ha invitato le imprese italiane a «cogliere le opportunità offerte del Paese». «Saranno molte le aziende e gli imprenditori italiani che vorranno essere della partita», ha sostenuto Berlusconi aggiungendo che «la violenza è dieci volte inferiore agli anni precedenti». Ma la strada da fare non manca. Su www.viaggiaresicuri. it, il nostro ministero degli Esteri avvisa: «In considerazione del perdurare di una situazione di sicurezza ad elevatissimo rischio, si sconsigliano viaggi a qualsiasi titolo in Iraq, evitando anche quelli ritenuti assolutamente necessari per motivi di lavoro, se non previamente concordati con l'ambasciata a Bagdad...».
Un articolo sull'esclusione degli iracheni dai giochi olimpici:
BAGDAD — L'Iraq non potrà parteciperà ai prossimi Giochi di Pechino. Lo ha deciso il Comitato internazionale per le Olimpiadi ( sopra, il simbolo). L'esclusione è dovuta al fatto che a maggio il governo iracheno sciolse la giunta del Comitato olimpico e la sostituì con una commissione provvisoria presieduta dal ministro dello Sport. La creazione della commissione, tuttavia, è stata ritenuta «una chiara rottura» dell'autonomia del Comitato olimpico nazionale. L'Iraq aveva previsto di inviare a Pechino un gruppo di atleti nonostante le violenze nella regione ne abbiano uccisi più di 100 dall'attacco Usa nel 2003.
E uno su un attentato terroristico:
BAQUBA (Iraq) — Otto persone sono state uccise e altre venti sono rimaste ferite ieri sera nella provincia irachena di Diyala (Nord-Est del Paese) per l'attacco di una donna kamikaze. La terrorista si è fatta esplodere al passaggio di una pattuglia di comitati di Al-Sahwa nel centro della capitale Baquba. Lo hanno reso noto fonti mediche e di polizia. La pattuglia era composta da ex insorti sunniti riconvertiti alla lotta ad Al Qaeda e pagati dall'esercito americano. Nell'attentato, sono rimaste ferite anche donne e bambini.
Dal FOGLIO, un articolo sull'incontro che Al Maliki avrà con Ratzinger:
Roma. Quale sorte attende i cristiani iracheni? E’ riassunto in questa domanda il tema della visita di Al Maliki in Vaticano: udienza con Benedetto XVI e incontro con il cardinale Bertone. Il miglioramento delle condizioni di sicurezza nel paese è certo un segnale positivo che il capo del governo di Baghdad può offrire ai suoi interlocutori, ma non sufficiente per rassicurare la Santa Sede sul futuro dei cristiani d’Iraq. Anche perché oggi, a ricoprire l’incarico di sostituto della segreteria di stato vaticana c’è l’arcivescovo Fernando Filoni, che dal 2001 al 2006 è stato nunzio in Iraq e ha vissuto guerra e dopo guerra a Baghdad. Divisi in chiese diverse per rito e tradizione, di cui la principale è quella caldea, oggi i cristiani iracheni sono circa 600 mila, la metà di quelli presenti nel paese solo cinque anni fa. L’ultima guerra del Golfo ha trasformato in un esodo di massa quella che fino ad allora – a sfatare il mito della laicità del regime baahatista – era stata comunque una lenta ma continua fuga verso la vicina Giordania, ma anche Svezia, Francia, Germania o Stati Uniti. Con la caduta di Saddam Hussein all’elenco dei principali paesi dove trovare asilo si è aggiunta anche la Siria – si calcola che il 50 per cento dei rifugiati iracheni accolti da Damasco sia cristiano – e chi non ha voluto o potuto abbandonare il paese ha cercato rifugio a nord, nel Kurdistan iracheno. L’antica Ninive soprattutto è stata teatro delle maggiori violenze verso i cristiani culminate con il rapimento e la morte dell’arcivescovo caldeo, monsignor Faraj Rahho, sequestrato il 29 febbraio fuori dalla chiesa del Santo Spirito di Mosul e ritrovato morto dopo 14 giorni. Il gesto eclatante, attribuito dal governo a militanti di al Qaida, aveva suscitato l’ennesimo e accorato appello del Papa e aveva portato il cardinale Bertone a parlare di “soglia della disperazione”. Ora le migliori condizioni di sicurezza per la Santa Sede non sono la garanzia perché le comunità caldee, assire, armene, cattoliche e ortodosse possano tornare a vivere in pace in Iraq. Anzi, è ancora fin troppo concreto il rischio che il cristianesimo possa sparire da una delle prime regioni dove arrivò pochi anni dopo la morte di Cristo. A margine della conferenza di Stoccolma di fine maggio, l’International Compact with Iraq, il procuratore caldeo presso la Santa Sede e visitatore apostolico in Europa, padre Philip Najim, aveva incontrato proprio Al Maliki con un gruppo di iracheni scappati in Svezia per chiedere chiarimenti sulle intenzioni del governo di Baghdad verso i rifugiati. Nelle loro città e villaggi d’origine li aspetterebbe forse maggiore sicurezza, ma poco altro. E’ infatti ancora decisivo per il clima del paese quello che i cristiani iracheni chiamano “il dramma della dhimmitudine”: una sottomissione sociale e civile, ancor prima che religiosa, alla cultura islamica che permea la vita quotidiana oggi come sotto Saddam. Nemmeno la Costituzione è riuscita a macherare questo dato di fatto: la carta del 2005 da un lato afferma l’Islam come fonte principale di diritto, dall’altro assicura libertà e protezione alle minoranze religiose. Il paradosso dà l’idea della spada di Damocle che grava sul futuro di una realtà complessa e in parte caotica come quella dei cristiani iracheni. Sono un’esigua e provata minoranza, considerata a torto come un blocco unitario – i musulmani usano il nome di Cristo, Massih, per indicare indistintamente tutti i credenti cristiani – condivide la stessa fede, ma secondo riti e tradizioni diverse; nell’ambito della vita civile non è capace di esprimere una posizione politica unitaria e può vantare solo due deputati cristiani nell’attuale Parlamento. Nonostante esempi di convivenza con la popolazione musulmana in vari villaggi, nell’Iraq odierno non poter vantare referenti politici, men che meno milizie o capi tribù, ha un peso decisivo. La definitiva scomparsa dei cristiani dall’Iraq può essere scongiurata solo se il governo sarà capace di tutelarne la presenza e garantirne la libertà. Senza però creare enclave o raccogliere, come è stato paventato, tutte le comunità nel nord curdo: su questo la Santa Sede ha già reso noto da tempo il suo giudizio.