Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Le non-notizia estive puntuali come sempre le banconote di Saddam e l'interrogatorio di un "nemico combattente"
Testata:La Stampa - l'Unità Autore: Massimo Numa - Maurizio Molinari - Roberto Rezzo Titolo: «Croce Rossa e mafia per i soldi di Saddam - Guantanamo videochoc Detenuto Kahdr guardaci in faccia - Guantanamo, in un video gli orrori di Bush»
Da La STAMPA del 16 luglio 2008, un articolo di Massimo Numa sui dinari del regime di Saddam Hussein:
Nell’intrigo internazionale legato all’ultimo tesoro di Saddam - centinaia di milioni di dinari stampati in Svizzera, prima dell’invasione Usa nel marzo 2003 - c’è di tutto: Croce Rossa, spie, persino riciclatori delle cosche calabresi. Il denaro doveva tornare a tutti i costi in Iraq per essere convertito nella nuova valuta emessa dal neo-governo. Speculazione da capogiro: in gioco una posta da milioni. In euro. E un problema: trasportare le banconote dall’Austria e dalla Svizzera in Iraq. Meta finale, i forzieri della nuova Banca Nazionale, che operava sotto il protettorato delle autorità Usa. Come? Utilizzando i voli della Croce Rossa, diretti a Baghdad, e i convogli umanitari, con la difesa di contractors locali. Operazione pirata, da brivido. Gli inquirenti della Dda di Torino, Sandro Ausiello e Claudia Gabetta che hanno chiuso le indagini sulla tranche italiana, non sanno se, alla fine, i milioni di «tagli» iracheni siano stati poi trasferiti o no in Iraq. Resta, tuttora, una pesante incertezza. Gli investigatori del Gico (Gruppo investigativo criminalità organizzata) della Finanza avevano intercettato i mediatori italiani, che trattavano un rivolo importante di questo colossale business, attentamente monitorato dai Servizi. Era stato persino individuato l’«Uomo d’oro», un alto ufficiale della Croce Rossa, di Zurigo. Nome in codice «Emanuele». Era lui a disporre del denaro, custodito da anni nelle Security Bank svizzere e austriache. Se è certo che furono i banchieri di Saddam ad affittare i caveau della Matt Security Aeg, della Amerey ZWG e della Zuercher Freilager, in attesa di trasferire in patria il denaro, è molto meno chiaro «come» siano uscite le banconote proprio dai quei forzieri, dopo il crollo del regime (aprile 2003), tra l’altro anche sotto il diretto controllo delle autorità monetarie elvetiche. Un autentico mistero, che getta un’ombra lunga sulle complicità, a livelli impensabili, di cui hanno potuto disporre i trafficanti. Gente accorta. Nei dialoghi intercettati dai Gico (sotto controllo c’erano una trentina di persone) si parlava di «bottiglie», invece che di denaro e, quando si passava ai particolari dell’operazione «White Horse», il progetto di trasloco del denaro tra Zurigo-Baghdad, utilizzavano solo speciali telefoni criptati. Gli 007 italiani sono riusciti a individuarne il modello, prodotto da una società israeliana, e venduto dalla filiale milanese: Snap Cell. Basta inserire un chip mentre gli apparecchi stanno comunicando tra loro per rendere impossibili, o comunque più difficili, le intercettazioni. E poi Skype, via Internet, che, tra il 2005 e il 2006 era ancora una novità e relativamente sicura. Le vecchie banconote da convertire avrebbero dovute venire caricate «su piattaforme di legno» (pallet), chiuse in grandi container, poi imbarcati sugli aerei della Croce Rossa (ovviamente o in teoria, del tutto all’oscuro del traffico), dentro false confezioni di medicinali o di altro materiale umanitario. Solo così, con la complicità dei contractors che in Iraq proteggono le banche e il trasporto-valori, l’operazione avrebbe potuto concludersi con i ricavi milionari in euro. Perché una banconota da 25 Swiss dinar (valore 2 euro al cambio 2006) veniva convertita con una nuova da 150, in corso legale. Gli inquirenti svizzeri hanno collaborato con i colleghi italiani, ma non è affatto sicuro che siano stati individuati i responsabili del traffico, che ha goduto di evidenti protezioni, anche di altri Paesi, tutti interessati a riciclare i milioni di Saddam nel massimo riserbo. Sandro Ausiello e Claudia Gabetta, i pm della Dda di Torino, hanno accertato che i mediatori svizzeri avevano avuto contatti anche con elementi della Croce Rossa italiana, (forse) al corrente del progetto. Lo stretto confine tra fiction e realtà cadde di schianto a fine 2006: oltre alle intercettazioni, spuntarono le banconote vere: 30 mila esemplari sequestrati a Napoli. Agli altri mediatori, un circuito illegale che trattava anche valute di altri Paesi, venivano mostrati solo esemplari-campione. Ognuno di loro avrebbe acquistato una parte del tesoro e il dividendo sarebbe arrivato alla fine dell’operazione «White Horse». Indagine-matrioska. Tra gli indagati spunta un noto imprenditore calabrese, molto interessato agli Swiss-dinar. Il sospetto, poi confermato, è che l’acquisto di valuta fosse un modo per riciclare i proventi illegali delle cosche dell’ndrangheta. Riciclavano denaro croato e iracheno. Un’efficiente lavatrice made in Zuerich. Tra gli italiani in stretto contatto con «Emanuele», un ex dirigente della Banca Credem di Parma e altri soggetti, tutti broker clandestini, non iscritti nell’albo professionale. In mano, avevano certificati svizzeri a garanzia della provenienza legale. Tutto falso.
Molti giornali pubblicano articoli su quello che appare come un'interrogatorio a Guantanamo di un nemico combattente non dissimile da quelli che le agenzie investigative conducono normalmente, presentato dalla difesa del terrorista come un caso di tortura. Da La STAMPA, un articolo equilibrato:
«Guardami in faccia, non nasconderti fra le mani». Sono tre militari americani a rivolgere le domande all’arabo-canadese Omar Kahdr nel primo video di un interrogatorio tenutosi a Guantanamo divenuto pubblico. Le immagini risalgono al 2003, Kahdr aveva 16 anni e l’interrogatorio doveva servire a chiarire perché l’anno prima aveva lanciato una granata contro un gruppo di soldati americani in Afghanistan - uccidendone uno - in un’azione attribuita ai taleban. Il video dura pochi minuti, non mostra atti di violenza o pressione psicologica nei confronti del detenuto, ma svela la disperazione del prigioniero, che ad un certo punto solleva la maglietta color arancio per far vedere le ferite riportate in Afghanistan sulla schiena e lo stomaco. «Non sono un dottore ma mi pare che stai ricevendo buone cure mediche», replica uno dei militari. Khadr obietta: «No, non è vero, voi non siete qui, ho perso i miei occhi e i miei piedi, tutto!». «No tu hai ancora i tuoi occhi - risponde il militare - e i tuoi piedi sono ancora in fondo alle gambe, sappiamo che tutto questo ti causa stress ma guardami in faccia». Il detenuto non riesce mai ad alzare gli occhi, tiene il viso fra le mani e ripete: «A voi di me non importa nulla». Il video termina quando i tre militari, fra cui una donna, lasciano la stanza. Ma secondo uno degli avvocati del detenuto, Dennis Edney, in un altro documento top secret Khadr accusa l’esercito americano di averlo torturato nella base di Bagram. Khadr è l’unico occidentale ancora a Guantanamo, accusato di terrorismo, e divulgando le immagini i suoi legali sperano di spingere il governo canadese ad ottenerne il rimpatrio.
Su L'UNITA', in un articolo dedicato alla stessa vicenda, Guantanamo viene addirittura definito "famigerato lager"
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