Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Fiera del libro di Torino: come distinguere l'antisemiìtismo dalle critiche l'analisi di Emanuele Ottolenghi
Testata: Autore: Emanuele Ottolenghi Titolo: «I pregiudizi dietro le critiche a Israele»
L a polemica scatenata dai contestatori della Fiera del Libro ha risollevato ancora una volta la questione antisemitismo e in particolare se le critiche rivolte allo stato d'Israele possono essere considerate tali. L'antisemitismo è una cosa, le critiche a Israele un'altra, secondo i promotori della protesta. Tra i sostenitori di tale posizione, ci sono Gianni Vattimo - che secondo un articolo apparso mercoledì sulla Stampa di Torino avrebbe detto di cominciare a trovare credibile il falso libello antisemita dei Protocolli - e Tariq Ramadan, che qualche anno fa aveva accusato sei filosofi francesi di tribalismo per il loro sostegno a Israele. Antisemitismo, antisionismo e critiche a Israele. Dove si può tracciare una linea di demarcazione che chiarisca la distinzione e la differenza tra questi concetti? Ricorrere al termine antisemitismo di fronte alle critiche che politici, intellettuali e giornalisti muovono a Israele deve essere fatto con circospezione. L'uso eccessivo dell'accusa, anche quando non c'entra, finisce col dar credito alla tesi di Vattimo e Ramadan secondo cui essa viene usata a mo' di ricatto morale, per mettere a tacere chiunque critichi Israele, anche quando la critica ci sta. Quello che conta invece è sottolineare che mentre è pienamente legittimo non essere d'accordo con Israele su specifici temi, le critiche non possono ricorrere allo stereotipo, al linguaggio e ai meccanismi dell'antisemitismo - postulare per esempio la veridicità dei Protocolli, per esempio per spiegare una situazione politica avversa, è un classico esempio di come la legittima opposizione a scelte politiche del governo d'Israele sconfini nel pregiudizio aperto contro gli ebrei. Quando insomma la critica a Israele assume la forma del pregiudizio, come nel caso in cui si critica Israele ricorrendo all'accusa del sangue o al deicidio, l'accusa di antisemitismo ci sta tutta, quand'anche la politica israeliana oggetto di critiche meritasse d'essere biasimata. Ci vogliono allora dei criteri precisi per distinguere tra legittime critiche e illegittima strumentalizzazione. Mi permetto di segnalarne tre al lettore, da tempo proposti dall'ex ministro israeliano ed ex prigioniero di Sion, Natan Sharansky. Per Sharansky, si tratta di antisemitismo in tre casi: delegittimazione d'Israele, demonizzazione d'Israele e l'uso di due pesi e due misure. Si tratta di antisemitismo se la critica non mira a indurre Israele a un comportamento diverso, ma è tesa a dimostrare che Israele non merita d'esistere, quale che ne siano le azioni. Le politiche criticate, in questo contesto sono ritenute un sintomo dell'essenza malvagia attribuita a Israele. Anche se Israele cambiasse direzione, per chi delegittima invece che criticare, tale cambio di rotta sarebbe letto come una cinica manovra. Esempi? Il boicottaggio accademico degli universitari israeliani, a meno che non condannino pubblicamente il sionismo. Si tratta ugualmente d'antisemitismo se si demonizza Israele attraverso paragoni eccessivi o attraverso accuse false. Il paragone tra Israele e i nazisti è falso e tende a esagerare le azioni d'Israele contro i palestinesi. L'accusa mossa a Israele di attuare un «genocidio» in Palestina ricade ugualmente in questa categoria, data l'enorme differenza tra il conflitto in corso tra Israele e palestinesi e la sistematica eliminazione di un popolo che è il genocidio. E le calunnie fatte a Israele in questi anni, d'essere responsabile per l'11 settembre, di avvelenare le falde acquifere palestinesi, di aver utilizzato armi arricchite d'uranio, sono tutte menzogne, facilmente verificabili, che ciononostante sono state diffuse, e da alcuni sono state credute, per il solo scopo di demonizzare Israele giustificando gli appelli per la sua distruzione. La demonizzazione insomma è antisemitismo perché, oltre che fondarsi su distorsioni, esagerazioni e falsità, diventa di fatto un mandato linguistico per distruggere Israele e finisce con l'estenderlo anche agli ebrei - almeno coloro tra gli ebrei che si rifiutano di condannare pubblicamente Israele. Si tratta infine di antisemitismo quando si applica un principio rigoroso a Israele ma non lo si applica ad altri, compresi sé stessi. L'esempio classico d'antisemitismo è l'ossessionante e ricorrente condanna d'Israele per violazione di diritti umani in istituzioni come l'Onu, quando affiancata dalla mancanza più totale di ogni condanna, anche blanda, di ben peggiori violazioni che avvengono giornalmente nei paesi arabi. Un altro esempio è l'attivismo sfrenato per l'autodeterminazione dei palestinesi in nome di un ideale universale di giustizia e libertà, accompagnato dal silenzio complice di fronte al diniego del medesimo diritto ai curdi da parte di turchi e arabi o ai tibetani da parte dei cinesi. Un terzo esempio è l'accusa mossa di genocidio a Israele - nonostante la sua ovvia falsità - accompagnata dal silenzio sul genocidio in corso in Darfur, Sudan, a opera di milizie arabe con il sostegno di un governo arabo e la complicità della Lega Araba, contro popolazioni nere musulmane. Due pesi due misure insomma. Torniamo dunque alla polemica della Fiera di Torino per concludere. I contestatori hanno promosso non solo una critica alle politiche del governo israeliano - ma un attacco all'essenza stessa dello Stato d'Israele, al suo diritto d'esistere e al suo diritto di difendersi non solo da attacchi alla sua sicurezza fisica ma anche da calunnie che lo accusano di atrocità e crimini non commessi. E ogni tentativo di ribattere critiche e calunnie viene descritto a tinte fosche, come se fosse un complotto. Le calunnie e le accuse false e infondate mirano a demonizzare e a delegittimizzare Israele - e a mettere a tacere chiunque provi a difenderlo. Chi infatti oserebbe prender le difese di un paese macchiatosi di tali nefandezze se le accuse sono vere? Infine, la demonizzazione messa in atto a Torino segue un procedimento tipico della retorica antisraeliana - la demonizzazione, l'attacco all'essenza stessa d'Israele e al suo diritto ad esistere riflettono un metro di giudizio diverso da parte dei contestatori rispetto a Israele. Nessuno si sognerebbe infatti di contestare una scelta della Fiera di avere paesi come l'Egitto e persino la Palestina - che paese ancora non è - a causa delle loro gravissime violazioni dei diritti umani o della totale mancanza di democrazia nelle loro società. Solo Israele ottiene il discutibile privilegio di vedere le sue bandiere bruciate e i suoi autori boicottati. Va da sé che la critica a specifiche politiche israeliane non si meriti l'accusa d'antisemitismo. Ma dovrebbe essere ugualmente ovvio che la tentazione di scivolare nello stereotipo antisemita esiste e che più d'una volta, chi si erge a difensore dei palestinesi e a detrattore d'Israele, in realtà ricorre al conflitto arabo israeliano per mascherare un pregiudizio. Non contro una politica di un governo. Né tantomeno con un paese intero. Ma con un popolo.
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