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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Rassegna Stampa
08.05.2008 Israele, una vita sotto assedio
un' edizione dedicata allo Stato ebraico

Testata:
Autore: Peppino Caldarola - Gideon Meir - Anna Barducci Majar
Titolo: «Tel Aviv, dove un bambino può sentirsi a casa - Siamo un paese straordinariamente normale - Tareq Ramadan non parla per noi arabi demo-liberali»
Il RIFORMISTA dell'8 maggio 2008 esce avvolto in una bandiera israeliana.
All'interno, molti articoli dedicati a Israele

Un editoriale di Peppino Caldarola:


Sono stato in Israele diverse volte. Negli ultimi due viaggi ho portato Andrea, mio figlio, l'ultimo, sei anni. «Vado con papà nel paese dove è nato Dio», ha annunciato alle maestre. Sulla strada che da Tel Aviv porta a Gerusalemme l'ho visto incantato davanti alle colline pietrose e agli alberi di ulivo: «È come la Puglia», mi ha detto, felice. Andrea ha viaggiato molto, per la sua età, ma in Israele si è sentito a casa sua più che in altri posti.
Nell'albergo di Gerusalemme ha scelto subito l'ascensore dello shabbat, quello che si ferma ad ogni piano così che non devi spingere il pulsante per rispettare la regola del riposo, e lì ci ha passato una mezz'ora. Girovagando assieme a noi nei negozietti della Città Santa si è infilato in uno di questi e ne è uscito con in testa una piccola kippah nera che aveva al centro uno scudetto giallo-rosso della Roma: «Papà, non ho trovato quella del Milan». Allo Yad Vashem, dove i bimbi non possono entrare, ha giocato per due ore davanti all'ingresso del mausoleo con i soldati-ragazzini che ridevano come pazzi quando lo sentivano gridare, accompagnando l'urlo con gesti di karaté mimati, l'inno di Dragonball: «Onda energetica!».
Sul lungomare di Tel Aviv l'ho visto infilarsi in un tubo lungo sei metri in cima ad una giostra e scendere giù allegramente parlando, non so bene in che lingua, con bambini ebrei e arabi. Per due ore vicino a Jaffa è stato al tavolo di una comitiva di ebrei francesi accanto a bambini che avevano come lui un Game Boy e anche lì, senza una lingua comune, si sono fatti matte risate.
In Israele è così. Stai a tuo agio. È il paese dove puoi portare il tuo bambino perché non c'è posto, bar, ristorante, museo in cui questa piccola creatura, buona o indemoniata che sia, sarà guardata come una fastidiosa presenza.
Gerusalemme è una città speciale. Credo che sia difficile far trascorrere il tempo senza immaginarsi una sosta qui «dove è nato Dio». Di Haifa ti colpisce la stupenda baia e la collina del Carmelo circondata dal verde. Puoi salire fino al Golan o scendere al mar Morto nelle Spa piene di russi di ogni età fino al fortino di Masada mai espugnato dai romani che dopo l'assedio entrando in città trovarono suicida l'intera popolazione zelota nell'anno 74. Israele è piccola, poco più di una media regione meridionale nostra, ma nell'arco di poche decine di chilometri incontri migliaia di anni di storia, conflitti del passato e guerre di oggi, paesi ebraici e cittadine col minareto, una a fianco dell'altra, serre e grattacieli.
Ma non puoi capire Israele se non ti fermi a Tel Aviv. Città moderna, città recente, il prossimo anno compirà cent'anni, città di ragazzi e di bambini, di grattacieli moderni che si alzano davanti a case di un piano, massimo due, ben tenute accanto ad altre davvero malandate. A Tel Aviv Andrea è stato fino in fondo bambino a casa sua. È paradossale come vivi un'atmosfera serena, per nulla rassegnata, in una città descritta come frontiera del pericolo. «Pazzi, portate il bambino in Israele, addirittura a Tel Aviv!», quante volte, con mia moglie, abbiamo sentito questo rimprovero. Non lo avrebbe capito Andrea mentre sulla spiaggia giocava con bambini di altre lingue e altri colori, guardati a vista da genitori bambini anch'essi, lungo una spiaggia che confina con quell'altra in cui chi vuole può portare anche i cani che liberamente escono e nuotano nell'acqua visibilmente soddisfatti. Al mattino sul presto qui dove c'è il porticciolo, vedi uscire in fila indiana ogni giorno almeno un centinaio di barchette a vela a un posto guidate da ragazzini e altrettanti surfisti con le vele colorate prendono il mare. Torneranno molte ore dopo, quando la darsena si riempirà di genitori per nulla ansiosi.
Tel Aviv vista dall'alto è una città non grande, in cui grattacieli di media levatura si ergono fra case ritenute antiche per una città come questa. Sullo sfondo vedi solo grattacieli. Come tante altre città del mondo Tel Aviv cresce in altezza. Sui lunghi boulevard a ogni angolo di strada puoi dissetarti con spremute di tutti gli agrumi possibili mescolati anche a carote. I bar sono pieni di ragazzi. Solo alcuni bar hanno il vigilante fuori dalla porta che controlla le borse. Al Dizengoff Centre il controllo è più accurato, forse perché lì un kamikaze uccise a marzo del 96 tredici persone ferendone oltre un centinaio. Non c'è paura, però, mentre ti aggiri fra i piani del Dizengoff. I ragazzi si affollano davanti ai laboratori dove si fanno tatuaggi o piercing, i maschi hanno gli stessi capelli rasati di alcune nostre periferie urbane, vestono con più casualità e sono, tranne quelli che vengono dall'Est, meno griffati.
Il suk HaCarmel è un mercato che ricorda e dà meglio l'idea di intensi traffici commerciali rispetto alla Vucciria palermitana o alla Buqueria di Barcellona. Se arrivi verso le sette di sera ti muovi in un pasticcio di colori e di odori di un mercato che sta smontando la parte alimentare per dare tutto il potere alle bancarelle degli abiti, delle T-shirt col Maccabi o dei gioiellini d'argento. Accanto al mercato c'è il vecchio quartiere yemenita, poco più in là il boulevard intestato a Rothschild.
A Neve Tzedek provi la sensazione di stare in una specie di Trastevere medio-orentale. E' il quartiere a case basse più antico, più raffinato, dove c'è la scuola di danza, i locali più divertenti, i negozi più eleganti. Accanto al quartiere c'è una gigantesca torre in cui molti ebrei italiani, americani e francesi hanno comprato appartamentini per quando vengono a Tel Aviv per ristorare gli occhi e il cuore.
Nella città più importante dopo Gerusalemme di uno stato ebraico non c'è nulla che lo ricordi al visitatore. Solo i nomi delle strade ti dicono dove sei: Dizengoff. Begin, Ben Gurion, Jabotinski. Tel Aviv è una città di tutti. Lo vedi sul lungomare o a Jaffa quando incontri cittadini di diversi paesi che sono qui di passaggio o hanno deciso di venire a vivere in Israele. Sulla spiaggia fornellini a carbone cuociono carne sia per quel gruppo di arabi che ha steso tappeti sulla spiaggia sia per quegli ebrei che sono poco più in là. Davanti alla giostra c'è, con un bambino in braccio, l'ortodosso col cappello rotondo di visone malgrado faccia quaranta gradi, di sera, ma anche la donna velata che deve accudire una tribù di maschi.
Quando arriva l'ultimo giorno Andrea vede che facciamo le valigie e mi dice: «Papà già andiamo via?».

Un articolo di Gideon Meir, Ambasciatore di Israele in Italia:

Sessanta anni fa, oggi, veniva proclamato lo Stato di Israele, in accordo al piano di spartizione delle Nazioni Unite, che prevedeva la creazione di due stati, uno ebraico e uno arabo, l'uno al fianco dell'altro.
Meno di 24 ore dopo, gli eserciti regolari di Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq attaccavano il neonato stato ebraico, costringendolo a difendere la propria sovranità appena guadagnata nella sua antica patria. Azzam Pasha, l'allora segretario generale della Lega Araba, dichiarò al riguardo: «Sarà una guerra di sterminio, un massacro momentaneo, di cui si parlerà così come dei massacri mongoli e delle Crociate».
Ieri, come ogni anno, abbiamo celebrato il memoriale per tutti i soldati caduti nelle guerre di Israele, da quel giorno fino a oggi, 22.437 persone che hanno perso la vita in difesa dello Stato.
La tragedia del conflitto arabo israeliano ebbe inizio con l'assoluto e netto rifiuto, da parte del mondo arabo di allora, di accogliere qualsiasi compromesso per una spartizione e per vivere gli uni accanto agli altri, in pace.
Questo atteggiamento, che rifiuta di riconoscere il diritto all'esistenza di Israele, è rimasto dominante in gran parte del mondo arabo fino agli anni 2000, ed è tuttora la posizione dei più estremisti, primo fra tutti l'Iran, seguito ed emulato da Hezbollah e Hamas.
Tuttavia, oggi, nel 60° anniversario dello stato di Israele, nonostante le sette guerre sostenute dal mio paese e le minacce quotidiane all'incolumità dei suoi cittadini, io posso affermare con orgoglio che l'obbiettivo del movimento sionista, di creare un focolare nazionale per il popolo ebraico in Terra d'Israele, riconosciuto dalla comunità internazionale e nel quale far fiorire e prosperare economia, agricoltura, cultura, scienze, ricerca, arti e, pluralismo e democrazia, è andato oltre ogni aspettativa.
Dal momento della sua fondazione fino a oggi, lo stato di Israele ha accolto e integrato tre milioni di immigrati, i primi dei quali furono per la maggior parte profughi ebrei sopravvissuti alla Shoah, giunti privi di ogni cosa, dopo aver perso le loro famiglie e tutti i loro beni. Centinaia di migliaia di altri ebrei sono giunti negli anni da ogni parte del mondo, anche dai paesi arabi, dove avevano subito persecuzioni e vessazioni. Tutti questi profughi hanno trovato in Israele una casa dove poter ricominciare una nuova vita.
La storia dello Stato d'Israele è una lunga serie di miracoli e di successi, conseguiti dal nostro popolo. Volendo riassumerne alcuni, in poche righe, basta pensare alla continua prosperità economica, al miracolo scientifico-tecnologico, al contributo d'Israele in campo medico e agricolo, e nel campo delle energie alternative, con lo sviluppo e la condivisione di tutti i risultati con il resto del mondo. O ancora al fermento culturale, che vede Israele come luogo di creatività culturale in ampli e svariati settori. Tutto ciò, sensa mai trascurare il nostro vero obbiettivo di sempre, non ancora raggiunto e presente nelle nostre preghiere quotidiane, che è quello di conseguire la pace con tutti i nostri vicini.
Israele è noto agli europei più che altro per le guerre, ma chi conosce davvero Israele sa che questa è un'immagine distorta della realtà. Il nostro obbiettivo, in questo 60° anno di Israele, è quello di presentare al pubblico italiano gli altri volti di Israele. È nostra intenzione presentare il meglio della cultura israeliana, e l'evento principale sarà proprio stasera a Roma, dove, presso il Teatro dell'Opera, si esibirà l'Israeli Opera di Tel Aviv, in un'opera israeliana originale, Viaggio alla fine del millennio , tratta dall'omonimo romanzo dello scrittore A. B. Yeoshua.
La letteratura, la danza, la musica, il teatro, non meno delle innovazioni tecnologiche, delle scoperte mediche, delle applicazioni scientifiche, sono stati i motori del grande sviluppo israeliano. L'arte è soprattutto un linguaggio universale, un ineguagliabile strumento di comunicazione che favorisce il dialogo e la comprensione tra i popoli; ed è questo il motivo per cui abbiamo voluto celebrare i primi sessant'anni di vita del nostro Stato presentandolo al pubblico di tutta Italia, delle grandi e delle piccole città, proprio attraverso le sue espressioni culturali più tipiche e affascinanti.
Certi che la comprensione porta la tolleranza, e che la cultura, quindi, è il primo strumento per moltiplicare le strade della pace. Insiste in noi la forte speranza di far conoscere, attraverso questa serie di eventi, l'Israele che vive oltre la cronaca, che lavora, opera e si confronta. Un paese «straordinariamente normale», dove i sogni, le ambizioni e gli stili di vita sono gli stessi delle grandi democrazie europee. Dal punto di vista mio personale è una grande emozione poter presentare una serie di eventi così eccezionale e straordinaria in tutta Italia.
Desidero ringraziare di cuore Il Riformista che ha scelto di onorare la nostra bandiera e tutti coloro che negli ultimi mesi hanno preso posizione contro ogni tentativo di pochi e sparuti gruppi estremisti di delegittimare il diritto di esistenza dello stato d'Israele

Un articolo di Anna Mahjar-Barducci,Presidente dell'Associazione Arabi Democratici Liberali con sede a  Roma e a Washington:

Ogni volta che Tareq Ramadan parla, l'Occidente rimane ad ascoltarlo come se fosse il rappresentante del mondo arabo. E anche in questa occasione, che ha deciso di boicottare la Fiera del Libro di Torino per avere invitato Israele come ospito d'onore, Ramadan catalizza l'attenzione. Eppure, Ramadan è un fenomeno del tutto occidentale, e in Medio Oriente i suoi libri non si vendono nemmeno. I media occidentali, però, sembrano essere attratti dal fenomeno Ramadan, perché convinti che le posizioni estreme siano più interessanti per il lettore, alimentando ancora una volta «il noi contro loro». Ed ecco quindi che gli scrittori arabi che hanno partecipato alla Fiera del Libro di Parigi - dove Israele era anche in questo evento ospite d'onore - sono «boicottati» dalla stampa. Uno dei maggiori scrittori marocchini, riconosciuto internazionalmente, Tahar Ben Jalloun, ha partecipato alla Fiera del Libro di Parigi, affermando che il boicotaggio è «criminalità intellettuale». Fouad Laroui, fine scrittore marocchino, che ha raccontato nel suo libro «De quel amour blessé» una storia d'amore fra una ragazza ebrea e un ragazzo musulmano, ha partecipato alla Fiera di Parigi, ribadendo le affermazioni di Ben Jelloun. Il giovane e apprezzato scrittore marocchino, Youssef Jebri, era anche lui presente. Così come, gli scrittori algerini Boualem Sansal - che ha dichiarato «io faccio letteratura non la guerra» - Maïssa Bey e Mohammed Benchicou. L'antropologo e scrittore algerino Malek Chebel - sicuramente più noto di Ramadan in Nord Africa - era alla Fiera e ha dichiarato di sentirsi «preso in ostaggio» da un boicottaggio «deciso per lui [e gli altri scrittori arabi]» senza avergli chiesto un parere. Persino lo scrittore Alaa Al Aswani, autore del best seller l'Immobile Yacubian, ha partecipato alla Fiera di Parigi, ribadendo le sue posizioni contro l'attuale governo israeliano, ma facendo una differenza tra evento politico e culturale.
Serve dialogo. La nostra Ass. Arabi Democratici Liberali, che conta cinquanta importanti docenti universitari, scrittori e membri della società civile in Medio Oriente e Nord Africa, crede che ci sia una grande differenza tra il condannare la politica dell'attuale governo israeliano e boicottare una manifestazione culturale per la sola presenza dello Stato ebraico, in occasione dei sessant'anni dalla sua fondazione. Il dialogo e il confronto dovrebbero essere la prerogativa di scrittori, filosofi e intellettuali. Condannare l'occupazione, inoltre, non deve significare il non riconoscimento del diritto fondamentale d'Israele di esistere. Cosa che invece sembrano negare gli aderenti al boicottaggio. Posizione che appare essere del tutto anacronistica e fa vergognare coloro che nel mondo arabo cercano una normalizzazione dei rapporti con Israele. I maggiori media arabi, inoltre, da tempo invitano in tv analisti israeliani e i quotidiani mediorentali non parlano più di «entità sionista», ma di Israele, riconoscendone di fatto l'esistenza. Recentemente, il settimanale marocchino «Tel Quel» ha pubblicato un appello di Soufiane Qassimi, studente marocchino e musulmano, a capo dell'associazione per Israele dell'HEC (Ecole des hautes études commerciales) a Parigi. «È una stupidaggine privarsi dell'opportunità di scoprire e comprendere l'Altro - scrive Qassimi -Dato che questo è il solo mezzo per riconciliarsi con l'altro nella pace e nel rispetto reciproco».

Tutti di grande interesse, ma non disponibili sul web, gli articoli di Anna Momigliano sulla storia di Israele:
"Il sogno di Herzl e i pompelmi di Mosè, così nacque il primo insediamento, Laninna nanna rivoluzionaria di Ben Yehuda, L'acetone di Weitzman apre le porte della Palestina, Zeev vsChaim, che amò Magda Goebbels Lo scontro tra i due volti della resistenza, Golda, la Yiddish Mame dello Stato ebraico "Unico vero uomo del governo Ben Gurion", Ytzhak e Arik, gli ultimi pionieri sabra tra guerra e pace"


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