Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Israele alla fiera del libro: trentottesima puntata rassegna di cronache
Testata:Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica - Il Foglio Autore: Vera Schiavazzi -la redazione - g.g.v.- Giuseppina Manin - d.m. - Beppe Minello - la redazione - Giulio Meotti Titolo: «Fiera del libro, no del Colle alla visita blindata - Roghi delle bandiere: vicini ai colpevoli Pressing del centrodestra -«Sì alla marcia per Israele o capitola la democrazia» -«Famiglia cristiana»: dire grazie a Israele -»
Fo: rinuncio al mio libro per parlare di Palestina - E Vattimo «rivaluta» i Protocolli - Querelerò i prof dell’Università - Università di Torino o sede organizzativa dei boicottatori di Israele? - La sentenza su Tariq Dal CORRIERE della SERA del7 maggio 2008. la cronaca di Vera Schiavazzi sulla visita di Napolitano alla Fiera di Torino:
TORINO — Una visita «non blindata», nonostante le preoccupazioni, le proteste e le controproteste di una vigilia tesissima, a 24 ore di distanza dall'apertura della XXI Fiera del Libro di Torino che ha come Paese ospite d'onore Israele. E' questo il desiderio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, un desiderio che — evidentemente — le autorità locali e la stessa Fiera non potranno che rispettare. Il capo dello Stato, dunque, arriverà a Torino alle 10 — probabilmente in elicottero, direttamente al Lingotto — per ripartire meno di due ore più tardi insieme al principale «testimonial» della cultura israeliana, Abraham Yehoshua: le giornate politiche romane sono convulse, e in tempi e condizioni normali la visita sarebbe stata cancellata. Ma c'è poco di normale in questa inaugurazione, e il cerimoniale del Quirinale ne è pienamente consapevole. Così, mentre 4.000 studenti, dalle elementari ai licei, si metteranno in coda per entrare al Lingotto, il Presidente parlerà nella Sala Gialla a ospiti e autorità già invitati da mesi. Poi, è stato confermato fino a ieri sera, Napolitano si concederà una breve e selezionata passeggiata tra gli stand. Per stamattina è previsto l'ultimo vertice in Prefettura tra forze dell'ordine, autorità locali, rappresentanti della Fiera, del Quirinale e del governo. Intanto chi vuole manifestare si prepara a farlo, e mentre si moltiplicano le dichiarazioni contro il boicottaggio — da quelle dello scrittore Alain Elkann alla vincitrice del Pulitzer Geraldine Brooks — e la manifestazioni di solidarietà verso Israele, sul web corre il tam tam dei boicottatori, che invitano a contestare Napolitano ma concentrano le loro forze sulla manifestazione nazionale di protesta delle organizzazioni filopalestinesi (Forum Palestina e Free Palestine sono le sigle principali) e dei centri sociali e circoli autonomi indetta per sabato 10 maggio. Contemporaneamente, chi voleva e vuole festeggiate la presenza di Israele alla Fiera non rinuncia a farlo. E mentre gli aderenti al gruppo romano Appuntamento a Gerusalemme lamentano la «festa blindata» di domani, molte Comunità ebraiche, da Roma, Milano, Firenze, Pisa e altre città hanno organizzato pullman e treni per essere presenti al Lingotto dal primo mattino. Una nota riservata interna all'Ucei invita a far registrare il «tutto esaurito» al quotidiano Il Riformista, che domani uscirà incartato nella bandiera con la stella di David. Chi sostiene Israele non ha, a differenza dei ragazzi dei centri sociali, intenzione di sfidare le forze dell'ordine. Ma neppure di nascondersi: bandiere israeliane, dunque, si vedranno al di qua e al di là delle biglietterie del Lingotto, cioè, per restare alle parole della Questura, dentro e fuori la Fiera. In mezzo, la «zona rossa» preparata dalle forze dell'ordine, che vogliono evitare soprattutto l'incontro-scontro tra esponenti di opposte tendenze. Intanto il sindaco Sergio Chiamparino — che fino a ieri pareva dover presenziare soltanto alla cerimonia di domattina con Napolitano — fa sapere che, invece, sarà presente anche stasera alla cena di gala alla Reggia di Venaria, dove lo scrittore israeliano Aharon Appelefeld terrà la sua lezione.
Sempre di Schiavazzi, la cronaca sulle indagini sui roghi di bandiere:
TORINO — «Le autorità che operano a Torino devono considerarsi preposte a prevenire e reprimere l'antisemitismo, non il sionismo. Il governo farà bene a ricordarglielo». Dietro il linguaggio un po' dotto di questa interrogazione parlamentare presentata da un gruppo di senatori del Pdl (Luigi Compagna, i piemontese Enzo Ghigo e Lucio Malan, Sandro Bondi, Domenico Nania, Marcello Pera e altri) ai quali si è pero subito aggiunto Marco Follini (Pd), c'è quella che rischia di diventare la polemica politica più calda nella vicenda della Fiera del Libro e del suo Paese ospite, Israele. Dopo il rogo delle bandiere israeliane nella piazza torinese del 1˚ maggio, dopo il divieto di manifestare «fuori dal perimetro della Fiera» stabilito per domani dal Questore, il centrodestra presenta il conto al governo uscente e al suo ministro dell'Interno, Giuliano Amato. Lo stesso Amato nell'ufficio nel quale, in questi affannati giorni di vigilia, è più volte entrato in via riservata anche il presidente degli ebrei italiani, Renzo Gattegna, per chiedere che le espressioni pubbliche delle comunità e dei gruppi che in questi mesi hanno sostenuto la presenza di Israele a Torino non fossero messe sullo stesso piano delle contestazioni di una parte minoritaria della sinistra radicale. Il prefetto Paolo Padoin (che non a caso ha preferito prendere personalmente la parola negli ultimi giorni), il questore Stefano Berrettoni, il capo della Digos Giuseppe Petronzi non possono e non vogliono scendere in polemica con i politici. Ma sono professionisti di lungo corso, che ben prima del rogo delle bandiere hanno fatto scattare robuste misure di prevenzione per monitorare le eventuali cattive intenzioni del mondo antagonista della città. E proprio da questa antica esperienza nasce il possibile conflitto tra dirigenti di polizia e politici indignati. «Fate qualcosa, arrestate qualcuno», sembrano suggerire i senatori che hanno firmato l'interrogazione. «Limitiamo i danni», è invece la risposta non scritta che arriva da corso Vinzaglio, sede della Questura, dove pure si lavora alacremente per portare davanti ai giudici i responsabili, probabilmente ben conosciuti, dei fatti del 1˚ maggio. Una prassi, quella della polizia torinese, che negli anni è stata talora tacciata di «eccessiva tolleranza », ma che ha sempre contribuito a mantenere basso il livello dello scontro.
Le adesioni all'appello dell'Associazione «Appuntamento a Gerusalemme»
ROMA — L'appello lanciato da Anna Borioni dell'associazione «Appuntamento a Gerusalemme», per poter manifestare senza blindature piena solidarietà alla cultura israeliana, è stato raccolto da parlamentari dei due schieramenti ma anche da intellettuali di diversi orientamenti culturali. Le firme sono quelle di Luigi Angeletti, Corrado Augias, Peppino Caldarola, Fabrizio Cicchitto, Luigi Compagna, Olga D'Antona, Franco De Benedetti, Anna e Maria Teresa Fendi, Khaled Fuad Allam, Ernesto Galli della Loggia, Bruna Ingrao, Giorgio Israel, Antonio Landolfi, Emanuele Macaluso, Piero Melograni, Roberto Napolitano, Fiamma Nirenstein, Yahya Pallavicini, Barbara Palombelli, Stefano Parisi, Paolo Pirani, Antonio Polito, Gaetano Quagliariello, Umberto Ranieri, Giovanni Russo, Souad Sbai, Massimo Teodori, Giorgio Tonini, Gianni Vernetti. E tutti hanno ribadito il «miracolo» compiuto dalla democrazia in Israele dal 15 maggio del '48 a oggi: «La vitalità e creatività della società israeliana, la saldezza della sua democrazia, che assicura la più ampia libertà di opinione, ...sono un fenomeno sorprendente e affascinante, che solo il fanatismo ideologico e il pregiudizio antisemita portano a negare». All'appello di Anna Borioni — che parla di «capitolazione della democrazia a Torino» e di «presidente della Repubblica isolato dalla gente e blindato dentro al Fiera» — fa eco un'altra inziativa del Pdl alla quale ha aderito anche Emanuele Fiano (Pd). Per il quale, «la difesa del diritto all'esistenza di Israele passa anche attraverso la nostra testimonianza alla Fiera del libro di Torino».
Una buona notizia da Famiglia Cristiana, presa sempre dalle pagine del CORRIERE della SERA:
MILANO — ( g.g.v.) «Ecco perché è giunta l'ora di dire grazie a Israele». Così Famiglia Cristiana titola l'editoriale del vicedirettore Fulvio Scaglione. Parole importanti, quelle del settimanale cattolico: «Mentre sulle piazze ricompare la miseria dei bruciatori di bandiere, noi cittadini dell'Europa e delle democrazie liberali riconosciamo il debito con lo Stato di Israele. La ragione è semplice: Israele, come peraltro il vicino Libano, è uno Stato multireligioso, multiculturale e multietnico in un Medio Oriente che pratica, al contrario, l'esclusivismo religioso, culturale o etnico, quando non tutti e tre insieme». Israele è insomma «un modello di apertura alla diversità», scrive il settimanale. «Se un giorno i Paesi arabi sapranno meditare la propria storia e farsi competitivi nella gara della pace, molto del merito andrà a Israele».
Dario Fo utilizzerà la Fiera del libro per "parlare di Palestina" O per fare propaganda antisraeliana ?
MILANO — Avrebbe dovuto presentare il suo nuovo libro, «L'apocalisse rimandata», cronaca visionaria del nostro mondo prossimo venturo, appena uscito per i tipi di Guanda. Ma gli eventi e le polemiche levitate intorno al «caso» Israele, hanno convinto Dario Fo, da sempre sensibile alla causa del popolo palestinese, a cui nel '71 dedicò anche una pièce, «Fedayn», a una diversa partecipazione alla Fiera torinese. Così venerdì prossimo alle 18 Fo sarà come stabilito nella Sala Gialla, ma non per parlare del suo libro. «Ho accettato solo a patto di poter dedicare quello spazio a un dibattito pubblico. Molti hanno dato forfait alla Fiera, io invece penso che bisogna andarci e sollevare il tema tabù: la Palestina. Perché l'eterno conflitto con Israele non si potrà mai risolvere senza tener conto delle ragioni di quel popolo occupato, violato, oltraggiato da sessant'anni», anticipa il premio Nobel, che sarà affiancato da Khaled Fouad Allam, Mario Tozzi e dal direttore della Fiera, Ernesto Ferrero. «Anziché affidare l'evento alla po-litica, la Fiera avrebbe dovuto puntare sul versante culturale — prosegue Fo —. Stiamo parlando di libri? E allora invitiamo gli scrittori, israeliani e palestinesi insieme, mettiamoli a confronto, facciamoli parlare. Magari verranno fuori parole di comprensione, di pace. Invece l'aver voluto dare rilievo solo al Paese dominante ha esasperato i toni, ha trasformato la Fiera delle idee e della creatività in una cittadella armata, ha scatenato frasi inopportune. Come quelle di Napolitano, che contravvenendo al suo ruolo equanime, ha tenuto conto di una parte sola. O ben peggio, come quelle di Fini, che scordandosi del suo recente passato, delle camicie nere e i bracci tesi che ancora oggi gli fanno da contorno, ha avuto l'impudenza di proclamarsi paladino di quel popolo perseguitato dai suoi maestri di un tempo. Non avrei mai immaginato di sentirlo dire un giorno: guai a chi tocca Israele. Un po' di decenza, via». E conclude: «Proprio pensando alle vittime dell'Olocausto di allora e alle vittime della guerra di oggi, i bambini, le donne massacrati ogni giorno a Gaza, mi sarebbe parso giusto dedicare questa Fiera ai due popoli, Israele e Palestina, uniti almeno per una volta, come auspica del resto il meglio dei loro intellettuali, da Moni Ovadia ad Amos Gitai, da David Grossman a Daniel Barenboim. L'averli tenuti separati, l'aver dato spazio ancora una volta a uno solo, è l'ennesima sconfitta della speranza».
Le incredibili dichiarazioni di Gianni Vattimo al convegno antisraeliano di Torino:
TORINO — ( d.m.) Qui a Torino è nata un'altra categoria, «la sinistra soft», in cui il poeta israeliano Aaron Shabtai fa rientrare Amos Oz, Abraham Yehoshua e David Grossman. Questi grandi scrittori, secondo Shabtai «sono responsabili non soltanto di aver firmato una lettera di sostegno all'ultima guerra di Israele contro il Libano, ma di farsi garanti presso l'opinione pubblica europea e occidentale della politica di aggressione di Tel Aviv». Sicuramente gli scrittori israeliani che verranno domani alla Fiera del libro, dove il loro Paese è ospite d'onore, risponderanno a queste parole, così come non rimarranno senza replica gli interventi dei due filosofi che hanno aperto la giornata conclusiva del convegno alla facoltà di Scienze politiche su «Le democrazie occidentali e la pulizia etnica della Palestina»: Domenico Losurdo e Gianni Vattimo, che anni fa duellarono su Nietzsche, oggi difendono assieme la causa della Palestina e dell'antisionismo. «Giorgio Napolitano ed io — ha detto Losurdo — proveniamo dalla stessa famiglia politica (il Pci), anche se il presidente ha compiuto una evoluzione più radicale. La mia è una critica rispettosa, ma equiparare, come ha fatto Napolitano, l'antisionismo all'antisemitismo mi sembra proporre una verità di Stato. Così facendo si cade nell'errore che malauguratamente compivano i regimi del socialismo reale». Chi ha il cuore forte si prepari adesso alle parole di Gianni Vattimo, che nonostante un piccolo malore ha voluto concludere ieri pomeriggio il seminario antagonista: «Oggi — ha detto Vattimo — è diventato scandaloso manifestare la propria solidarietà ai palestinesi. Persino Napolitano ha equiparato antisionismo e antisemitismo. Allora mi dico: non ho mai creduto alla menzogna dei Protocolli degli anziani di Sion. Ora comincio a ricredermi, visto il servilismo dei media». Parole testuali, forse pronunciate con un filo di ironia. Infine Vattimo commenta l'uscita di Fini sul paragone tra il delitto di Verona e le bandiere israeliane bruciate il 1˚ maggio a Torino: «La terza carica dello Stato ha detto che è più grave bruciare una bandiera che uccidere un ragazzo. Ma che Paese siamo diventati? Non è che si sta preparando un nuovo G8? Forse il fascismo era meglio». Fino a ieri l'estremista era considerato Tariq Ramadan.
Dalle pagine Torinesi della STAMPA, le dichiarazioni di Rolando Picchioni:
Dal mondo universitario sono arrivati volgari attacchi, anche personali. Attendo la fine di tutto per valutare come reagire e non escludo di ricorrere agli avvocati. Ci sono persone per le quali avevo stima e amicizia e sono dispiaciuto che non abbiano saputo svolgere un’opera di moral suasion in virtù della loro età e cultura per evitare che la situazione arrivasse a questo punto. Non hanno avuto nessuna interlocuzione con me pur avendo io tentato in tutti modi di contattarli». Il solitamente pacifico e democristianissimo Rolando Picchioni, il presidente della Fondazione Fiera del Libro, sceglie la Commissione Cultura del Comune, dov’è stato inviato ieri mattina dal presidente Cassiani, per fare alcune riflessioni a voce alta su quanto accaduto e sta accadendo a 48 ore dall’arrivo del presidente Napolitano al Lingotto. Spara sui docenti senza fare nomi («Ma non dite degli avvocati...») e non deve avere una grande considerazione nemmeno di chi in questi mesi s’è fatto avanti contestando la scelta della Fiera di ospitare Israele: «Un sindacalista di una sigla più a sinistra della Cgil ci aveva chiesto un box dove poter sbandierare, volantinare e fare un po’ di microfonaggio, ma questo è vietato dal regolamento del Lingotto. Ma ho sempre lasciato la porta aperta. Per precauzione teniamo libero un piccolo stand che potremmo affittare a un prezzo simbolico. Gliel’ho offerto e si sono riservati di rispondere. Oggi (ieri, ndr) ho letto sui giornali che il mio è stato giudicato un “invito tardivo”, che abbiamo offerto loro gli avanzi del piatto». «Risale all’11 gennaio scorso - ha ricordato ancora Picchioni - l’incontro fra me e Vincenzo Chieppa dei Comunisti italiani presentatosi come portavoce di Free Palestine. A lui avevo prospettato un posto in Fiera per i palestinesi come uno dei tanti paesi: non ho mai avuto risposta. Ricordo che Chieppa mi aveva anche prospettato un incontro con Diliberto, mai avvenuto forse a causa delle elezioni». Un Chieppa che ieri gettava acqua sul fuoco rivolgendo un appello a chi sabato manifesterà contro la Fiera perché il «corteo sia pacifico». «Per evitare casini basterebbe non parteciparvi» l’ha rimbrottato il compagno Luca Robotti, una fatto che la dice lunga sulla concordia all’interno del Pdci. E più in generale sulle lacerazioni della sinistra: «Il boicottaggio della Fiera - commenta Grimaldi di Sd - è sbagliato innanzitutto per i palestinesi perché si genera una solidarietà generalizzata a Israele, governo compreso». Picchioni alla Commissione Cultura ha ribadito che la scelta di Israele quale ospite d’onore è stata una scelta «di risulta, dopo che si è arenata l’ipotesi-Cile tanto caldeggiata dalla presidente cilena Bachelet con Mercedes Bresso. Avremmo potuto optare per l’Egitto che però sarà ospite il prossimo anno, ma Israele cadde a fagiolo perché erano sorti problemi sulla sua presenza a Parigi. E l’idea nacque un sabato durante una passeggiata con alcuni esponenti della comunità ebraica torinese. Fu poi Tullio Levi a suggerirmi di trovare contatti con i palestinesi attraverso l’Olp di Roma che mi ha risposto l’altroieri dicendo che non potevano venire facendomi gli auguri per la Fiera che da tutta questa vicenda almeno un vantaggio l’ha avuto: la risonanza mondiale. Abbiamo 2 mila ospiti e tutti gli editori che una volta venivano facendo i sufficienti ora si spintonano per esserci».
Le "istruzioni per l'uso" per il salone dalle pagine torinesi della REPUBBLICA :
Mancano appena 24 ore dall´inaugurazione della ventunesima edizione della Fiera del libro, probabilmente la più tesa della storia della manifestazione libraria. Ma al di là delle tensioni e delle polemiche, ecco un vademecum pratico per i visitatori. Orari. Domani, domenica e lunedì la fiera è aperta dalle 10 alle 22. Venerdì e sabato l´orario si allunga di un´ora: dalle 10 alle 23. Biglietti. L´ingresso costa 8 euro ma ci sono numerose riduzioni e formule di abbonamento. I ragazzi tra gli 11 e i 18 anni, i militari, gli over 65, i possessori di tessera Cral, Abbonamento musei 2008 e Torino+Piemonte card 2008 pagano 6 euro. Per i professionisti del settore (editori non espositori, scrittori, insegnanti, bibliotecari, librai, critici e consulenti editoriali) il ticket è di 5 euro, ma queste categorie il 12, ultimo giorno, entrano gratis. Gli insegnanti che accompagnano le classi hanno diritto all´ingresso gratuito. Gli universitari entrano invece a metà prezzo, 4 euro. I bambini fra i 3 e i 10 anni e alunni delle materne ed elementari accompagnati dagli insegnanti godono invece di una riduzione a 2,5 euro. Per le comitive oltre le 20 persone il biglietto in prevendita costa 6 euro e occorre compilare il modulo sul sito www.fieralibro.it. Entrano gratis i disabili con accompagnatore, i giornalisti con la tessera dell´Ordine e i bambini che hanno meno di tre anni. C´è anche la possibilità di acquistare a 19 euro un abbonamento per i cinque giorni di fiera, valido per un ingresso al giorno. Lo stesso abbonamento per i professionali è ridotto a 10 euro. Biglietti on line. Per evitare le code alla biglietteria è possibile acquistare i tagliandi in prevendita sul sito internet www.ticketone.it. In tram e bus. Il polo fieristico è servito dalle linee 1, 18 e 35, che transitano su via Nizza e via Genova. Non distanti anche le linee 34 e 74, che passano in via Ventimiglia (fermata Vado). Nelle ore di punta le corse del bus della linea 1 saranno potenziate tra il Lingotto e Porta Nuova. Ci vogliono all´incirca 20 minuti a raggiungere i padiglioni da Porta Nuova, mezzora da Porta Susa e 10 minuti dalla stazione del Lingotto, che è collegata anche attraverso la passerella pedonale dell´arco olimpico. Per qualunque informazione sui mezzi pubblici il sito è www.comune.torino.it/gtt. Per la fiera Gtt ha potenziato il servizio di trasporto pubblico istituendo un collegamento, utilizzabile con i normali biglietti dei mezzi pubblici, tra la stazione ferroviaria del Lingotto e l´area espositiva, che funziona dalle 9 alle 23 di domani, venerdì e lunedì e dalle 9 a mezzanotte sabato e domenica. Qualche disagio potrà esserci venerdì a causa dello sciopero nazionale di 4 ore del trasporto pubblico locale. Il servizio urbano e suburbano (escluse le linee 43, 46 barrato e 19) e la metropolitana si fermeranno dalle 17.45 alle 21.45, mentre le linee extraurbane, il 43, il 46 barrato e il 19 non faranno servizio dalle 10.30 alle 14.30 e le ferrovie sciopereranno dalle 9 alle 13. Maggiori informazioni: Gtt 800/019152. Navette. La Fondazione del libro ha previsto due navette per collegamenti gratuiti con il Lingotto Fiere. Il servizio, riconoscibile dai loghi sui pullman, funziona dalle 9.30 ogni 20 minuti dalla stazione di Porta Nuova, con partenza in corso Vittorio Emanuele II angolo via Sacchi, e ogni quarto d´ora di fronte alla stazione Lingotto. In entrambi i casi le navette del ritorno partono da via Nizza 294. In auto. L´uscita consigliata per chi arriva in auto è quella di corso Unità d´Italia. In ogni caso si suggerisce evitare via Nizza, intasata dai cantieri della metropolitana, e muoversi lungo corso Massimo D´Azeglio e corso Unità d´Italia e di lì imboccare il sottopasso di corso Spezia, che conduce gli automobilisti direttamente nel parcheggio. Parcheggi. Il centro fiere ha un parcheggio sotterraneo multipiano aperto 24 ore a cui si accede dall´entrata di via Nizza 280 o direttamente dal sottopasso di corso Giambone per chi arriva dalla tangenziale e da corso Unità d´Italia. I costi sono di 1,10 euro l´ora per le prime 12 ore, mentre tra le 13 e le 24 ore vige una tariffa forfettaria di 13 euro. In via Nizza, di fronte ai padiglioni, parcheggi a raso con strisce blu a 1,30 euro l´ora. Per i bus invece l´uscita consigliata della tangenziale è quella di Stupinigi e il parcheggio è quello di via Giordano Bruno. Librerie. Anche quest´anno torna l´iniziativa «Fai un salto in libreria»: fino al 31 maggio i biglietti d´ingresso interi della Fiera del libro danno diritto a un buono di 3 euro non cumulabile per una spesa minima 20 euro. Le librerie aderenti sono sul sito.
Da Il FOGLIO un articolo sull'Università di Torino "Università di Torino o sede organizzativa dei boicottatori di Israele?"
Torino. Il colpo d’occhio più che altro è un pugno nello stomaco, un salto all’indietro nel buio degli anni 70. All’esterno, sui gradini dell’ingresso principale, un enorme striscione intima: “Boicotta Israele. Sostieni la Palestina”. Sulle vetrate, sui muri esterni, sulle porte a vetri bandiere palestinesi e tazebao anti israeliani, i cartelli della “Campagna 2008 anno della Palestina” con il loro slogan perentorio: “Da che parte stare. Noi lo sappiamo”. Ovviamente non dalla parte di Israele, perché fuori come dentro, nell’atrio del “Palazzo Nuovo”, la sede delle facoltà umanistiche dell’Università statale (che starebbe per pubblica, ma il colpo d’occhio iniziale lascia il dubbio) di Torino non c’è traccia di Israele: se non come il mostro, lo stato genocida, “l’ospite non d’onore” (è lo slogan del volantino distribuito dal Network antagonista torinese, dal Collettivo universitario autonomo e da centri sociali come l’Askatasuna o il Murazzi), il responsabile della “pulizia etnica” di sessant’anni fa contro i palestinesi. E dentro, nell’atrio dell’ateneo “autogestito” da oltre un mese senza alcun permesso – ma anche senza che nessuna autorità accademica, cittadina, statale, di ordine pubblico abbia avuto da obiettare – dai paladini dell’odio contro Israele, è pieno solo di fotografie, rassegne stampa, accuse tutte a senso unico: boicotta Israele e la sua partecipazione alla Fiera del Libro di Torino. Palazzo Nuovo è del resto un simbolo per Torino: la (brutta) sede delle facoltà umanistiche, inaugurata a ridosso del ’68, si trasformò subito nella cittadella della rivoluzione, per essere poi molto presto “privatizzata” dai gestori unici della violenza politica e dell’intimidazione ideologica. Da allora intorno è cambiato il mondo, ma lì tutto è rimasto uguale Lì, ancora, autonomi e sinistra antagonista – li stessi che il 1° maggio in città hanno bruciato le bandiere con la Stella di Davide – hanno la loro isola felice, o di impunità. Lì qualche decina di studenti, coadiuvati dai militanti dei vicini centri sociali concentrati nel quartiere possono giocare all’università occupata senza timore di essere intralciati; possono intimidire gli altri gruppi studenteschi (“se provi a mettere un cartello tuo nell’atrio, sai quanto dura…”, dice qualcuno di loro); possono intimidire e boicottare con la violenza, come è avvenuto nel 2005, la docente di Geografia culturale Daniela Ruth Santus, colpevole di aver invitato per un incontro il viceambasciatore israeliano Eleazar Cohen; possono zittire e provare (con scarso successo) a intimidire il docente di Semiotica Ugo Volli, che di fronte alle sceneggiate antipalestinesi di Gianni Vattimo e dei suoi fan si è presentato fuori dell’università con una bandiera israeliana, intenzionato a dire la sua, “visto che vogliono trasformare un’istituzione pubblica, cioè neutrale, della cultura in una sorta di Hyde Park”. E’ stato difeso dalla polizia, che poi ha cercato di spiegargli che non era il caso di attuare, lì in quella storica sede della contestazione, certe “provocazioni”. Qui, a Palazzo Nuovo, pulsa il cuore del boicottaggio contro la partecipazione alla Fiera del libro. O almeno dovrebbe, perché poi a guardarsi intorno, tra il viavai degli studenti indaffarati e il bivacco pomeridiano di quelli sfaccendati, tra manifesti da controcultura degli anni 70 e volantini che pubblicizzano “due birre a cinque euro” e “fieste” argentine con cocktail a gogò, l’impressione è che i violenti bruciatori di bandiere e accusatori professionali di Israele qui non se li caghi molto nessuno. “Sono una cinquantina, sempre i soliti”, raccontano gli studenti. Non certo in grado di bloccare o condizionare l’andamento di corsi ed esami. Persino l’appuntamento con la manifestazione anti israeliana di sabato, spiegano qui a Torino, potrebbe comportare rischi solo se i centri sociali locali riceveranno aiuti esterni. Ed è proprio su queste considerazioni di ordine per così dire pratico e gestionale si basano le posizioni da sempre assunte dalle autorità accademiche, puntualmente seguite anche in questo caso. Il rettore Elio Pelizzetti ha spiegato che è meglio chiudere un occhio su un certo clima in università, “così si evitano gli eccessi come bruciare le bandiere in piazza”. E’ un punto di vista condiviso da gran parte del corpo accademico: Palazzo Nuovo non è un’università come le altre, storicamente è sempre stato l’epicentro della contestazione torinese, e tanto vale adeguarsi. “Siamo di fatto un ammortizzatore sociale, un punto in cui si sfogano tensioni sociali che altrimenti esploderebbero altrove”, ci spiega Anna Poggi, preside della facoltà di Scienze della Formazione: “E’ chiaro che non dovrebbe essere questa la funzione dell’università, ma di fatto è così. Cosa crede, se il questore creerà una zona rosa attorno al Lingotto, dove verranno tutti? Qui, ovviamente”. Ma per la professoressa Poggi questo non significa che in università ci sia un clima di violenza ideologica, o peggio. Gli anni bui sono passati, esprimere le proprie idee, anche se sono filopalestinesi, è permesso a tutti, senza che questo vieti altre espressioni, senza che l’università debba scegliere una posizione o l’altra. Buon senso gestionale e basso profilo istituzionale. Ma alla fine è proprio questo che lascia perplessi, girando nella tutto sommato moscia curva sud della sinistra antagonista. Se davvero “non esiste rischio di violenza”, come dicono tutti (ma non la pensa così Volli), perché allora permettere, dentro una pubblica università, tanta sciatteria ideologica, tanta imposizione di un solo punto di vista. Perché non si vede una bandiera, un cartello che dia il benvenuto a Israele da parte dell’università umanistica di Torino? Perché né il Senato accademico né quello studentesco, in cui la sinistra democratica domina, non hanno sentito il dovere di dire alcunché, mentre le bandiere palestinesi occupavano simbolicamente lo spazio di tutti? Per Ugo Volli, la spiegazione del “basso profilo” per non esasperare la situazione non basta: “E come a Milano, il 25 aprile, dove la polizia ci ha invitato ad arrotolare le bandiere americane e israeliane perché erano ‘una provocazione’. Io credo invece che nell’odio a Israele si uniscono due cose: l’atavico antisemitismo religioso che resiste in Italia, e i riflessi pavloviani della sinistra che crede ancora nell’esistenza del ‘campo socialista’. Messe insieme, trovano in Israele il loro punto d’odio”.
E uno su Tariq Ramadan, che a Torino è stato invitato: Roma. Come nel 1993, quando partecipò ai picchetti contro la pièce “Mahomet ou le fanatisme” di Voltaire, l’islamologo Tariq Ramadan è protagonista del boicottaggio della Fiera del libro dedicata a Israele. Fino al dicembre 2007 il suo caso poteva essere letto come lo scontro fra una figura controversa e l’Amministrazione Bush che gli ha negato il visto. Sei mesi fa però un giudice federale di Manhattan ha respinto il ricorso di Ramadan contro Condoleezza Rice e lo zar della Homeland Security Michael Chertoff. Ramadan ha sempre detto che il visto gli era stato negato ingiustamente sulla scorta del Patriot Act. Ma il giudice Paul Crotty ha stabilito che fu “escluso a causa di donazioni a organizzazioni che sostengono gruppi terroristici”. Hamas in particolare e in anni di attentati quotidiani contro i civili israeliani. Crotty non è un bushiano fazioso, fu votato all’unanimità al Senato dai democratici e salutato da Hillary Clinton come un “giudice devoto alla giustizia”. Dal 1998 al 2002, Tariq Ramadan ha compiuto donazioni al Comité de Bienfaisance et de Secours aux Palestiniens (Cbsp) e all’Association de Secours Palestinien (Asp), incluse nella lista delle organizzazioni terroristiche emanata il 22 agosto 2003 dalla Casa Bianca. Roma. Come nel 1993, quando partecipò ai picchetti contro la pièce “Mahomet ou le fanatisme” di Voltaire, a Torino l’islamologo svizzero Tariq Ramadan è protagonista del boicottaggio della Fiera del libro dedicata a Israele. Fino al dicembre del 2007, il caso Ramadan poteva essere soltanto visto alla luce dello scontro fra la sua figura controversa e l’Amministrazione Bush che gli negò il visto d’ingresso. Questo fino a dicembre. Quando un giudice federale di Manhattan, nel caso sollevato dalle associazioni di diritti civili contro Condoleezza Rice e lo zar della Homeland Security Michael Chertoff, ha respinto il ricorso presentato da Ramadan sulla revoca del visto. Lo studioso aveva sostenuto che il permesso gli era stato negato ingiustamente sulla scorta del Patriot Act, la legge anti-terrorismo varata dopo gli attacchi di New York. Il giudice Paul Crotty ha stabilito che Ramadan non ha diritto a entrare con la seguente motivazione: “Escluso a causa delle donazioni effettuate a organizzazioni che sostengono gruppi terroristici”. Crotty non è un magistrato fazioso, è stato votato per quell’incarico all’unanimità dal Senato, compresi tutti i democratici. Nel 2005 Hillary Clinton si disse “lieta” della nomina di Crotty, “giudice devoto alla giustizia”. La stampa liberal aveva trasformato Ramadan in un martire della libertà d’espressione: “Bush mi ha bandito per una ragione semplice: non condivido le sue idee”. Il visto invece è stato negato perché Ramadan, di cui a difendere il diritto di parlare in pubblico è anche la dissidente somala Ayaan Hirsi Ali, in quattro anni ha sostenuto due agenzie svizzere incluse tra gli sponsor del jihad in Israele. La giustizia americana in Ramadan non ha visto quindi un semplice esponente della corrente islamica “tajdid”, il rinnovo della lettura, la veste con cui si è presentato a Torino e per la quale è stato elogiato in questi giorni. Ramadan è stato giudicato colpevole di aver finanziato lo stragismo che ha portato la morte nelle case e nelle strade degli israeliani. Ramadan ha compiuto infatti donazioni al Comité de Bienfaisance et de Secours aux Palestiniens (Cbsp) e all’Association de Secours Palestinien (Asp), incluse nella lista delle organizzazioni terroristiche emanata il 22 agosto 2003 dalla Casa Bianca, assieme al Palestinian relief and development fund, che ha sede in Inghilterra, alla Palestinian association in Austria e alla Sanabil association for relief and development in Libano. Hamas ha utilizzato il loro denaro per realizzare la strategia di attentati suicidi che ha ucciso più di mille israeliani. Dal 1998 al 2002, durante l’arco di tempo in cui Tariq Ramadan ha elargito denaro alle fondazioni filopalestinesi, sulle strade di Gerusalemme e di Tel Aviv saltarono in aria 694 israeliani. Donne vecchi e bambini. Prima del caso Ramadan, i giudici americani si erano pronunciati su un professore della Washington’s Howard University, Abdelhaleem Ashqar. Anche lui condannato a undici anni per essersi rifiutato di testimoniare di fronte al grand jury sui fondi destinati ad Hamas. Il suo “no” alla giustizia è stato riconosciuto come motivato dal desiderio di “promuovere il terrorismo”. L’Università di Notre Dame, principale ateneo cattolico degli Stati Uniti, a Ramadan aveva offerto una cattedra nel 2004. Ottenne il visto, ma all’ultimo momento il Dipartimento di stato fece marcia indietro. Il caso sarebbe diventato il principale banco di prova sul confine fra predicazione fondamentalista e libertà d’insegnamento. “Una sorta di emblema della libertà d’espressione” disse Ramadan. La crema del movimentismo liberal, dall’American Civil Liberties Union, storica organizzazione dei diritti civili, al Pen letterario accorse in difesa dell’islamologo nipote Hassan al Banna, fondatore dei Fratelli musulmani. Con la decisione statunitense del 2003, per la prima volta non furono colpiti soltanto i flussi occulti delle Brigate Ezzedin al Qassam, il braccio armato di Hamas. Perfino il New York Times elogiò la Casa Bianca che aveva deciso di colpire anche quelle associazioni, che col paravento dell’assistenza umanitaria e della filantropia, hanno raccolto fondi per Hamas. Sei mesi fa Ramadan è stato riconosciuto fra i suoi finanziatori. (gm)