Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
E' ora di schiaccare Hamas l'analisi di Emanuela Ottolenghi
Testata: Autore: Emanuele Ottolenghi Titolo: «L’ambiguità di Israele rafforza Hamas»
Da LIBERAL del 12 aprile 2008:
Mercoledì scorso, due civili israeliani sono stati assassinati da un commando armato palestinese al terminale di Nahal Oz, dove passa tutto il combustibile da Israele per la Striscia di Gaza. Israele come sempre ha risposto con operazioni militari misurate, che non risolvono nulla nel lungo periodo. L’attacco contro due civili israeliani impegnati nella consegna di aiuti per i palestinesi da parte di terroristi palestinesi mette in luce l’assurdità della situazione in cui Israele si trova: dover rifornire di cibo, medicinali, elettricità e combustibile un territorio governato da un’organizzazione terroristica che d’Israele vuole la distruzione, promuovendola attivamente a dispetto delle ristrettezze economiche sofferte dalla popolazione civile.
Insomma, la popolazione di Gaza soffre per mancanza di cibo ed elettricità, condizioni sanitarie inadeguate, disoccupazione e mancato accesso a mercati esterni per i prodotti locali. A tale ristrettezza contribuisce certo la politica israeliana di chiusura dei confini - ma essa a sua volta è la conseguenza degli attacchi giornalieri di Hamas contro obbiettivi civili israeliani, attacchi che perdurano grazie alle forniture d’armi che Hamas ottiene da Iran e Siria e che giungono a Gaza attraverso il Sinai egiziano.
La sofferenza della popolazione civile deriva insomma dalla decisione di Hamas di far la guerra invece che la pace - e la mancanza di merce non è del tutto attribuibile all’embargo israeliano visto che le armi non hanno difficoltà ad arrivare. Ma al di lá di reazioni e responsabilità, l’inevitabilità di un nuovo conflitto va riconosciuta. L’escalation tra Israele e Hamas può avvenire in qualunque momento, basta la scintilla. Il problema è che un conflitto aperto farebbe irrimediabilmente collassare il già fragile e moribondo processo di pace inaugurato ad Annapolis, ma anche questo scenario non è necessariamente il peggiore. Per Israele, l’attuale guerra d’attrito è insostenibile per due motivi: primo, perchè si tratta di una roulette russa - prima o poi i missili che cadono giornalmente sulle comunità civili vicine al confine con Gaza faranno una carneficina.
Il fatto che siano imprecisi non ne diminuisce il danno - lo rende solo ostaggio di un calcolo statistico - mentre l’impatto psicologico è immenso, visto che la loro imprecisione ne fa arma atta non a conseguire obbiettivi militari ma solo a terrorizzare la popolazione. E secondo, perché a lungo andare la deterrenza israeliana ne esce danneggiata - più Israele tollera il bersagliamento giornaliero della sua popolazione civile senza rispondere, più incentivi ci sono per Hamas ad aumentare la frequenza e la gittata dei suoi lanci. Israele dovrebbe quindi lanciare un’offensiva, prima è meglio è. Ma la pressione americana per ora lo impedisce, perchè essa metterebbe a repentaglio la sopravvivenza dell’Autorità Palestinese e potrebbe costringere Israele a rioccupare sia Gaza che Cisgiordania, dovendosene quindi riaccollare la responsabilità. Ma più Israele attende, più si rafforza militarmente Hamas - e più difficile sarà l’operazione militare e i suoi esiti. Intanto è evidente che l’Autorità Palestinese non ha la forza politica, i mezzi e la volontà per raggiungere e attuare un accordo politico con Israele.
Se non ci fosse l’esercito israeliano in Cisgiordania, l’Autorità sarebbe già caduta in mano a Hamas, come è avvenuto a Gaza. Né la via della tregua negoziata dall’Egitto serve a lungo termine, perchè rafforzerebbe il prestigio di Hamas ai danni dell’Autorità, non otterrebbe concessioni politiche da parte di Hamas e non impedirebbe sostanzialmente a Hamas di continuare a rafforzarsi militarmente. L’Egitto, come l’America, ha scelto una via di mezzo nella crisi di Gaza - non gradisce il rafforzamento di Hamas, non vuole indebolire il già debole presidente palestinese Mahmoud Abbas e teme un confronto aperto con Hamas a causa delle ripercussioni che esso avrebbe a favore della Fratellanza Mussulmana in Egitto.
L’Egitto quindi non ha fatto abbastanza per impedire il flusso d’armi ed esplosivi che transitano dal Sinai a Gaza e fa troppo per ostacolare il possibile ridirezionamento degli aiuti umanitari da Israele al Sinai. Quest’ambiguità finisce con il peggiorare la situazione, un autogol insomma, che l’Egitto dovrebbe risparmiarsi ma che non riesce ad evitare per questioni interne. La mediazione egiziana e gli sforzi diplomatici americani però non solo sono destinati a fallire, ma renderanno la situazione molto più difficile. Hamas, legata a Hezbollah e all’Iran, sta diventando sempre più uno strumento di politica estera iraniano e il suo rafforzamento militare - complice l’attesa israeliana, una possibile tregua e la reticenza americana - non farà altro che aumentare l’ipoteca iraniana sul futuro del conflitto.
Puntare sull’Autorità Palestinese come contraltare a Hamas è comprensibile - ma vista la sua impossibilità di produrre risultati la sua sopravvivenza non dovrebbe essere oggi un ostacolo a sconfiggere Hamas o una priorità da perseguire a tutti i costi. Se Hamas non verrà eliminata dalla scena come forza politica e militare, prima o poi quello che accade giornalmente a Gaza avverrà anche in Cisgiordania, con le ripercussioni drammatiche che un presa di potere di Hamas a Ramallah avrebbe per Israele e per il resto della regione. È ora di schiacciare Hamas dunque, nonostante i rischi che ne derivano.
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