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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Rassegna Stampa
13.03.2008 D'Alema piace a chi vuole distruggere Israele
lodi al ministro degli Esteri italiano da Hamas e dall'Iran

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli - Francesco De Leo
Titolo: «D'Alema ha capito, con noi di Hamas bisogna parlare - Scene da una campagna elettorale inutile»
Da l'UNITA' del 13 marzo 2008:

Un’ammissione, sia pur indiretta, che da alcuni giorni una tregua è in atto: «La palla è nel campo di Israele. Per quanto ci riguarda siamo pronti a sancire una “hudna” (tregua, ndr.) di lunga durata a patto che essa sia reciproca, simultanea e globale». Ad affermarlo è Ismail Haniyeh, premier di Hamas, il movimento islamico che dal giugno 2007 ha il pieno controllo della Striscia di Gaza. Haniyeh ha parole di apprezzamento verso le recenti dichiarazioni del ministro degli Esteri italiano Massimo D’Alema che ha suggerito di «tentare» il dialogo con Hamas. «Il ministro italiano - dice Haniyeh - ha compreso che Hamas è parte inalienabile del popolo palestinese e che la pace non può essere fatta solo con la metà di un popolo».
Dopo giorni di sangue, la situazione nella Striscia e nel sud di Israele è di relativa calma. Ciò significa che Hamas si è disposto a una tregua?
«Non è la prima volta che Hamas propone una tregua, anche di lunga durata, a Israele. Ma perché possa funzionare, la tregua deve essere simultanea, globale e reciproca...».
Il che in concreto significa?
«Significa che il nemico dovrà rispettare pienamente i suoi obblighi. Gli israeliani devono fermare le incursioni, gli assassinii e togliere il blocco imposto a Gaza..».
Risponde al vero che gli egiziani si sono fatti parte in causa nella ricerca di una tregua tra Hamas e Israele?
«Questo non è un mistero. Gli egiziani si sono attivati per cercare di realizzare le condizioni per giungere ad un accordo di cessate-il-fuoco. Hamas non si è tirato indietro assumendosi la sua parte di responsabilità. Ora la palla è nel campo israeliano. Noi stiamo aspettando una risposta perché, lo ripeto, la tregua dovrà essere simultanea e generale, e dovrà comportare obblighi non soltanto per noi ma anche per Israele».
Hamas parla solo per sé o anche per le altre fazioni armate palestinesi?
«La resistenza al nemico non riguarda solo Hamas, così come la decisione di una hudna (tregua, ndr.) non spetta solo a noi. Sono in corso colloqui tra tutte le fazioni palestinesi (della Striscia) per essere pronti a mantenere una posizione univoca qualora l’accordo fosse davvero raggiunto».
Il tutto contro Abu Mazen?
«Il tutto a sostegno della causa palestinese».
Il presidente Abu Mazen ha affermato che il governo israeliano ha accettato di fermare gli attacchi contro i leader di Hamas in cambio della cessazione del lancio dei missili palestinesi contro Sderot, Ashqelon, il sud di Israele.
«In altri termini si vorrebbe accreditare l’idea che i capi di Hamas hanno barattato la fine della resistenza per aver salva la vita! Questa è una pura menzogna. Tra gli “shahid” (martiri, ndr.) che hanno sacrificato la propria vita per respingere l’ultima offensiva del nemico, c’erano i figli di dirigenti di primo piano di Hamas,e i loro figli caduti in combattimenti erano essi stessi quadri di Hamas. Nessun privilegio per chi ha l’onore di guidare Hamas, semmai doveri in più. Se tregua ci sarà, dovrà riguardare tutta la gente palestinese, non solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania. Noi non abbandoneremo la nostra gente in Cisgiordania».
Resta il fatto che le condizioni di vita a Gaza peggiorano di giorno in giorno. Israele afferma che la responsabilità ricade tutta su Hamas.
«L’uccisione di donne e bambini è un crimine contro l’umanità, come lo sono le punizioni collettive inflitte alla popolazione civile. Cosa si pretende da noi, la resa? Non accadrà mai...».
Vi si chiede di riconoscere il diritto all’esistenza di Israele.
«Alla vittima si chiede di riconoscere e rispettare il suo carnefice, da un popolo oppresso, sotto occupazione si pretende la rinuncia ad un diritto di resistenza che è contemplato anche dalla Convenzione di Ginevra. Gli esami sono sempre a senso unico, mai che si chieda conto a Israele del massacro di civili palestinesi, dell’usurpazione delle nostre terre, delle sofferenze, delle umiliazioni indicibili a cui ogni giorno i palestinesi sono sottoposti, mai che si paventino sanzioni o embarghi. Se Israele vuole sicurezza si ritiri dai territori occupati nel ‘67, liberi i prigionieri palestinesi detenuti nelle sue carceri, ponga fine all’assedio di Gaza e alla colonizzazione della Cisgiordania, se lo farà le cose potrebbero cambiare. Per tutti».
Di fronte al precipitare della situazione a Gaza, dall’Europa si sono alzate voci autorevoli che hanno invocato una trattativa che coinvolga anche Hamas
«Registriamo con favore che la posizione dell’Unione Europea sta migliorando: si sono resi conto che è stato un errore non trattare con Hamas, In particolare abbiamo apprezzato le dichiarazioni del ministro degli Esteri italiano Massimo D’Alema, al quale non sfugge che Hamas è parte inalienabile della società palestinese».
Una considerazione, la sua, che in Italia gli avversari del ministro degli Esteri utilizzeranno per dipingere D’Alema come l’«amico di Hamas».
«Non entro nelle vostre beghe interne, so che siete in campagna elettorale...Ciò che voglio dire è che il ministro D’Alema non ha chiuso gli occhi di fronte alla realtà, non ha dimenticato né sottovalutato il fatto che Hamas ha vinto libere elezioni, e lo stesso discorso vale per Jimmy Carter, Hosni Mubarak, i governanti di Russia, Cina e di tanti altri Paesi che hanno rapporti, ufficiali e non, con Hamas. Insomma, D’Alema è in buona compagnia...».

Dal RIFORMISTA:

Teheran. All'alba del 1387 l'Iran con ogni probabilità continuerà a svegliarsi conservatrice. L'arrivo della primavera porterà il nuovo anno e con sé i risultati definitivi della composizione dell'ottavo Parlamento iraniano, il Majles. Non nutrono troppe speranze i riformisti, tanti gli esclusi dal Consiglio dei Guardiani, che con i Comitati Esecutivi, hanno il compito di giudicare l'idoneità dei candidati. «Un delitto elettorale», definiscono le decisioni del Ministero dell'Interno i riformisti nei comizi di questa breve campagna elettorale, che si concluderà domani con il voto. Per i fondamentalisti è garanzia che il prossimo Majles sarà più vicino all'Islam, per chi li avversa il rischio dell'incubo astensione. A Teheran meteorologicamente è già primavera inoltrata. Il caldo di questi giorni riscalda un Iran dove sino a due mesi fa si ghiacciava a -27°. Pochi i manifesti per le strade, il governo ha proibito grandi spese temendo l'effetto corruzione nell'utilizzo di soldi pubblici per finanziare la campagna elettorale. Due i grandi schieramenti in corsa, gli Osulgaraian, i conservatori, e gli Eslahtalaban, i riformisti. L'Iran è un paese che appare sempre più disincantato dalle promesse del suo presidente, alle prese con un carovita da spavento, un'inflazione galoppante, una disoccupazione dilagante.
«Non è vero, mi creda», dichiara al Riformista Haddad Adel, attuale presidente del Majles. Abito grigio scuro e camicia bianca aperta, nella mischia tra giornalisti che segue al suo discorso alla kermesse elettorale dei conservatori, sceglie noi per una breve dichiarazione, colpito sicuramente più dalla bellezza del Paese che dal nome del giornale. «La nostra risposta agli attacchi dei riformisti è che la disoccupazione è diminuita, non certamente aumentata. E per far calare l'inflazione - prosegue - noi abbiamo un piano e lo attueremo. Consideri che una gran parte dei ricavi della vendita del petrolio li abbiamo investiti per lo sviluppo delle infrastrutture del Paese. È chiaro e naturale che ciò provochi un po' di inflazione». Aggiorno il Presidente su quanto dichiarato, lunedì sull'Iran, dal Ministro degli Esteri italiano D'Alema, nella sua conversazione con il Riformista alla vigilia delle elezioni politiche italiane. «In generale - risponde - le posizioni italiane sono secondo noi tra le più realistiche in Europa. Le consideriamo relativamente vicine alle nostre idee anche se non sempre sono state dello stesso tenore. Mi auguro che dalle prossime elezioni italiane possano esserci cambiamenti favorevoli all'assunzione di scelte indipendenti dagli Stati Uniti. Noi auspichiamo che l'Italia non sia seguace degli americani».
I giornalisti iraniani dell'Irib, la televisione di stato iraniana, pressano, è scaduto il nostro tempo. Un'ultima domanda sulla politica estera del governo. Cercate di assumere la leadership del Medio Oriente? Gli chiedo. «Non la cerchiamo e non ne abbiamo bisogno. Vogliamo semplicemente dimostrare le nostre buone intenzioni al mondo islamico, non miriamo a guidarlo, quanto alla sua unità». Ci saluta, scusandosi per gli spintoni, «perdoni…è solo entusiasmo». Riconquistiamo l'uscita, abbandoniamo il palazzetto dello sport che ha ospitato questo meeting. Lo aveva aperto un popolare candidato attaccando gli americani. «Visto che il "maleducato" Presidente Bush ha invitato il popolo iraniano a disertare le urne, noi presentiamo 30 illustri candidati che sapranno dimostrargli quanto siamo bravi a perseguire i nostri principi». Non era pienissimo e tutto sommato il popolo di Ahmadinejad dimostra poco trasporto. Donne divise dagli uomini, scolaresche in divisa precettate per l'occasione, tanti chador, tanto nero e qualche fischio di giubilo. «Evitate…non è nella nostra cultura», aveva gridato dal palco un sorpreso e imbarazzato candidato della lista. Dovrà abituarsi, suo malgrado, a queste manifestazioni di giovinezza, visto che il 70% degli iraniani ha meno di trent'anni.
Corriamo con un taxi dall'altro capo della città, è in programma un incontro elettorale con tante candidate della lista riformista. Tehran impazzisce dal traffico, «Guardi sulla destra», mi dice l'interprete indicandomi dei murales. «Down with the Usa!» e tante altre scritte contro il Satana americano ricoprono i muri esterni dell'edificio che ospitò l'ambasciata americana. Superiamo l'Università, offre 16 tipi di lauree, 160 master e 120 PhD. La frequentano quasi 32000 studenti che hanno pochissimo in comune con chi invase quel pezzo di territorio americano in Iran. Dopo mezz'ora raggiungiamo la destinazione. È una palestra ad ospitare la manifestazione elettorale. Interno molto grande, pieno di sedie, tutte occupate. Ambiente più familiare, cortese, direi più colto. Donne con grande naturalezza sedute accanto agli uomini, tanti bambini, cestini di frutta offerti ai tantissimi presenti. Sul palco le candidate, tante le escluse. Si cantano canzoni e si recitano poesie. Si dice che ogni iraniano abbia un libro di poesie sul tavolino. Così riesce facile alla poetessa Fatemeh Rakei conquistare la platea. È una esclusa eccellente e si vede che non l'ha ancora digerita. «So di aver pagato perché riformista e khomeinista», ci dice con lo sguardo che tradisce delusione. In sala c'è una donna, grandi occhi neri, vivace, sempre in movimento, un moto perpetuo. Sale e scende dal palco, distribuisce volantini, è speciale, unico il suo stile…bellissima. Sembra la padrona di casa, accoglie tutti con un grande sorriso, le donne con baci e abbracci. Spicca un vestito arancione da un mantello nero con il quale sembra perennemente litigare. La fermo, provo a parlarle. «La prego sono occupatissima…parlerò volentieri con lei, ma più tardi». E' di parola, dopo una trentina di minuti è di ritorno.
«Mi chiamo Roshanak Siasi, sono attivista di Kargozaran da quindici anni, sono Presidente nella regione di Gilan, vicino al Mar Caspio». Le chiedo della sua passione, di tutta quell'energia, se sia giustificata da speranze per il 14 marzo. «Secondo le nostre previsioni a Tehran parteciperanno alle votazioni tra il 45 e il 50% degli aventi diritto. Nel resto dell'Iran forse si supererà il 60%. La speranza è che almeno 50, 60 candidati riformisti possano entrare in Parlamento. Abbiamo problemi nel controllo dei mass-media, a parte due quotidiani non ci resta altro. Radio e televisione ci sono avversi, abbiamo poco per farci sentire». Ricominciano a chiamarla, è stanchissima, ma non si risparmia. Mi dica solo cosa sogna per il suo Paese? «Adoro l'Iran…», mi guarda negli occhi e riflette. «Spero la smettano di usare la religione per emozionare ed eccitare la gente, farle perdere la testa, per poi utilizzare le loro menti, ad arte, per altri fini. E poi…mi auguro che l'Iran riacquisti il senso di ciò che è comune a tutti, che cominci a considerare l'importanza della ricchezza della molteplicità, a discapito dell'arricchimento individuale». Si è fatto tardi, fuori è buio pesto. «Hai visto che aria diversa», mi dice l'interprete mentre guadagniamo l'uscita. Sì…speriamo che basti.

Per inviare una e-mail alla redazione dell'Unità e del Riformista cliccare sul link sottostante

lettere@unita.it
info@ilriformista.it

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