Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Condannato a morte perché studiava i diritti delle donne il processo d'appello a Kabul
Testata: Autore: Kim Sengupta Titolo: ««Studiavo i diritti delle donne Mi hanno condannato a morte»»
Da L'UNITA' del 26 febbraio 2008, un articolo ripreso dal The Indipendent:
Aggrappato alle sbarre della cella, Sayed Pervez Kambaksh ricorda come sono andate le cose. «Nemmeno a parlarne di un avvocato; in realtà non ho potuto difendermi nemmeno da solo». Il 23enne studente, la cui condanna a morte per aver scaricato da Internet un rapporto sui diritti delle donne è diventato un caso internazionale, ci ha concesso una intervista nel carcere di Mazar-i-Sharif ed è la prima volta che parla della sua drammatica esperienza. Con un tono di voce basso, persino esitante ci dice: «I giudici avevano già deciso la mia sorte. Mi hanno guardato e mi hanno parlato come si fa con un condannato. Volevo dire “vi sbagliate, per cortesia ascoltatemi”, ma non mi è stata data nemmeno l’occasione» Sayed Pervez Kambaksh scaricava dal web un documento sui diritti delle donne. È reato. Racconta: «Quello che hanno definito un processo è durato 4 minuti in un’aula chiusa al pubblico. Mi è stato detto che dovevo essere giustiziato». La mobilitazione internazionale gli ha fatto guadagnare un processo d’Appello. Dopo una udienza durata esattamente quattro minuti, Pervez Kambaksh è stato incarcerato e ora si trova da quattro mesi in una cella di 10 metri per 12 insieme ad altri 34 detenuti – assassini, rapinatori e terroristi – con la spada di Damocle della pena capitale che pende sulla sua testa. Il suo destino sembrava segnato quando il Senato afghano ha approvato una mozione, presentata da Sibgghatullkan Mojeddeid, alleato chiave del presidente Karzai, che ratificava la condanna a morte anche se in seguito la mozione è stata ritirata grazie alle proteste interne e internazionali. Ho parlato con Kambaksh nella prigione di Balkh sotto lo sguardo vigile delle guardie carcerarie con la loro divisa verde oliva dell’epoca russa. In questa prigione, che dovrebbe ospitare 200 detenuti, ce ne sono 360 in condizioni che persino le autorità carcerarie afghane considerano «inaccettabili». I detenuti, tra cui 22 donne, molte delle quali condannate per abbandono del tetto coniugale e adulterio, se ne stanno seduti con l’aria derelitta di chi è stato intrappolato negli spietati ingranaggi della burocrazia e non spera di uscire tanto presto. Da quando L’Independent ha parlato del caso di Sayed Pervez Kambaksh, eminenti personaggi pubblici quali la Segretaria di Stato degli Stati Uniti, Condoleezza Rice, e il ministro della Difesa della Gran Bretagna, David Miliband, hanno esercitato pressioni su Karzai per ottenere la sospensione dell’esecuzione. Un petizione lanciata dal nostro giornale ha raccolto quasi 90.000 firme. Dinanzi alla sua cella, Sayed Pervez Kambaksh ha l’aria pallida e stanca; indossa una giacchetta di pelle marrone su una shalwar kameez (NdT, abito tradizionale indossato sia dalle donne che dagli uomini nel sud dell’Asia) bianca e impolverata per difendersi dal vento freddo che arriva dalle vicine montagne del nord dell’Afghanistan. Nei mesi scorsi è stato aggredito qualche volta dai detenuti fondamentalisti su istigazione di una guardia che ha detto che era un eretico, ma nelle ultime settimane le intimidazioni sono diminuite. «Sono estremamente grato di quanto l’Independent ha fatto per me e per aver fatto conoscere il mio caso. Ora la maggior parte degli altri detenuti sanno che non ho fatto nulla di terribile per meritare tutto questo e quindi mi appoggiano. Anche alcune guardie sono diventate gentili». «Ci sono ancora degli estremisti che mi insultano, ma temo che siano persone che non cambiano idea in nessuna circostanza». La drammatica vicenda di Kambaksh ha avuto inizio a metà ottobre quando ha scaricato da un sito iraniano un documento sull’Islam e sui diritti delle donne. Anzitutto è stato sottoposto ad una specie di interrogatorio da parte degli insegnanti di religione dell’università nella quale frequenta la facoltà di giornalismo. «Mi hanno detto che secondo alcuni studenti ero stato io a scrivere l’articolo. Naturalmente ho negato e ho chiesto chi erano questi studenti, ma si sono rifiutati di fornirmi i loro nomi. In seguito hanno ripetuto queste accuse continuando a non fare i nomi degli studenti che mi accusavano di essere l’autore del documento. Non so nemmeno se questi studenti esistono davvero….». Abbassa la voce mentre una guardia si avvicina e si mette ad ascoltare. Non tutti credono nell’innocenza di Sayed Pervez Kambaksh. Il 27 ottobre è stato arrestato nella sede del Jahan-e-Naw, un quotidiano presso il quale svolgeva il praticantato. «Erano circa le 10 del mattino. Mi hanno detto che uno dei direttoti dell’NDS (il servizio segreto afgano) voleva vedermi. Sono stato condotto in una stazione di polizia e sono rimasto in stato di fermo fino alle 15 circa quando mi hanno detto che mi arrestavano per aver scaricato da Internet materiale proibito. Quando ho protestato mi hanno risposto che lo facevano per la mia sicurezza in quanto correvo il rischio di essere assassinato». Sayed Pervez Kambaksh nelle settimane seguenti ha ricevuto la visita dei suoi familiari, ma conferma che non gli è stato permesso di mettersi in contatto con un avvocato. «I miei familiari erano sconvolti, mio padre è terribilmente preoccupato al punto che negli ultimi mesi sembra invecchiato di anni. Io non faccio che ripetere ai miei familiari di essere forti». Il 6 dicembre è stato portato dinanzi al tribunale di Mazar dove gli sono stati letti i capi di imputazione nei quali lo si accusava di blasfemia e di aver violato i principi della legge islamica. Ma poi il procedimento e terminato senza che fosse esibita alcuna prova contro di lui. Il processo è stato rinviato al 12 gennaio e in quella data Sayed Pervez Kambaksh non si è presentato perché ammalato. Si è presentato invece il 22 gennaio convinto che sarebbe stata fissata la data della udienza successiva e invece lo aspettavano notizie sconvolgenti. «Normalmente il tribunale tiene udienza nel pomeriggio solo per poche ore. Io sono stato condotto in tribunale poco prima dell’orario di chiusa fissato alle 4 del pomeriggio. C’erano tre giudici e un pubblico ministero e mi sono stati ripetuti sommariamente i capi di imputazione. A quel punto uno dei giudici mi ha detto che mi avevano giudicato colpevole e mi avevano condannato a morte. Ho cercato di farmi sentire, ma, come ho già detto, mi parlavano come si parla da un criminale e hanno ordinato alle guardie di ricondurmi in prigione». «Ero sconvolto. Più tardi mi sono messo a sedere e ho cercato di calcolare quanto era durato il processo. Sulle prime mi sembrava fosse durato tre minuti, poi ci ho pensato meglio e sono giunto alla conclusione che era durato quattro minuti. E da allora sono in prigione. Ora non posso che sperare nel processo di appello. Vorrei che il processo di appello si tenesse a Kabul dove penso che le cose potrebbero andare meglio». Dopo lo sdegno internazionale e la campagna condotta dagli amici di Kambaksh, la Corte Suprema dell’Afghanistan ha deliberato che il processo di appello può essere celebrato a Kabul, invece che nel tribunale di Mazar, e che questa volta le udienze saranno aperte al pubblico. Il giudice Bahahuddin Baha ha altresì stabilito che lo studente ha diritto al patrocinio legale. «Se mi sarà concesso di fornire la mia versione dei fatti, i giudici capiranno che non ho fatto nulla di male. Ai sensi della costituzione avevo diritto da avere un avvocato e ad essere difeso anche in primo grado, ma questo non mi è stato concesso. Ho sentito dire che il presidente Karzai si è interessato al mio caso. Il presidente può sospendere la sentenza che mi condanna a morte, ma non so a quali e quante pressioni è sottoposto». ***