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Avvenire Rassegna Stampa
19.09.2006 L' "ingiustizia" della nascita di Israele
che ormai va accettata, come "dato di fatto" e in nome di una "legalità discutibile"

Testata: Avvenire
Data: 19 settembre 2006
Pagina: 27
Autore: Samir Khalil Samir
Titolo: «Guerra in Medio Oriente, senza legalità non c'è uscita»

All'origine dei conflitti in Medio Oriente ci sarebbero, secondo Samir Khalil Samir, un troto originario, la creazione dello Stato di Israele, e uno più recente, l'occupazione di Cisgiordania e Gaza in violazione della legalità internazionale.
La stessa legalità internazionale, ammette Samir, obbliga ad accettare il "dato di fatto" dell'esistenza di Israele, per quanto, in questo caso,  questa legalità "possa essere discutibile".
Discutibile, per Samir, è anche definire la "resistenza" di Hezbollah "terrorismo". Il terrorismo, anzi, è sempre e solo "presunto".
Grande sconfitto della guerra in Libano, con la quale Israele voleva seminare la "discordia tra le componenti della società libanese" (non difendersi da un'aggressione !) è il popolo libanese "che ha patito il tributo più pesante in vittime civili e infrastrutture". Nessun cenno alle vittime israeliane.

Testi come questo, pubblicato da AVVENIRE   il 19 settembre 2006 dimostrano che anche in chi ben conosce l'aggressività e la volontà di dominio del fondamentalismo islamico, permangono gravi pregiudizi e cecità riguardo a Israele,  indifferenza alle sue ragioni, ostilità verso il suo sacrosanto diritto all'esistenza.

Idee come quelle di padre Samir su Israele fanno purtroppo parte del problema, non della soluzione del  conflitto mediorientale.

Ecco il testo:


Dopo 34 giorni, la guerra è finita… fino alla prossima! Israele non ha raggiunto il suo obiettivo principale: annientare Hezbollah, e con esso la resistenza, né ha seminato la discordia tra le componenti della società libanese; in compenso ha provocato distruzione duratura nel Libano. Hezbollah afferma di essere il vincitore e molti musulmani nel mondo lo vedono come un eroe; in realtà è destinato a sparire quale milizia e non recupererà i suoi morti. Tutti hanno perso. Sia lode a Dio! Altrimenti, qualcuno s’illuderebbe che la guerra possa produrre la pace o essere un’opzione interessante.
Il grande sconfitto è il popolo libanese, che ha pagato il tributo più pesante in vittime civili e infrastrutture. L’ironia della sorte è che precisamente questo popolo, più di ogni altro, è vicino all’Occidente, aspira alla pace e opera quotidianamente per un progetto intercomunitario: «Il Libano è più che una terra, è un messaggio», diceva Giovanni Paolo II, e dopo di lui tanti uomini di ogni confessione religiosa. La supremazia militare d’Israele non gli ha portato la pace, piuttosto ha incrementato l’odio e dunque potenzialmente la guerra. Certo, il mondo musulmano, nella sua parte più gregaria, canta le lodi di Hezbollah; ma questo non porterà né più democrazia, né più modernità, né più benessere, né più pace, traguardi a cui aspira ogni musulmano.
La guerra non ha mai prodotto frutti duraturi. L’estremismo non si elimina con la guerra, men che meno con il presunto «terrorismo». Tutti i politici riconoscono che occorre «andare alle radici del problema»… che risale a più di 50 anni fa. Bisogna necessariamente affrontarlo. Hezbollah, che ha usurpato all’esercito libanese la funzione di difendere la patria, non è la radice del problema: non esisteva neppure quando Israele ha invaso il Libano nel 1982 per attaccare i Palestinesi che vi si trovavano. Neppure l’attentato contro Israele ai giochi olimpici di Monaco nel 1972, grave atto di terrorismo, è la radice del problema. Neppure gli attacchi d’Israele contro la terra dei Palestinesi e contro i Paesi vicini sono la radice del problema. Né Hezbollah, né Fatah, né Hamas, né gli attacchi d’Israele, né gli insediamenti israeliani sono la radice del problema.
Il problema non è d’ordine religioso: tra ebrei e musulmani, o ebrei-cristiani-musulmani, anche se è evidente che la dimensione religiosa non è mai assente dalla politica medio-orientale. Non è dunque una guerra tra ebrei (sostenuti dai cristiani) e musulmani. E non è neppure una guerra etnica, tra ebrei e arabi – e chi potrebbe pretendere seriamente che gli ebrei o gli arabi siano realtà etniche? La radice del problema non è dunque né religiosa né etnica; è puramente politica, ed alla politica si aggancia tutto il resto (comprese cultura, sociologia, economia).
Il problema risale alla spartizione della Palestina e alla creazione dello Stato d’Israele nel 1948 – in seguito della persecuzione contro gli ebrei, considerati precisamente come una «razza»! – decisa dalle superpotenze senza tener conto delle popolazioni presenti in questa terra: è questa la causa reale di tutte le guerre che ne sono seguite. Per porre rimedio a una grave ingiustizia commessa in Europa contro un terzo della popolazione ebrea mondiale, le superpotenze (compresa l’Europa) hanno deciso e commesso una nuova ingiustizia contro la popolazione palestinese, innocente rispetto al martirio degli ebrei.
Questa spartizione è in ogni caso un fatto storico, nato da una decisione internazionale. L’esistenza dei due Stati, israeliano e palestinese, è una realtà oggettiva e legittima, e non la si può rimettere in questione, contestando – de jure oppure de facto – l’esistenza di questi due Stati nei loro confini internazionali. Qualunque oltraggio alla legalità internazionale – per quanto questa legalità possa essere discutibile – porta in sé un male più grande di quello contestato. Perciò ogni soluzione del conflitto che non rispetti integralmente la legalità internazionale, cioè le risoluzioni dell’Onu, non può condurre alla pace.

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