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Avvenire Rassegna Stampa
08.06.2005 Una cronaca non del tutto corretta e un editoriale che traccia insostenibili paralleli
sul quotidiano cattolico

Testata: Avvenire
Data: 08 giugno 2005
Pagina: 19
Autore: Graziano Motta - Fulvio Scaglione
Titolo: «Territori, rotta la tregua: 5 vittime - Il fragile Medio Oriente torna a scaldarsi»
AVVENIRE di mercoledì 8 giugno 2005 pubblica a pagina 19 una cronaca di Graziano Motta, giornalista attento ed equlibrato.
L'articolo "Territori, rotta la tregua: 5 vittime" ha tuttavia tre difetti: non cita l'attacco di Hamas contro Sderot, precedente all'azione israeliana contro la Jihad, non riferisce che l'altro "civile" morto aveva anch'esso aperto il fuoco contro le truppe israeliane, e ostenta un ironico e ingiustificato scetticismo verso le spiegazioni fornite dalle autorità carcerarie israeliane in risposta alle accuse di profanazione del Corano.

Ecco l'articolo:

Si è incrinata la tregua d'armi tra Israele e i gruppi palestinesi dell'Intifada che Abu Mazen a gennaio era riuscito faticosamente a stabilire. Ieri le operazioni contro il territorio israeliano, gli insediamenti e le postazioni militari nella Striscia di Gaza, le incursioni e gli scontri sono ripresi con morti e feriti. Proprio nel giorno in cui la diplomazia internazionale si è attivata nella regione con le missioni del ministro degli Esteri britannico Jack Straw e dell'emissario del Quartetto James Wolfensohn e degli Stati Uniti, William Ward.
Ad accendere la miccia è stata l'uccisione di tre palestinesi in una serie di operazioni condotte dei militari israeliani in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Tra loro anche il capo della Jihad islamica a Jenin, Marwah Abu Zeid Khmail, freddato dai soldati mentre insieme ad alcuni compagni tentava di sfuggire alla cattura a Qabatiya, nel nord della Cisgiordania. Secondo Israele il commando preparava attentati suicidi. Nella sparatoria è morto anche un civile di 23 anni e sono rimasti feriti altri nove palestinesi e un militare israeliano. Un quarto palestinese di 57 anni è stato ucciso dai soldati israeliani a Khan Yunis, nella Striscia, mentre tentava di scavalcare la rete che segna la frontiera con l'Egitto.
La rappresaglia dei gruppi armati palestinesi non si è fatta attendere. Hamas e la Jihad islamica hanno rivendicato un attacco con razzi contro l'insediamento ebraico di Ganei Tal, nel sud della Striscia. Due braccianti che stavano mangiando accanto a una serra, un cinese e un palestinese, sono morti, e altri sei palestinesi sono rimasti feriti.
Il ministro degli Esteri israeliano, Silvan Shalom, ha denunciato «una nuova alba del terrorismo palestinese» guidato da Hamas per bloccare il processo di pace e ha esortato l'Anp a fermare gli attacchi con razzi e colpi di mortaio contro i civili. «Altrimenti decideremo quando e come rispondere», ha avvertito Shalom.
Il ministro ha esplicitato tali preoccupazioni nell'incontro con l'omologo inglese Straw. E appare comprensibile la dichiarazione formale di quest'ultimo che la Gran Bretagna non avrà contatti politici con Hamas fino a quando non avrà rinunciato alla violenza e non avrà rimosso dal suo statuto l'impegno alla distruzione d'Israele (Straw oggi ne parlerà anche ad Abu Mazen, che incontrerà a Ramallah). Intanto, hanno destato forte emozione negli ambienti islamici in Israele le prime informazioni provenienti dal carcere di Megiddo (nel Nord dello Stato ebraico) dove ieri, in base alle testimonianze di alcuni detenuti palestinesi, secondini israeliani avrebbero dissacrato tre copie del Corano, strappando alcune pagine.
Nel tentativo di circoscrivere la vicenda sul nascere, la direzione del carcere ha subito incontrato una delegazione di detenuti e ha promesso che svolgerà un'inchiesta molto approfondita. L'episodio, che ricorda la recente vicenda di Guantanamo (dove il Pentagono ha ammesso casi di profanazione del Corano), sarebbe avvenuto durante la perquisizione delle tende dei reclusi dell'Intifada. Il servizio carcerario israeliano avrebbe provato a giustificare la cosa dicendo che, sì, i secondini hanno preso in mano le copie del Corano e che alcuni fogli sono caduti a terra, ma che si trattava soltanto di pezzi di carta messi dentro al libro e non delle pagine originali del volume.
Anche l'editoriale di Fulvio Scaglione a pagina 2, "Il fragile Medio Oriente torna a scaldarsi" presenta pregi e difetti.
Scaglione riconosce che l'Europa ha sbagliato a sostenere fino all'ultimo Arafat, riconosce il coraggio di Sharon, e sono i pregi, ma, e siamo ai difetti, pone sullo stesso piano l'azione difensiva di Israele e l'aggresione terroristica Hamas e imprecisate lobby, facilmente identificabili con quelle pro-israeliane.
Ma Hamas non è una lobby che promuove l'amicizia delle democrazie verso una democrazia aggredita. E' un'organizzazione terroristica islamista che vuole distruggere Israele e sostituirla con uno Stato islamico.

Ecco l'articolo:

Si torna a sparare dalle parti di Gaza, ed è una pessima notizia. Ieri lo scambio di colpi è stato fulmineo, quasi frenetico, come se le parti volessero dimostrare di avere riflessi e fucili sempre pronti, nonostante la tregua. L'esercito israeliano ha eliminato a Qabatiya, in Cisgiordania, Marwah Abu Zeid Khmail, uno dei leader militari della Jihad islamica. La Jihad ha reagito lanciando quattro razzi contro gli insediamenti israeliani di Ganei Tal e Netzer Hazani, uccidendo due innocenti lavoratori, un palestinese e un cinese. Poco prima era stato attaccato la cittadina di Sderot, al confine della Striscia di Gaza, senza però fare vittime. In questi casi le parti hanno sempre ottime giustificazioni: i soldati dicono che Marwah Khmail stava organizzando attentati terroristici in territorio israeliano e che, dunque, non si poteva lasciarlo procedere oltre; i militanti dicono esattamente l'opposto. Nessuno può provare nulla, solo le cifre parlano chiaro: dal settembre del 2000, quando cominciò la seconda intifada, sono morti 3.703 palestinesi, 988 israeliani e una quarantina di stranieri. Intanto le elezioni palestinesi sono rinviate, visto che si profilava un successo per Hamas. E non pare uno scherzo nemmeno realizzare il ritiro dei coloni israeliani da Gaza, deciso con mossa coraggiosa e unilaterale dal governo Sharon.
Gli eventi di questi giorni dimostrano che la pace in Medio Oriente è tuttora affidata quasi solo alla buona volontà, all'intelligenza politica e agli ideali dei Paesi direttamente coinvolti. Gli altri, e visti i risultati dobbiamo aggiungere purtroppo, possono, sanno o riescono a fare ben poco. Prendiamo il cosiddetto Quartetto e le entità che lo formano. L'Unione europea, dopo i "no" dei francesi e degli olandesi alla Costituzione, ha ben altro a cui pensare. Difficile dire la propria su certi palcoscenici internazionali se non si riesce a esprimere un pensiero univoco e coerente. Va aggiunto, però, che anche prima degli ultimi scossoni la Ue non aveva brillato per originalità e iniziativa: il flirt con Arafat, per esempio, è durato troppo e su questo l'amministrazione Bush si è mostrata assai più astuta e, diciamolo pure, coraggiosa. Per completare l'opera ci sono le iniziative estemporanee come quella inglese, che ha mandato dei funzionari a incontrare dei rappresentanti (non "militari") di Hamas: involontaria, certo, ma quasi un'investitura del prossimo vincitore. Ma anche gli Stati Uniti, alla fin fine, patiscono enormi limiti nella loro azione. In buona sostanza, possono fare ciò che vogliono con i palestinesi, contro o a favore che sia; ma ben poco per quanto riguarda Israele. Bush ha molto insistito, negli ultimi tempi, perché le tappe del ritiro da Gaza siano rispettate. Tuttavia se Sharon, per fare un'ipotesi improbabile eppure non fantascientifica, fosse per qualsiasi ragione costretto a rinviare o a bloccare il ritiro, che cosa farebbe Washington? Nulla, perché nulla potrebbe fare. Qualche dichiarazione, forse una visita di Sharon negli Usa, ecco tutto. O crediamo davvero che la Casa Bianca interromperebbe o ridurrebbe il flusso dei finanziamenti verso Tel Aviv? Della Russia e dell'Onu val poco parlare. La prima ha marcato una presenza con la recente visita di Vladimir Putin ma i suoi veri interessi sono altrove, dalle parti dell'Iran e del Caspio e nelle penisola arabica. L'Onu non può imporre nulla a nessuno. Bisogna quindi sperare in Sharon e in Abu Mazen, nell'improvvisa ragionevolezza degli uomini di Hamas e delle altre lobby che hanno finora speculato sul conflitto.
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