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Molti quotidiani di lunedì 9 maggio 2005 pubblicano articoli sul clima di antisemitismo nelle Universià italiane, in particolare nell'ateneo torinese. La denuncia di un giovane israeliano residente a Torino e i fatti che la ispirano vengono minimizzati in molti dei commenti raccolti dai giornalisti. All'Università, non cè un "clima delle camice brune", dichiara ad esempio il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. E si sprecano i distinguo tra la "critica a un governo" e l'antisemitismo. Ciò che si continua a non volere capire, tuttavia, è che verso Israele si scatena molto di più che una semplice critica politica all'operato dei vari governi che vi si succedono. E' il suo stesso diritto all'esistenza ad essere negato. La negazione, anche violenta, del diritto di parola dei rappresentanti dello Stato ebraico e di chiunque ne difenda le ragioni è una logica conseguenza di questo radicale rifiuto. Un rifiuto che riguarda il solo Israele, non i molti altri stati del mondo impegnati in conflitti, spesso più sanguinosi e crudeli di quello arabo- israeliano. Tanto che la convinzione dell'assoluta estraneità dell'antisemitismo a tale unilaterale e insindacabile rifiuto, appare davvero come un'ingenuità. Nella migliore delle ipotesi. Ecco il testo della cronaca di Costantino Muscau a pagina 16 del CORRIERE DELLA SERA, "A Torino gli studenti ebrei nascondono la loro origine": « Da israeliano non puoi capire l'antisemitismo. Ho sempre pensato che fossero la paura e la paranoia degli ebrei che non vivono in Israele. E' stato molto difficile scoprire che esiste ancora » . A Torino, magari? Amit Peer, 27 anni, ha appena finito di vedere Milan Juve e si appresta ad assistere a Maccabi Tau ( Eurolega basket). Alla domanda, risponde partendo da lontano. « Sono nato in Israele, in un kibbutz, da famiglia mitteleuropea. Da 3 anni vivo a Torino, dove frequento la facoltà di Veterinaria. Sono felice di essere qui e sono grato all'Italia per avermi dato la possibilità di studiare qui. Personalmente, non ho mai avuto nessun problema come ebreo e israeliano. Ma a Torino ho scoperto che ci sono ebrei che preferiscono che la gente non conosca la loro identità per paura di diventare un obiettivo. In particolare, tre compagni universitari mi hanno confidato che ( uno fin dagli anni del liceo) celano il proprio nome di famiglia o fanno credere che il cognome non sia ebreo. Soltanto gli amici intimi conoscono la loro vera origine, non si fidano di rivelarla nemmeno agli insegnanti. A proposito, puoi non scrivere il mio, di cognome? Sai, non vorrei che all'università, magari durante qualche esame, o fuori, questa pubblicità non voluta venisse fraintesa e mi creasse qualche guaio... » . LE REAZIONI — Sarà pur vero, come sostiene il sindaco torinese Sergio Chiamparino, che « all'università di Torino non c'è il clima delle camicie brune » . Sarà pur vero, come sostiene il capo della Digos Giuseppe Petronzi, che « nessuno studente ebreo ha mai denunciato di essere stato costretto a dare nomi falsi » . « Sarà pur così — commenta Eyal Mizrahi, 46 anni, presidente dell'Associazione amici di Israele, con sede a Pioltello ( Milano), nata nel 2000 per combattere i pregiudizi verso Israele — ma la testimonianza di Amit e tutto quello che sta succedendo negli ultimi tempi è inquietante: ci ha messo sul chi va là e spinto a darci una mossa. Il 15 maggio e a metà giugno saremo in piazza a Milano » . « Certo non siamo alla vigilia della cacciata di studenti e docenti ebrei dagli atenei come 59 anni fa, né esiste un clima di antisemitismo tradizionale a Torino o in università. Ma è davvero strano — ironizza amaro il professor Ugo Volli, 57 anni, docente di Semiotica — che gruppetti minoritari, duri, e tollerati per calcolo politico, tentino di negare sistematicamente la parola a rappresentanti di Israele e mai a quelli della Russia, che devasta la Cecenia, o della Cina. Nel caso della collega Santus è poi mancata una sostanziale solidarietà del mondo accademico » . L'ALLARME — E' stata proprio la denuncia del giovane Amit al giornale israeliano Maariv ( e ribadita ieri al Corriere ) a far scattare l'allarme internazionale dopo la contestazione, avvenuta il 20 aprile e il 2 maggio, alla professoressa Daniela Santus ( attaccata per aver invitato a una lezione il viceambasciatore Elazar Cohen) e quelle dei mesi scorsi a Pisa, Firenze, Bologna. Il giornale ebraico, per la verità, fa risaltare come il governo italiano si impegni nel combattere l'antisemitismo, ma, aggiunge, nelle università la sinistra militante cerca di impedire la libertà di espressione a chi venga identificato con Israele. « Non capisco questi gruppi — aggiunge Amit — : io stesso sono di sinistra e critico il mio governo, senza rinunciare a essere ebreo. Ho cercato di discutere con i più esagitati, impossibile: credono solo a una versione dei fatti e della storia. Mi dispiace non poter dialogare e soprattutto mi hanno fatto paura certe frasi contro la Santus. Ero lì, ho sentito quello che qualcuno le ha gridato: " Devi morire come i bimbi ebrei negli autobus, chi va in Israele deve pagarne le conseguenze". Sia chiaro: io starò qui. Ma come farò a dire queste cose a mio nonno, sopravvissuto all'Olocausto? » . L'INCONTRO — Per contrastare quelli che la « militante » triestina Deborah Fait definisce sprezzantemente « pidocchi dell'umanità figli di Hitler e di Stalin » , ieri si sono incontrati a Torino, in occasione della tornata dedicata all'editoria israeliana della Fiera del Libro, Eyal Mizrhai, Angelo Pezzana, Shai Cohen, consigliere dell'ambasciata, e Andrea Jarach, presidente della federazione delle Associazioni amici Italia Israele. Ci sarebbe dovuta essere anche la professoressa Santus. Non si è vista: per non alimentare le polemiche, è la sua versione. Perché ha paura, afferma invece Mizrhai, che lancia l'ultima frecciata: « Come mai il 25 aprile a Milano la Brigata ebraica era l'unica a essere scortata dalla polizia? » . Sempre dal CORRIERE DELLA SERA, riportiamo l'articolo di Davide Frattini "Israele discute il caso Italia "C'è odio contro di noi" ", che descrive il modo in cui laq vicenda è stata affrontata dai quotidiani israeliani. — Introduzione all'odio per Israele . Sotto al titolo una lunga inchiesta sul caso Torino e gli altri episodi degli ultimi mesi nelle università italiane. Il quotidiano Maariv è entrato nelle aule « dove gli israeliani non hanno diritto di parlare » . Due pagine di testimonianze per provare a capire come sia potuto succedere proprio in Italia: « Qui il governo professa con orgoglio di aver compreso più di tutte le altre nazioni europee il pericolo antisemitismo » . Eppure — commenta preoccupato il giornalista Menachem Gantz — « la nuova generazione dell'estrema sinistra non tiene conto dei proclami dei politici a Roma. Questi ragazzi scelgono i loro slogan: i rappresentanti dello Stato d'Israele non possono avere voce negli atenei italiani » . Il racconto di Maariv mette in evidenza che in tutti gli incidenti si è trattato di « gruppuscoli di teste calde » , accusa le autorità universitarie di non aver difeso i docenti contestati. « Nessuno si è preoccupato di strappare i manifesti contro Daniela Santus che hanno tappezzato i muri dell'ateneo torinese » . Gantz parla con un gruppo di studenti arabo israeliani, descrive la paura tra i ragazzi: « Sarebbero stati pronti a prendere le difese della professoressa, non l'hanno fatto perché temevano di essere accusati di " collaborazionismo" e di sostenere il governo di Ariel Sharon » . Per provare a capire che cosa stia succedendo nei nostri atenei, Maariv interpella Daniele Scalise. « Il problema principale — spiega l'autore di I soliti ebrei ( Mondadori) — sono i professori, per cui non dovete stupirvi degli studenti. Oggi gli antisemiti si nascondono dietro all'odio per lo Stato israeliano, l'unica nazione che continua a essere criticata anche solo per la sua esistenza » . Al suono delle sirene, mercoledì scorso gli israeliani si sono fermati per ricordare le vittime dell'Olocausto, giovedì celebrano l'indipendenza. Sono i giorni in cui editorialisti e intellettuali si interrogano su come il Paese venga percepito nel mondo. « Oggi — scrive Ofer Shelah su Yedioth Ahronoth — siamo forti economicamente e militarmente, ma continuiamo a sentirci vittime, un'isola in un mare di odio generato dal mondo musulmano e gran parte dell'Europa. E' questo che imparano i nostri ragazzi nei loro viaggi in Polonia: non solo l'orrore di quanto accadde sessant'anni fa, ma anche quanto è terribile quello che sta accadendo attorno a noi » . Il caso Italia è arrivato sui giornali poche settimane dopo la decisione dell'associazione dei docenti britannici di interrompere le relazioni con le università di Haifa e Bar Ilan. « Il boicottaggio — commenta Eitan Gilboa, docente di Scienze politiche — è un attacco terroristico accademico contro di noi. I pretesti senza fondamento su cui si basa vogliono solo camuffare un'altra mossa nella strategia della campagna per delegittimare Israele » . Gabriela Jacomella in "I rettori si ribellano: nessun virus antisemita" riporta le non convincenti tesi minimizzanti dei rettori delle Università italiane in cui si sono verificati episodi di intolleranza anti-israeliana. Ecco l'articolo: « Come rettore dell'università di Torino ho stigmatizzato subito e con forza l'accaduto, e ho espresso solidarietà alla professoressa Santus. Detto questo, bisogna fare attenzione a non " montare" casi: a quanto mi consta, quella lettera al Foglio non è mai stata mandata... » . Ezio Pelizzetti preferisce ribaltare la prospettiva, « negli ultimi mesi l'ateneo ha accolto studenti palestinesi e israeliani, come sempre si è dimostrato un'arena di confronto. Il nostro ruolo è quello di trasmettere un messaggio di cultura, l'unico elemento che può far progredire il dialogo » . Oggi, però, c'è un elemento in più su cui riflettere, la denuncia del giovane israeliano sulle pagine di Maariv ... « Ma è uno studente di Torino? » , Pelizzetti chiede conferma, « a me ovviamente queste voci non sono arrivate, altrimenti sarei stato il primo a prendere posizione. Mi stupisce però che queste persone contattino i media invece di chiedere un incontro con le autorità accademiche. Tra l'altro mi risulta che l'incontro tra preside, docente e studenti si sia concluso in maniera positiva, nel segno del dialogo » . L'allarme sul clima di « acquiescenza, se non compiacenza » che negli atenei avvolgerebbe gli episodi di antisemitismo, lanciato dal professor Giorgio Israel in un'intervista al Corriere , non è condiviso dai rettori. « Non so su cosa si basi questa affermazione, ma non credo corrisponda al vero » . Piero Tosi , presidente della Crui ( la conferenza dei rettori), è lapidario: « Ci sono stati episodi gravi, assolutamente da condannare. Ma non si tratta di un virus dilagante, né si può parlare di renitenza nell'affrontarli » . « Da noi ha insegnato per alcuni anni il rabbino capo della comunità milanese ( Giuseppe Laras, docente di Storia della filosofia ebraica, ndr ) e nessuno si è mai permesso di fare alcunché, scherziamo? » , Decleva , rettore della Statale di Milano, è altrettanto netto e sicuro: « Nessun allarme. Se Israel ha elementi per sostenerlo, lo dica; ma non sono cose che si possono affermare così... » . Della stessa opinione Augusto Martinelli : « A Firenze abbiamo avuto la contestazione all'ambasciatore Gol. Un fatto intollerabile, ma limitato a una decina di giovani facinorosi ( che peraltro non ce l'avevano con gli ebrei, ma con la politica di Israele), completamente isolati dall'ateneo, dalla città, dai partiti » . Isolare, condannare. E soprattutto lavorare per il dialogo, « a Pisa abbiamo subito stigmatizzato la contestazione al consigliere d'ambasciata Cohen — ricorda il rettore Marco Pasquali — . Possono sembrare solo parole, ma poi ci sono la collaborazione con l'istituto Yad Vashem, a Gerusalemme, il Centro studi per la pace... L'università è il luogo dove si manifestano di più i fermenti sociali, ed è una delle sue ricchezze: le situazioni non condivisibili vanno chiarite e combattute, ed è quello che cerchiamo di fare. Ogni giorno » LA STAMPA si occupa del caso soltanto nella cronaca di Torino, nell'articolo "All'università si respira clima antisemita", che riportiamo: «Alcuni studenti universitari di origine ebraica preferiscono celare la propria identità per timore di sfottò o vere e proprie contestazioni». E’ uno choc, per una città dalla grande e lunga tradizione di tolleranza e di democrazia, apprendere che da Israele sono rimbalzate voci di presunte discriminazioni. Addirittura? Dopo le provocazioni denunciate nei giorni scorsi da Daniela Ruth Santus, docente ebrea dell'Università torinese, più volte contestata da universitari dell’estrema sinistra, ora parla uno studente. Si chiama Amit Peer. E’ stato lui a dichiarare al quotidiano «Maariv» di Tel Aviv di conoscere compagni costretti a nascondere il proprio nome. Possibile? Raggiunto al telefono nella sua casa torinese - dove sta seguendo con gli amici la partita di calcio del Maccabi di Tel Aviv, la sua squadra del cuore - Peer conferma nella sostanza le dichiarazioni rilasciate al giornale israeliano. «A me personalmente non è accaduto mai nulla di serio - afferma -. Anzi: posso dire di essermi sempre trovato bene a Torino, dove mi tratterrò il tempo necessario a completare gli studi per poi rientrare nel mio Paese. Però è vero: come ho detto al giornale, conosco studenti di nazionalità italiana che preferiscono celare la loro identità. Nella maggioranza dei casi soltanto gli amici intimi conoscono la vera origine degli studenti». No comment sugli episodi che possono giustificare simili reticenze da parte dei suoi compagni: «Non lo so, e se anche lo sapessi non lo rivelerei. Sono cose che non immaginavo nemmeno io, ma non per questo voglio mettere in difficoltà chi mi ha fatto queste confidenze». D’altra parte, non ci sono mai stati fatti concreti, sotto questo profilo, che abbiano messo in allarme le autorità, forze dell’ordine comprese.. Poche parole, mozziconi di frasi in un volonteroso italiano da parte di chi non intende esporsi oltre su una vicenda che prende in contropiede un po’ tutti, soprattutto in una società come quella torinese. E’ il caso del rabbino Alberto Somekh: «Non ho particolari contatti con il mondo universitario ma è la prima volta che ne sento parlare. Conosco anche diversi ragazzi: nessuno è venuto a lamentarsi da me». Insomma, per il momento mancano riscontri concreti su questa denuncia che fa discutere, e che preoccupa. Prudente anche il presidente della Comunità ebraica torinese, Maurizio Piperno Behr: «Non mi è mai arrivata all'orecchio una cosa di questo genere, nè mi è stata riferita da giovani universitari ebrei italiani». Rassicurante l’intervento del primo cittadino. «All'Università non c'è il clima dei tempi delle camicie brune - commenta il sindaco Sergio Chiamparino -. Che ci siano gruppuscoli assolutamente minoritari intolleranti è vero, ma tutte le istituzioni li combattono. Personalmente non accetto lezioni perchè la mia parte l'ho sempre fatta». Nemmeno il vicequestore Giuseppe Petronzi, il capo della Digos torinese, sostiene di essere a conoscenza di un clima così pesante da costringere gli studenti ebrei sotto la Mole a dare nomi falsi. LA REPUBBLICA dedica al tema l'articolo di Meo Ponte "A Torino intoleranza contro gli studenti ebrei", a pagina 19: Ora Amit Peer, studente israeliano che frequenta l´università di Torino, preferisce tacere e taglia corto: «Quello che ho detto al Maariv è vero». Al quotidiano di Tel Aviv che dedicava ben due pagine del suo supplemento alla vicenda di Daniela Ruth Santus, docente di geografia alla facoltà di Lingue di Torino, violentemente contestata da un gruppo di autonomi per aver invitato a lezione un diplomatico israelino Amit Peer ha fatto una rivelazione sconcertante. «Ho scoperto che nel 2005 ci sono a Torino ebrei che nascondono la propria identità e che preferiscono che essa venga ignorata perché temono di diventare essi stessi un obiettivo... ». Un´accusa pesante che sorprende il rettore dell´Università torinese, il professor Elio Pelizzetti che aveva già duramente condannato l´aggressione all´insegnante di Lingue e che ora aggiunge: «L´Università di Torino non ha mai discriminato nessuno e per nessun motivo. Sono molto dispiaciuto di sapere che studenti israeliani o ebrei abbiano problemi nel manifestare la loro identità. Personalmente non ho mai saputo di episodi del genere ma comunque come rettore mi faccio garante di quella che è la nostra missione, una missione di dialogo e di confronto di idee. Quindi invito chiunque sia stato vittima di discriminazioni a rivolgersi a me». L´accusa di Amit Peer però è in parte confermata da Ombretta, studentessa all´ultimo anni della facoltà di Lettere con doppia cittadinanza. «Sono italo-israeliana e da qualche anno vivo a Torino per ragioni di studio. È vero quello che ha detto Amit: spesso devo dire che mia nonna ha sposato un cristiano o addirittura che un bisnonno era arabo. Sin dall´inizio quando ingenuamente dicevo di essere israeliana la prima domanda era se ero palestinese. Al no gli sguardi diventavano più sospettosi. Appena arrivata in Italia ho sentito ragazzini inneggiare all´Intifada, parlare degli israeliani come dei nuovi nazisti. Capisco che si tratta nella maggior parte dei casi di ignoranza ma essere guardata come la responsabile dei massacri di Sabra e Chatila mi mette a disagio e allora preferisco restare nel vago quando si tratta di rivelare le mie origini». Uri Ziu, 30 anni, da sei anni a Torino dove frequenta l´ultimo anno della facoltà di Veterinaria, invece non ha mai camuffato il suo nome. «Credo che il problema sia soprattutto la conoscenza del problema arabo-israeliano e il modo in cui è trattato dai media italiani - spiega - Io non ho votato Sharon, in famiglia siamo da sempre laburisti. Invidio i ragazzi italiani perché a 18 anni non li aspettano tre anni di servizio militare. Ero nei paracadutisti, ho prestato servizio nella striscia di Gaza: mi insultavano sia i palestinesi che i coloni israeliani. Un giorno in facoltà ho trovato un volantino che paragonava i soldati israeliani ai nazisti. Sono corso dal preside protestando: in Italia non sanno che i soldati di Tel Aviv pagano per il minimo errore. Non ho mai nascosto la mia identità». Negli uffici della Digos dicono di non aver notizia di situazioni come quelle denunciate da Amit Peer e hanno già convocato lo studente per saperne di più. Sergio Chiamparino, il sindaco, aggiunge: «All´università di Torino non è certo tempo di camicie brune. Tutte le istituzione combattono i gruppuscoli minoritari che fanno sfoggio di intolleranza». E anche alla comunità ebraica sottolineano di essere all´oscuro di episodi di discriminazione. «Dopo quanto accaduto in Francia si è deciso di consentire agli scolari della scuola ebraica di via Saluzzo di non indossare, una volta fuori, la Kippà ma non abbiamo mai saputo di vicende gravi - dice Ada Finzi, coordinatrice per la sicurezza della comunità ebraica torinese - A volte quelle che possono essere sembrate discriminazioni sono state interpretazioni dovute alla sensibilità personale». E a pagina 1 e 2 delle pagine dedicate a Torino gli articoli "Accuse choc a Palazzo Nuovo" e "Non c'è clima da camice brune", che riportiamo: A Torino come in tempo di guerra: alcuni studenti universitari di origine ebraica preferiscono (o sono costretti) celare la propria vera identità per timore di sfotto o addirittura contestazioni violente. Potrebbe sembrare esagerato, se non fosse che sono arrivate denunce precise, prima da una docente ebrea dell´Università torinese, che ha parlato di contestazioni mirate alle sue lezioni da parte di frange dell´estrema sinistra e poi da uno studente, che ha confermato al quotidiano «Maariv» di Tel Aviv di conoscere personalmente compagni che sono costretti a nascondere il proprio nome. Il giornale israeliano ha dato grande risalto ai fatti torinesi. Una notizia che ha choccato la città. Il rettore Ezio Pelizzetti: «Non sono a conoscenza di episodi simili, ma sono pronto a farmi garante per gli studenti che vorranno denunciare eventuali casi». Il sindaco Chiamparino dice che «Non ci sono camicie brune a Palazzo Nuovo» e Oliva, neo assessore regionale alla cultura invita a distingure «tra l´imbecillità di alcuni gruppuscoli e l´atisemitismo». Anche la comunità ebraica è prudente: «Dagli studenti ebrei italiani non abbiamo mai avuto segnalazioni». Stupore a Torino per le accuse dello studente israeliano che ha confidato a un giornale di Tel Aviv: «Nell´Università torinese molti ebrei nascondono la loro origine per paura di ritorsioni». Un´accusa molto grave che lascia intravedere un clima di intolleranza inaccettabile. Il caso scoppia dopo le polemiche nate dalla grave contestazione di un gruppo di studenti che nelle settimane scorse ha impedito a un diplomatico israeliano di parlare a Palazzo Nuovo. «L´episodio di intolleranza delle scorse settimane è gravissimo e inaccettabile», commenta il sindaco Chiamparino. Che però aggiunge: «Stiamo attenti a dipingere l´Università di Torino come un luogo dove scorrazzano le camicie brune dei nazisti. Non è assolutamente così». L´assessore regionale alla cultura, il saggista Gianni Oliva, mette in guardia «dal rischio di confondere l´imbecillità di alcuni gruppuscoli con l´antisemitismo. Questo vale negli stadi e anche nelle università. Torino, la città di Primo Levi, non può certamente essere accusata di antisemitismo. Abbiamo combattuto e combatteremo l´intolleranza inaccettabile di chi ha organizzato il boicottaggio della lezione del diplomatico israeliano. Ma anche qui - conclude Oliva - dobbiamo imparare a distinguere tra l´antisemitismo e gli atteggiamenti di chi critica le scelte di un governo». Nella comunità ebraica torinese la vicenda viene valutata con preoccupazione e prudenza. Il presidente Maurizio Piperno Beer distingue tra «gli studenti israeliani, che a Torino sono numerosi ma hanno pochi rapporti con la comunità» e i ragazzi ebrei di nazionalità italiana «che ovviamente hanno rapporti più stretti con noi». «Nessuno - precisa Piperno - ci ha mai segnalato episodi di questa gravità. C´è preoccupazione per le manifestazioni di intolleranza delle scorse settimane ed è comprensibile che quella preoccupazione riguardi soprattutto gli studenti di nazionalità israeliana. Ma nessuno ci ha mai detto di aver nascosto la sua vera identità». Claudia Debenedetti, torinese, è la responsabile nazionale delle questioni giovanili: «Teniamo costantemente sotto controllo la situazione - dice Debenendetti - e finora nessuno ci ha mai segnalato casi di questo genere. Credo che ne saremmo venuti a conoscenza. Gli episodi di intolleranza sono circoscritti a piccoli gruppi di studenti. Non vorrei che si rischiasse ora, con la denuncia dello studente che si dice discriminato, di appesantire ulteriormente il clima». IL MATTINO a pagina 7 pubblica l'articolo di Aldo Baquis "Torino, intimidazione antisemita" Torino. Un campanello d’allarme per i fenomeni antiebraici verificatisi in Italia nella ultime settimane è stato suonato ieri da uno dei maggiori quotidiani israeliani, il tabloid «Maariv», che ha dedicato alla questione due pagine. Il giornale ha ricostruito con dovizia di dettagli le intimidazioni esercitate da autonomi di sinistra nei confronti di Daniela Ruth Santus, una professoressa della Facoltà di lingue di Torino attaccata per aver invitato ad una lezione il viceambasciatore di Israele in Italia, Elazar Cohen. La docente ebrea aveva scritto al «Foglio» di Giuliano Ferrara raccontando le minacce e la volontà di lasciare l’ateneo. La notizia ha avuto una vasta eco sulla stampa israeliana in quanto negli stessi giorni, urla antisemite erano state lanciate a Roma contro i calciatori della squadra di calcio Maccabi da sostenitori dell’Acilia. Gli ebrei in Italia rischiano dunque di trovarsi fra due fuochi. Alcuni di essi - ha appreso il giornale Maariv da uno studente universitario israeliano che vive a Torino - preferiscono ormai tenere nascosta la propria identità religiosa «nel timore di diventare essi stessi un bersaglio» degli ultrà politici, di sinistra o di destra. Il giornale israeliano precisa che le autorità italiane si impegnano nella lotta all’antisemitismo, un fenomeno che del resto in Italia mantiene per ora dimensioni meno allarmanti che non altrove in Europa: lo ha rilevato nei giorni scorsi lo stesso ambasciatore di Israele, Ehud Gol. Da parte sua il sindaco di Torino Sergio Chiamparino smorza i toni dell’intolleranza espressi dalla stampa di Tel Aviv: «Nella nostra università non c'è il clima dei tempi delle camicie brune». «Che ci siano gruppuscoli assolutamente minoritari intolleranti - aggiunge Chiamparino - è vero, ma tutte le istituzioni li combattono. E personalmente non accetto lezioni perchè la mia parte l'ho sempre fatta». Anche il presidente della Comunità ebraica torinese, Maurizio Piperno Behr, tende a ridimensionare le affermazioni del giovane. «Molti studenti israeliani che frequentano le facoltà torinesi - dice - vengono anche in Comunità, ma non mi è mai arrivata all’orecchio una cosa di questo genere». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla direzione del Corriere della Sera, La Stampa, La Repubblica e Il Mattino. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita. lettere@corriere.it lettere@lastampa.it rubrica.lettere@repubblica.it posta@ilmattino.it |
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