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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Foglio Rassegna Stampa
11.09.2025 Israele ha mandato un messaggio chiaro a Hamas e Qatar
Cronaca di Priscilla Ruggiero

Testata: Il Foglio
Data: 11 settembre 2025
Pagina: 1
Autore: Priscilla Ruggiero
Titolo: «L’attesa e i video»

Riprendiamo dal FOGLIO  di oggi, 11/09/2025, a pag. 1/V, con il titolo "L’attesa e i video", la cronaca di Priscilla Ruggiero.

Priscilla Ruggiero - Premio Roberto Morrione per il giornalismo  investigativo
Priscilla Ruggiero

I parenti degli ostaggi di Hamas protestano, aggrappati alla speranza di un  accordo | Il Foglio
Il Qatar, tra i principali sponsor di Hamas, resta al centro della vicenda degli ostaggi israeliani: i video di prigionieri come Evyatar David sono usati come strumento di propaganda e ricatto.
Le famiglie denunciano che Hamas pone condizioni sempre più dure per i rilasci e che l’Europa, dipendente dagli investimenti e dal gas di Doha, ignora la sofferenza delle vittime

Tel Aviv, dalla nostra inviata. Matan Eshet non ha riconosciuto la voce e il volto di suo cugino nel video pubblicato da Hamas il mese scorso, in cui Evyatar David, in un tunnel della Striscia di Gaza, è emaciato, scheletrico, senza forze, costretto a scavarsi la fossa da solo. “Non è la persona che io e la mia famiglia abbiamo conosciuto per 22 anni prima del 7 ottobre”, dice Matan, e si aggrappa alla possibilità che Evyatar possa essere ancora vivo tra quei 48 ostaggi rimasti nei tunnel di Gaza, sapendo che ogni giorno in più potrebbe essere l’ultimo.

Evyatar era al festival di musica Supernova nel sud di Israele con il suo migliore amico, Guy Gilboa-Dalal, il 7 ottobre del 2023, quando sono stati rapiti dai terroristi e portati nella Striscia di Gaza. Sono comparsi insieme in molti video diffusi da Hamas, hanno trascorso uniti oltre 500 giorni di prigionia, poi a febbraio 2025, nell’ultimo giorno di accordo, sono stati portati ad assistere alla liberazione di tre ostaggi: costretti di nuovo davanti alla telecamera mentre si coprono la faccia, per non vedere i momenti della liberazione, implorando di essere riportati a casa. 

“Nell’ultimo video della settimana scorsa, abbiamo visto Guy portato in auto per le strade di Gaza. Dopo quel video e quello di Evyatar, la nostra speranza che fossero ancora insieme si è infranta”. In quel momento, anche la speranza che si stessero aiutando a vicenda si è spenta, dice Matan, che assieme alle famiglie degli ostaggi da oltre settecento giorni chiede soltanto che suo cugino torni a casa, che tutti gli ostaggi tornino a casa, “non importa se vivi o morti”. Mentre pronuncia questa frase con delicatezza rivolge il suo sguardo a Roy Chen, sa che suo cugino potrebbe essere ancora vivo ma non dimentica i morti, non dimentica le famiglie dei 251 ostaggi che si sono unite fino a diventare un’unica famiglia che riempie le piazze della città di bandierine gialle, foto e proteste rumorose: “Mi aiuta a non pensare, se non facessi tutto questo non riuscirei ad alzarmi dal letto la mattina successiva”. Essere costretti a guardare i video di propaganda di Hamas in cui Matan viene torturato fisicamente e psicologicamente è una seconda sofferenza, dice Matan, “lottare con i media che ci ignorano da due anni è la terza”. La speranza non basta, “Hamas mette sempre più condizioni per rilasciarli” e in questi due anni “per me e i miei famigliari non c’è mai stata quiete”.

Il barlume di speranza che tiene in vita la famiglia di Evyatar in quella di Itay Chen non si è mai acceso, secondo i resoconti il diciannovenne è stato ucciso poche ore dopo l’incursione dei miliziani di Hamas nel sud di Israele mentre Itay stava svolgendo la leva obbligatoria nelle Forze di difesa israeliane nella divisione di Nahal Oz, uno dei kibbutz al confine con Gaza. Suo fratello Roy, con lo sguardo assente, ammette di non sapere ancora oggi cosa sia accaduto precisamente quel giorno, secondo le testimonianze i terroristi avrebbero preso il controllo del carro armato su cui erano Itay, il suo comandante ed Edan Alexander, anche lui soldato israeliano con cittadinanza americana, l’ultimo ostaggio a essere rilasciato lo scorso maggio. Quello che Roy sa con certezza è che quel giorno il corpo di suo fratello è stato portato senza vita a Gaza e mai restituito.

Roy la chiama “la prima parte della storia”, quella in cui la vita di Itay si è fermata, la seconda parte è la lotta che da allora “abbiamo intrapreso qui in Israele e negli Stati Unitiper ottenere il rilascio di tutti gli ostaggi. E’ questa la cosa che ha occupato la maggior parte del tempo della mia famiglia negli ultimi 705 giorni”. Così presenta la vita di Itay e della sua famiglia da due anni a questa parte: proteste e incontri. Dopo lunghi silenzi Roy ammette di non ricordare più la loro ultima conversazione, cosa si sono detti prima di non rivedersi più. Cerca di parlare di tutto tranne che di suo fratello, alza gli occhi al cielo e pur di non aprire ricordi dolorosi si sofferma sul loro cane, il fratello più piccolo di quindici anni, il traffico da Tel Aviv a Netanya, la città in cui viveva anche Itay prima del 7 ottobre. Di lui riesce soltanto a dire: “Aveva 19 anni, è entrato nell’esercito perché qui in Israele è obbligatorio, ma era come tutti gli altri diciannovenni, aveva sogni e progetti che non si realizzeranno più, e dobbiamo convivere con questa rassegnazione per il resto della nostra vita”. L’unica speranza a cui rimane aggrappata la famiglia Chen è che il suo corpo venga riconsegnato, ne hanno bisogno per “chiudere il cerchio” di una storia che sembra senza fine, dice Roy.

“La maggior parte dei 48 ostaggi è considerata non più in vita, ma non dobbiamo dimenticarlo. Nelle ultime settimane molti si concentrano sugli ostaggi ancora vivi, parlano di venti rapiti ancora a Gaza, ma è come se venissimo ignorati ancora una volta, come se non facessimo parte del conto”. Anche Roy parla di una seconda sofferenza, in questi due anni ha cambiato vita, dedicandola completamente a suo fratello e alle proteste contro il governo Netanyahu per riportare tutti a casa: “Penso che a Hamas non interessi nulla di nessuno, non ha alcun interesse nella tregua e nel porre fine alla sofferenza del proprio popolo palestinese. Ma penso anche che Israele e Netanyahu possano fare di più. Una parte di questa coalizione di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, Bezalel Smotrich e altri non vogliono affatto l’accordo. Bibi è dalla loro parte e sa che se non accettasse le loro condizioni, potrebbe dover andare a elezioni anticipate”. Eppure la soluzione per Roy Chen resta nelle mani di Hamas, basterebbe che deponesse le armi e accettasse la pace in cambio della liberazione di tutti gli ostaggi: ma in Europa, troppo concentrata sulle colpe di Israele, “nessuno sembra capirlo”.

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