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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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La Stampa Rassegna Stampa
28.08.2025 Perché l’arte non si boicotta
Commento di Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 28 agosto 2025
Pagina: 23
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Perché l’arte non si boicotta»

Riprendiamo dalla STAMPA del 28/08/2025, a pag. 23, con il titolo "Perché l’arte non si boicotta" il commento di Elena Loewenthal.


Elena Loewenthal

Alla campagna di boicottaggio anti-Israele della Mostra del Cinema di Venezia, risponde Free4Future con la contro-campagna Venice for Israel. Ne parla Elena Loewenthal che stigmatizza il boicottaggio dell'arte. In un articolo più unico che raro su La Stampa, ormai ridotta a organo di propaganda antisionista, con tanto di intervista al vescovo che condanna Israele per "genocidio", come vedrete nella prossima pagina.

Una mappa rossa grondante sangue che, in ottemperanza a uno slogan ormai popolare in tutto il mondo, ha per confini un fiume e un mare (anche se molti degli attivisti per la causa non ha idea di quale fiume e quale mare si tratti). In sovraimpressione un titolo che dice “Venice for Palestine”. Il manifesto e la campagna sono promossi dal comitato V4P che si dichiara contro il genocidio a Gaza e contestualmente ha chiesto e ottenuto il ritiro dell’invito al Festival a Gal Gadot e Gerald Butler, l’una perché è israeliana e l’altro perché nel 2018 ha partecipato a un evento a sostegno delle forze armate israeliane. La sigla V4P ha nei giorni scorsi inviato un appello in cui si invitano il Festival e la Biennale a prendere posizione contro Israele, che è stato firmato da tanti attori e registi italiani. Un appello contro. Non per la pace, per il cessate il fuoco, per la fine dei bombardamenti, per il rilascio degli ostaggi, per la coesistenza di due Stati. Semplicemente contro Israele. Puntualmente è arrivato un manifesto di segno opposto che recita “Venice for Israel”, stessa cartina ma bianca e celeste, perché «l’arte non può essere ridotta a strumento di propaganda né piegata alle campagne di odio che circolano nel mondo, chiediamo di difendere la libertà creativa e di opporsi all’uso distorto dei simboli culturali per diffondere antisemitismo e falsità».

Ora qui non è questione di decidere da che parte stare né di quale colore vestire una mappa che nel mondo migliore possibile – e al momento molto distante da quello reale – dovrebbe contenere due Stati e avere dei confini segnati ma liberamente valicabili (come aveva deciso la risoluzione Onu del 29 novembre del 1947, accolta dagli ebrei e rigettata dagli arabi). La questione a tutti gli effetti scandalosa e inaccettabile è il boicottaggio, anzi il respingimento di artisti a un Festival del cinema come arma di manifestazione politica. È la negazione del presunto “nemico” e contestualmente della persona che lo incarna, i quali perdono con ciò il diritto di presenza. Per intenderci, un conto è un talentuoso direttore d’orchestra attivo sostenitore della dittatura di Putin e dell’invasione in Ucraina. Un conto è un’attrice che ha il passaporto israeliano e ha partecipato a una manifestazione per il rilascio degli ostaggi ancora in mano ad Hamas – al pari di quelle centinaia di migliaia di israeliani che scendono per le strade ormai da quasi due anni.

La questione cruciale è un’altra, e cioè la manipolazione di un territorio mentale che dovrebbe essere per definizione il luogo dell’incontro, dello scambio, del confronto, della riflessione comune partendo da punti di vista diversi. L’arte fa questo, è – o meglio dovrebbe essere – questo e non altro. Dovrebbe sempre aprire e mai chiudere. Fare entrare. Ascoltare e non gridare né tanto meno zittire. Cercare la bellezza del mondo – il che non vuol dire fare finta di non vederne la bruttezza e la violenza. Provare, anzi, a riparare i cocci e rimediare i guasti attraverso il dialogo, l’attenzione a chi non la pensa e non è come te. L’arte e la cultura dovrebbero essere un territorio franco – da pregiudizi, slogan vuoti, posizioni che escludono quelle altrui, dai “no!” a priori, da fin troppo comode battaglie a suon di slogan rinfacciati a destra e sinistra, echi sordi e inutili.

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