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Viaggio in Israele 02/10/2025 -

Viaggio in Israele                           Isaac Bashevis Singer

Traduzione dallo yiddish di Enrico Benella

Introduzione di David Stromberg

Giuntina                                          euro 18

 

Fra gli autori capaci di “parlare” ai propri lettori anche a distanza di anni dalla morte, attraverso le loro opere un posto privilegiato occupa Isaac Bashevis Singer, lo scrittore ebreo polacco, premio Nobel per la letteratura nel 1978 i cui racconti e romanzi si rivelano, sempre di più con il trascorrere del tempo, tasselli insostituibili nella storia della narrativa del Novecento, capaci di incontrare da una generazione all’altra nuovi lettori. Chiunque si accosti a un racconto o a un romanzo di Singer non può che rimanere incantato dall’ironia, dalla profonda e disincantata sapienza umana che esprime e che ne fanno uno degli ultimi veri “cantastorie” dei tempi moderni.

Nel 1955 Singer si reca per la prima volta in Israele con la moglie Alma e nel corso dei due mesi trascorsi nel paese entra in contatto con una realtà poliedrica, complicata e affascinante al contempo dove fede, tradizioni e cultura si intersecano di continuo. Da queste esperienze nasce una serie di articoli settimanali per il quotidiano in lingua yiddish Forverts, ora pubblicati da Giuntina con il titolo “Viaggio in Israele”: sono 19 articoli brevi, di stile giornalistico, pervasi di descrizioni, riflessioni, impressioni su uno stato che l’autore incontra per la prima volta, che ama profondamente e che racconta al lettore con una scrittura poetica e avvincente.

Nato in una famiglia chassidica della Polonia in quell’universo di Shtetl, funestato da pogrom, e trasferitosi nel 1935 da Varsavia a New York, Singer vive questo viaggio con crescente emozione e il lettore si immerge, attraverso i suoi occhi, nell’Israele degli anni Cinquanta dove lo Stato, appena costituito, che aveva accolto ebrei da ogni parte del mondo decisi a realizzare il sogno sionista oltre a molti sopravvissuti alla Shoah è ancora in costruzione ma dove Singer percepisce forte il senso di appartenenza e la forza spirituale di quella terra.

Partito da Marsiglia il 10 ottobre 1955 viaggia sulla nave Artsa, arriva a Haifa sette giorni dopo e già dal ponte scorge il monte Carmelo ai cui piedi è adagiata “una città dai tetti piatti e sopra la città si allungavano delle aree disabitate”. Haifa lo accoglie “piena di luce e leggera”, una luce e un chiarore che pervadono i luoghi che Singer visita, ne resta turbato e infatti scrive: “Dal sole escono fiamme rosse, come se nei paraggi ci fosse un incendio. Vi sembra che nel mondo sia avvenuto un qualche cambiamento, che sia stata compiuta una nuova creazione”.

Dopo aver incontrato nel corso della navigazione viaggiatori askenaziti, sefarditi, ebrei laici o religiosi provenienti da ogni parte del mondo, uniti dalla consapevolezza che Israele è la loro casa, e udito una vera babele di lingue la prima tappa di Singer in Israele percorrendo la strada che porta a Tel Aviv è una ma’abara, un campo profughi dove sono stati accolti i migranti ebrei originari dai paesi arabi. “C’è una folla di povera gente – scrive Singer – di persone che non si sono ancora inserite nello yishuv. Tuttavia vi regna uno spirito di libertà e di speranza tipicamente ebraiche”. Lo scrittore è consapevole che questi ebrei “pur pieni di recriminazioni nei confronti dei leader politici di Israele” per le ristrettezze in cui sono costretti a vivere, “sono comunque a casa propria”, ormai fanno parte del popolo ebraico e presto anche i loro figli siederanno alla Knesset. La natura transitoria di queste soluzioni abitative, le difficoltà oggettive non possono però nasconderne il potenziale.

Nel viaggio del 5 novembre verso un kibbutz Singer trasmette in magnifiche descrizioni tutto il suo stupore dinanzi al paesaggio israeliano dopo il traffico intenso di Tel Aviv: “I cipressi si ergono dritti e silenziosi come eremiti e quasi non proiettano ombra. Gli olivi si piegano semivuoti e pieni di grinze, nodi e circonvoluzioni … gli insediamenti sorgono qui da qualche parte ma non sono vicini alla strada”. Avvista un villaggio arabo in rovina ed è consapevole che il nemico può arrivare da tutte le parti ma non ha paura forse perché – riflette – “l’ospite viene subito contagiato dal misterioso e inspiegabile coraggio degli ebrei d’Israele”.

All’arrivo nel kibbutz che descrive come “la combinazione di una fattoria e di un villaggio vacanze” è assalito dal caldo che lontano dalla brezza fresca di Tel Aviv “cuoce come un forno” e rimane incuriosito dalle abitudini e usanze di questo modo di vivere dove vige la tradizionale legge dell’ospitalità. Struggente è la descrizione dello shabbat che scende sul kibbutz: “arriva ed è presente, e uno è costretto a tenere conto dello Shabbat e del denso alito divino che aleggia su questo paese…sì gli abitanti del kibbutz potranno pure essere eretici, ma lo Shabbat sorge sopra il kibbutz come sorge sul monte Sinai…”

Se Tel Aviv ha per Singer una certa rassomiglianza a Varsavia o New York è con l’arrivo a Safed che prova una sensazione del tutto diversa e per la prima volta si rende conto di essere in Israele. “Safed dà la sensazione di trovarsi nell’Israele più autentico, nel vero cuore dell’ebraismo. Pare che qui ci sia la fonte da cui sgorga il fiume dell’ebraismo”.

In questo viaggio Singer sottolinea a più riprese il valore della tolleranza perché senza di essa non può esserci incontro tra ebrei della diaspora di diversa provenienza. Per lui “gli ebrei moderni costituiscono un’internazionale. Tenere assieme gli ebrei moderni significa tenere assieme delle forze che tendono costantemente a separarsi”.

Nei due mesi che resta in Israele l’autore visita anche Gerusalemme, scende al Mar Morto, ascolta alcuni interventi alla Knesset, visita un tribunale raccontando alcuni casi cui assiste, entra nello studio di Herzl (“il giornalista della Neue Freie Presse, entrato nella storia per sempre”), passa dall’Israele dei kibbutzim a quella degli haredim a Mea Shearim, il quartiere ultraortodosso di Gerusalemme: due realtà molto diverse queste ultime ma intrinsecamente legate.

Con la tempra dello scrittore di razza Singer annota ogni esperienza, volto, circostanza o contraddizione che incontra in questa terra riscaldata da un fuoco speciale dove ogni abitante ha dato il suo contributo per costruire il paese, rischiando la vita per esso al punto che ognuno di loro potrebbe scrivere un libro sulla propria vita. Herzl – scrive con un pizzico di autoironia – non ha avuto la fortuna di vedere realizzato il suo sogno. Invece io, che non ho alzato un dito per costruire questo Stato, ci entro come un generoso parente acquisito”.

A distanza di 70 anni da quel viaggio la pubblicazione di questo reportage che si colloca fra letteratura e guida turistica e dove la Storia entra in ogni pagina è di stringente attualità perché nel ripercorrere le prime fasi dello Stato di Israele ci mette in guardia su come il nemico possa avanzare da tutte le parti da nord, da sud, da est: un accerchiamento che lo Stato ebraico, circondato dal Libano all’Iraq da nemici che ne vogliono la distruzione, vive quotidianamente e che ha raggiunto l’acme nell’attacco terroristico del 7 ottobre.

Giorgia Greco

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