Tutto su di me! La mia vita straordinaria nel mondo dello spettacolo
Mel Brooks
La nave di Teseo
Entrambi scrittori al servizio di Sid Caesar – che negli anni cinquanta trasferì la comicità dal cinema e dal vaudeville in televisione, rubando da un giorno all’altro metà del pubblico a teatri e sale cinematografiche – Mel Brooks e Woody Allen non potrebbero essere autori più diversi. Un professore di filosofia, che insegnava Hegel e Kant a semestri alterni, non sapeva con quale dei due fosse più d’accordo. A me capita con Allen e Brooks (del quale esce in edizione La Nave di Teseo una bellissima e spassosa autobiografia, o meglio autocelebrazione biografica: Tutto su di me! La mia vita straordinaria nel mondo dello spettacolo). Entrambi ebrei, entrambi cresciuti a Brooklyn, all’incirca coetanei, Allen e Brooks hanno battuto piste comiche incompatibili – il primo tutto una fighetteria da middle class newyorchese, il secondo una comicità anarchica, plebea, che non rispetta niente e nessuno. Brooks, per capirci, potrebbe solo farsi due risate alle spalle di Hanna e le sue sorelle (personaggi perfetti in un film perfetto, ma così chic, così cinema d’essai, così mignolino alzato) e a Woody Allen non verrebbe mai neppure in mente di riunire un gruppo di cowboy a bivacco intorno a un pentolone di fagioli e farli scorreggiare senza ritegno come in Blazing Saddles (selle fiammeggianti, da noi Mezzogiorno e mezzo di fuoco).
Entrambi appassionati di cinema, nei suoi film Allen cita con rispetto, ironico però mai irriverente o sgangherato, il grande cinema da festival engagé, Bergman e Fellini, Welles e Godard, mentre Mel Brooks non ha rispetto per niente e nessuno e riduce i generi cinematografici in cenere: la fantascienza, il thriller, l’horror, il western, il musical. Prendete il re dei vampiri, che nel suo ultimo film da regista, Dracula morto e contento, del 1995, muore urlando rabbiosamente al suo succube, che ha spalancato una botola nel soffitto facendo entrare la luce del giorno: «Renfield, sei uno stronzo». In ogni suo film, compresi i meno memorabili, e ce ne sono, come appunto Dracula morto e contento, c’è sempre una glossa a margine della storia del cinema e almeno una battuta cult, che fracassa ogni «dibbattito» da cineclub. È lo stesso Brooks a citare questo discorso sul cinema di Mel Brooks pronunciato da Martin Scorse nel corso d’una premiazione: «Nei film di Mel, non si sa mai cosa può accadere. I confini tra ciò che è divertente e ciò che non lo è affatto in qualche modo sfumano o cadono come il lenzuolo di Accadde una notte. Mel attraversa questi confini con una risata. Si disintegrano sotto i nostri occhi, come alla fine di Mezzogiorno e mezzo di fuoco. Un conto è dire una battuta, un conto è rendere quella battuta parte integrante d’un tutto. Ed è lì che entra in gioco il fare cinema, il saper far cinema con maestria. Mel possiede uno spirito anarchico ma un cuore d’oro, e i suoi film vengono da una profonda conoscenza del cinema. La sua sensibilità unica d’appassionato è legata a doppio filo con qualcosa che ci può facilmente sfuggire, perché siamo trascinati dalle risate: la sua capacità di padroneggiare con grande disciplina la grammatica del cinema».
È quel che dice anche George Lucas in occasione di un’altra premiazione: «All’inizio della carriera immaginai un’avventura audace con la quale intendevo prendere alcuni temi mitologici e trasporli in un film contemporaneo. Chiamai questa avventura Star Wars... ed ecco cosa ne fece Mel Brooks». Partono «le immagini della scena di Balle spaziali [Spaceball, 1987] in cui Rick Moranis, incapsulato nel suo enorme casco nero, nel corso di una battaglia con le spade laser dice a Bill Pullman, nei panni di Stella Solitaria [l’Han Solo del film]: “Vedo che il tuo sforzo è grosso come il mio”». Hitchcock, di cui parodiò i thriller in High Anxiety, da noi Alta tensione, 1977, discusse con lui ogni singola scena del film, apprezzandolo e approvandole tutte. C’è qualcosa, nelle opere d’arte, che la parodia esalta. Non c’è Gioconda che non sia onorata da baffi e pizzetto, come nella reinvenzione classica di Marcel Duchamp (titolo: L.H.O.O.Q., che pronunciato in francese suona «Elle a chaud au cul», lei ha caldo al culo). Emulo non involontario dei dadaisti e dei surrealisti, che si proponevano di superare l’arte minandone le basi, e in primo luogo la solennità, Mel Brooks colpisce il cinema al cuore. Insieme al cinema, il pentolone dei fagioli nel quale ribollono tutte le storie, tracolla ed esplode, evaporando in gas venefici, ogni racconto sia mai stato fatto fin dalla fondazione del mondo. Niente è sacro, tanto meno quel che è sacro. A cominciare dal Vecchio testamento, quando Brooks – nella parte di Mosè in una scena di History of the World, Part I, da noi La pazza storia del mondo, 1981 – si presenta agli ebrei in attesa della parola di Dio con tre tavole della legge spiegando che «l’Eterno, il Signore Geova mi comanda di recarvi questi quindici…» ma ecco che «BAM! in quel momento una delle tavole cade e finisce a pezzi. Al che, con grande presenza di spirito, io nascondo sotto i piedi i pezzi caduti a terra e proseguo come nulla fosse, dicendo: “... questi dieci! Dieci Comandamenti!”»
Mel Brooks è un artista radicale, come Andy Wharol e Marcel Duchamp, e non si fa illusioni sul mondo. Niente snobismi con lui. Non crede, a differenza di Woody Allen, nell’esistenza di un’alta società newyorchese chiamata a redimere il mondo col suo bon ton, i suoi vini pregiati, i suoi ristoranti à la mode e il suo frou-frou culturale. Produttore, oltre che regista, sposato per quasi cinquant’anni con Anne Bancroft, premio Oscar in quanto attrice senza parti, tra i film da lui prodotti ci sono titoli classici come La mosca di David Cronenberg e 84, Charing Cross Road (se non l’avete mai visto, procuratevene immediatamente una copia). Con Anne Bancroft, ha interpretato nel 1983 To Be or Not to Be, da noi Essere o non essere, remake dell’immortale e omonimo film girato dal grande Ernst Lubitsch nel 1938. Be’, l’Essere o non essere con i coniugi Brooks è uno dei rarissimi remake che non sfigurano di fronte all’originale.