La crudeltà dei buoni 26/03/2022
IC7 - Il commento di Daniele Scalise
Autore: Daniele Scalise
IC7 - Il commento di Daniele Scalise
Dal 20 al 26 marzo 2022

La crudeltà dei buoni

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Vladimir Putin

E poi ci sono quelli che la guerra no, la guerra mai, cadesse la terra. Fieri e implacabili e forti di ragioni che vogliono ferree senza farsi mancare riferimenti profumati di incenso, e allora è un tutto via andare da Gandhi al Dalai Lama, dai san Francesco a Martin Luther King, esempi di protesta civile e disarmata. Mai. La guerra mai. E’ a rischio la libertà? Poco importa ma la guerra mai. L’esercito nemico ha fatto saltare le frontiere, massacra e violenta? Pazienza, ma la guerra no. Le città e le campagne sono preda del panico e della distruzione? Certo, capiamo, è drammatico ma la guerra no perché l’altare del pacifismo è sacro. Aggrediti e aggressori per me pari sono. E io protesto e vado a piazza San Giovanni, avvolto in una bandiera arcobaleno, mi sgolo con dipinto sulla fronte lo stemma della pace e per mano figlioletti e nipotini.

Alcuni di loro si nutrono di una fede sospettosa e se imbarazzati dalle immagini della devastazione, cercano salvezza nel paradiso di idee o in qualche serie televisiva distraente. Altri si immaginano più scaltri, più preparati, più pronti a dibattere ed allora è un tutto dire e ripetere che la Nato, che l’avidità americana, che i banchieri e i sionisti e Trump e la Meloni e lo zio che vota Forza Italia. L’immarcescibile ostilità nei confronti dell’Occidente capitalista, la frustrazione per l’oscuramento del sole dell’avvenire, il tifo per i Chavez e i Castro, la fratellanza commossa per i palestinesi. Si vogliono duri ma giusti, come deve essere ogni legge. Irenisti poco pacifici, indifferenti se non soddisfatti quando leggono di una famiglia di coloni sterminata nei loro letti. Del resto, una spiegazione convincente c’è sempre, sia essa l’oppressione del colonialismo, lo sfruttamento delle multinazionali o il problema dei profughi (mica tutti, sia inteso, solo quelli scelti) per non dire di quegli sporcaccioni di Cristoforo Colombo, di Churchill, di Montanelli le cui statue vanno decapitate o almeno imbrattate una volta alla settimana.

La guerra è uno spettacolo empio ed estremo che riesce svelare, se mai ce ne fosse bisogno, di che pasta sono fatti gli esseri umani. Alcuni – e sono molti, grazie al cielo – generosi e onesti e dolenti e partecipi e angosciati davvero. Altri, crudeli en travesti. Mi sono sempre chiesto come fosse stato possibile che l’intero popolo del mio Paese avesse aderito a lungo e in massa – con entusiasmo o con pigrizia, per opportunismo o quieto vivere, poco fa – a un regime infame come quello fascista, come avesse potuto voltare la testa quando dalla classe uscivano gli studenti e i professori ebrei, quando venivano razziati i quartieri, piombati i treni per Auschwitz. La verità è che ogni dittatura sopravvive solo grazie ad un robusto consenso popolare spesso incoraggiato dai ceti intellettuali che spericolati approvano, aderiscono, lodano ed esaltano gli zar, i duce, i commissari, i colonnelli, i presidenti di turno. Intellettuali che improvvisamente cancellano ogni segno di compassione nei confronti di quelle che non vengono considerate vittime ma, al più, danni collaterali inevitabili e fors’anche necessari. Esempi ce ne sono a migliaia, anche dimenticati o minimizzati, come quello di Bertolt Brecht che di fronte alla persecuzione stalinista di Zinov’ev e Kamenev riuscì solo a dire che “più innocenti sono, più meritano una pallottola in testa”. E quando qualcuno lo implorò di intercedere per trarre in salvo Carola Neher, un tempo sua amante e interprete dell’Opera da tre soldi e ora moribonda nelle prigioni moscovite, consegnò alla storia una risposta che lo disonorerà per sempre: “Se è stata condannata, dovevano pur esserci delle prove contro di lei”. La propaganda comunista del secondo dopoguerra ebbe la scaltrezza di appropriarsi dell’aggettivo ‘pacifista’. Ora quella crudele malizia continua a camminare sorretta dalla pretesa di essere buoni senza esserlo affatto.


Daniele Scalise