Quale Paese in Medio Oriente nega ogni diritto ai cristiani?
Michele Giorgio rovescia ancora,come sempre, la realtà
Testata: Il Manifesto
Data: 19/04/2019
Pagina: 11
Autore: Michele Giorgio
Titolo: Una Pasqua amara per i cristiani di Gaza

Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 19/04/2019, a pag. 11, con il titolo "Una Pasqua amara per i cristiani di Gaza", il commento di Michele Giorgio.

Quello di oggi è l'ennesimo pezzo di odio e disinformazione contro Israele di Michele Giorgio, che ignora completamente le necessità in termini di sicurezza e autodifesa di cui Israele non può fare a meno. In questo modo fa passare il messaggio secondo cui Israele per puro arbitrio neghi i permessi ai pochi cristiani che ancora vivono a Gaza - tutti quelli che hanno potuto sono già scappati dal regime islamista di Hamas, che perseguita le minoranze religiose senza pietà. L'immagine che emerge dall'articolo di Giorgio è quella di un Paese - Israele - che nega i più elementari diritti agli arabi palestinesi, rendendo perfino impossibile ai cristiani recarsi in pellegrinaggio nei loro luoghi di culto. E' un cumulo di menzogne abituale sul quotidiano comunista.

Ecco l'articolo:

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Michele Giorgio

A Gaza city tutti conoscono il palestinese cristiano Elias al Jelda, attivista dei diritti della sua minuscola comunità religiosa (meno di 1200 persone) e di tutti gli abitanti di questo fazzoletto di terra palestinese sotto blocco israeliano. In questi giorni Al Jelda è impegnato nei preparativi della Pasqua ortodossa che cade il 28 aprile, una settimana dopo quella che celebreranno cattolici e protestanti. Il centro di un po' tutte le attività è la chiesa di San Porfirio, dedicata a un prete greco che fu vescovo di Gaza dal 395 al 420.

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Cristiani in Israele: piena libertà

PER I PALESTINESI ORTODOSSI la settimana santa che ricorda la passione e la resurrezione di Cristo è il periodo dell'anno più importante, anche più del Natale. E come tutti gli altri cristiani di Gaza, gli ortodossi sono desiderosi di raggiungere Gerusalemme e di poter trascorrere le feste con i parenti che vivono nella zona araba della città o in Cisgiordania. «Nessuno di noi potrà farlo in questa Pasqua — ci spiega con amarezza Al Jelda - Israele ha concesso solo 200 permessi a palestinesi con più di 55 anni e non per andare a Gerusalemme bensì per raggiungere la Giordania. E da lì le autorità israeliane non ci permetteranno di superare il confine (per entrare nella Cisgiordania occupata, ndr). Dubito che qualcuno di noi stia pensando di utilizzare quel permesso. A cosa servirebbe, la Pasqua è a Gerusalemme non ad Amman».

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Una scena da uno dei tanti paesi arabo musulmani dell'area mediorientale

NEGLI ANNI PASSATI, ricorda l'attivista, il Cogat, l'ufficio che coordina per conto dell'esercito israeliano gli affari civili nei Territori palestinesi occupati, assegnava ai cristiani di Gaza un numero ben più alto di permessi per andare a Gerusalemme. «Cinquecento, talvolta seicento — prosegue al Jelda — tuttavia non molti potevano usarlo perché era assegnato solo ad alcuni membri e non a tutta una famiglia. Nessuno vuole trascorrere la Pasqua a Gerusalemme da solo lasciandosi dietro i figli, talvolta piccoli, e il resto della sua famiglia. Quest'anno abbiamo superato ogni limite, ci vogliono spedire in Giordania e non nella città della cristianità». I cristiani di Gaza sono poco più di mille, sottolinea Al Jelda, «e Israele non dovrebbe creare ostacoli, piuttosto deve permettere a tutta la nostra piccola comunità di trascorrere la Pasqua a Gerusalemme».

IL COGAT AFFERMA che la decisione è il risultato di valutazioni fatte ai livelli più alti delle forze annate e dei servizi. Aggiunge che negli anni passati alcuni cristiani in possesso del permesso, terminate le feste, non sono rientrati nella Striscia per rimanere «illegalmente» in Cisgiordania e che il movimento di centinaia di persone presenta rischi per la sicurezza di Israele. In quale modo il Cogat non lo precisa. Nel frattempo si alza la protesta dei palestinesi La deputata alla Knesset Aida Touma Sliman contesta con forza il passo fatto dai militari avvenuto, dice, con la piena approvazione del premier e ministro della difesa Netanyahu. Ieri sono scese in campo le Chiese con una posizione comune. «Gerusalemme deve essere aperta a tutti» ha detto al manifesto Wadie Abu Nassar, portavoce dei capi religiosi cristiani in Terra Santa, «la libertà di accesso ai luoghi sacri deve essere garantita a tutti e senza restrizioni e le considerazioni riguardo la sicurezza non possono e non devono mai avere il sopravvento sulle libertà fondamentali degli esseri umani, tra cui quella di praticare senza ostacoli la propria fede religiosa». Abu Nassar auspica un ripensamento, all'ultimo momento, da parte di Israele.

NON POCHI SI DOMANDANO cosa ci sia dietro la decisione del governo Netanyahu di impedire ai palestinesi cristiani di Gaza di raggiungere Gerusalemme in occasione della Pasqua. Per l'ong israeliana Gisha, che monitora e assiste il passaggio dei civili palestinesi ai valichi, siamo di fronte ad un nuovo capitolo della politica di «isolamento totale di Gaza» in linea con l'annuncio fatto da Netanyahu dell'annessione della Cisgiordania a Israele. Oltre a ciò, aggiungono alcuni, Israele starebbe già mettendo in pratica il piano Trump per il Medio oriente — l'«Accordo del secolo» che sarà annunciato a giugno — che secondo le indiscrezioni pubblicate da alcuni giornali vorrebbe Gaza come una entità autonoma, totalmente staccata dal resto dei territori palestinesi occupati.

NON MI PRONUNCIO su queste voci - dice Elias Al Jelda-, posso dire solo che il mio diritto di palestinese e di cristiano di raggiungere e pregare a Gerusalemme è stato negato da Israele».

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