Turchia: diritti e democrazia calpestati dal regime islamista di Erdogan
Commenti di Antonella Napoli, Lorenza Formicola
Testata:
Data: 19/04/2019
Pagina: 3
Autore: Antonella Napoli - Lorenza Formicola
Titolo: Perché il 2019 sarà un anno terribile per il giornalismo in Turchia - Erdogan fomenta l'odio contro l'Occidente e il cristianesimo

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 19/04/2019, a pag. 3 con il titolo "Perché il 2019 sarà un anno terribile per il giornalismo in Turchia" il commento di Antonella Napoli; dal GIORNALE, a pag. 21, con il titolo "Erdogan fomenta l'odio contro l'Occidente e il cristianesimo", il commento di Lorenza Formicola.

Ecco gli articoli:

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Recep Tayyip Erdogan

IL FOGLIO - Antonella Napoli: "Perché il 2019 sarà un anno terribile per il giornalismo in Turchia"

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Il sultano Erdogan

Albert Camus scriveva: “Mi piacerebbe poter amare il mio paese e amare ancora la giustizia”. Questo è ciò che deve aver pensato Erol Onderoglu, giornalista e rappresentante di Reporter senza frontiere (Rsf) in Turchia, quando nel giugno del 2016 fu arrestato per aver assunto la direzione “solidale” del quotidiano filocurdo Ozgur Gundem, rimasto senza guida e con mezza redazione in carcere a causa di una campagna repressiva del governo turco. Rilasciato dopo 3 mesi, il 15 aprile ha esposto con fermezza la sua memoria difensiva alla Corte che a luglio dovrà emettere la sentenza del processo in cui è imputato con lo scrittore Ahmet Nesin e l’accademica e attivista per i diritti umani Sebnem Korur Financi. L’accusa è di “propaganda terroristica” per aver partecipato all’azione di solidarietà a sostegno del giornale. La rete di organizzazioni internazionali di tutela e difesa dei giornalisti e la libertà di espressione ha da subito animato una campagna per chiedere l’assoluzione da ogni imputazione per tutti gli imputati, che rischiano condanne fino a 15 anni di carcere. Prendendo la parola in aula Onderoglu ha ricordato che il procedimento si trascina da quasi tre anni, durante i quali il pubblico ministero non è riuscito a produrre alcuna prova. Nell’udienza precedente, lo scorso febbraio, il procuratore aveva pronunciato una requisitoria durissima chiedendo la condanna di tutti gli accusati per “incitamento al terrorismo e alla criminalità” anche se l’unico loro crimine era stato dimostrare vicinanza alla redazione di Ozgur Gundem. Il rappresentante di Rsf in Turchia, che non ha mai avuto timore di continuare a contrapporsi alle repressioni e alle limitazioni delle libertà di stampa e di pensiero nel suo paese, anche in queste ultime fasi del processo non ha manifestato tentennamenti. “Non mi aspetto nulla da un procedimento parziale – ha detto Onderoglu al rinvio della sentenza – ci propineranno un verdetto che non sarà giuridicamente motivato. La sensazione è che la magistratura invece di accertare la colpevolezza dei reati che contesta mantenga una posizione in cui l’imputato deve dimostrare la propria innocenza per reati mai commessi. Finora le Corti dei processi a carico di giornalisti non sono riuscite a dimostrare di essere indipendenti dal governo”. Nelle prossime settimane un altro tribunale si esprimerà sugli imputati del processo Cumhuriyet, storica testata di opposizione che ha visto decimata la propria redazione e i vertici editoriali. In 18 sono finiti sul banco degli imputati. Alcuni sono già tornati in prigione. Altri attendono l’ultimo giudizio. E’ apparso evidente a tutti gli osservatori internazionali che si trattasse di sentenze politiche. “L’alto livello delle violazioni dei diritti umani e degli abusi giudiziari in casi simbolici, come Cumhuriyet o Zaman (altra testata di opposizione) ha da tempo screditato la posizione del governo – prosegue Onderoglu – Il 2019 sarà l’anno in cui dozzine di colleghi torneranno in prigione, questa volta non più in detenzione preventiva, ma da condannati”. Unica speranza che qualcosa cambi è rappresentata dalla Corte Suprema, ma potrebbe essere troppo tardi. “Ci sono molti procedimenti pendenti su verdetti di colpevolezza, alcuni potrebbero essere ribaltati. Ma l’aspetto spiacevole è quando un giornalista ha pagato anticipatamente con molti mesi o anni di reclusione a causa di accuse senza prove. Quando l’Alta Corte interviene, nella maggior parte dei casi il danno è fatto”, dice Onderoglu. Il punto centrale è proprio questo. L’abuso da parte dei giudici della misura del carcere preventivo. Molti procuratori hanno iniziato a chiedere arbitrariamente l’incarcerazione di quei giornalisti che denunciavano le storture e le responsabilità del governo di Erdogan. Onderoglu rileva come sia stato applicato lo stesso modus operandi anche per attivisti dei diritti umani e intellettuali al centro di procedimenti giudiziari politicamente motivati. “Questi giudici hanno tutti lavorato massicciamente per screditare la magistratura. Sfortunatamente, Erdogan ha distrutto la struttura delle istituzioni democratiche e la loro cultura a lungo termine”, sostiene Onderoglu. I tanti processi a carico di operatori dell’informazione ed esponenti della cultura turca, sospettati di aver sostenuto la presunta rete golpista, sono stati costruiti su articoli o apparizioni televisive. Nessuna base giuridica. Nonostante ciò si sono conclusi la maggior parte con la condanna degli imputati, elemento che ha certificato in qualche modo che lo stato di diritto nel paese sia compromesso, se non addirittura morto. Per Onderoglu, senza una ricostruzione affidabile del sistema nel suo insieme, a cominciare dalla sua indipendenza, la giustizia sarà percepita come un burocrate che applica le istruzioni del governo. La situazione dell’informazione va di pari passo con quella della magistratura. Di fatto la maggior parte dei media turchi è imbavagliata, pochi i baluardi di indipendenza e credibilità. Secondo Onderoglu il governo ha colto l’opportunità del vento globale che spinge verso la disintermediazione per imporre un consolidamento politico, un asse sulla visione islamo-nazionalista. In questo clima, investigare, informare o criticare non è tollerato. Negli ultimi mesi, molti giornalisti sono stati condannati per aver scritto su Panama e Paradise Papers e corruzione politica. Per l’esponente di Rsf, il deterioramento dei valori e degli standard democratici è una tendenza che colpisce anche le società europee. Le responsabilità europee La comunità internazionale ha grandi responsabilità verso la deriva di questa realtà che si proponeva come ponte ideale tra l’Europa e l’oriente. Secondo Onderoglu, è dunque troppo tardi per trattare la Turchia come una “cattiva studentessa” e bacchettarla per ottenere un cambio di passo, quando persino molte nazioni europee ostentano abitudini controverse in materia di diritti e di libertà di espressione.Le aspettative del popolo turco, che alle scorse elezioni amministrative ha manifestato un forte malessere nei confronti delle politiche di Erdogan, infliggendogli nelle urne la prima vera (seppur parziale) sconfitta, per ora rimangono disattese e lo rimarranno fino a quando i diritti umani non rappresenteranno una priorità incondizionata su scala globale. Fino a quando non si riuscirà a porre un freno agli attacchi alle strutture democratiche, sarà estremamente difficile per chi in Turchia propende per una migliore ed equa società riuscire ad affermare questi valori.

IL GIORNALE - Lorenza Formicola: "Erdogan fomenta l'odio contro l'Occidente e il cristianesimo"

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Lorenza Formicola

 «È stata una vittoria simbolica quella dell'opposizione: licenziare la bandiera dell'Akp nelle principali città alle elezioni amministrative è stato importante, ma niente cambierà in Turchia. Erdogan ha ancora il pieno controllo del Paese: il potere esecutivo, legislativo, giudiziario e la sicurezza sono tutti nelle sue mani. Il risultato elettorale ha irrobustito il morale dell'opposizione, ma non è abbastanza per superare le sfide imposte dal consolidamento del potere nelle mani di Erdogan». È Abdullah Bozkurt che ci racconta della Turchia di questi giorni. Un Paese, il suo, che ha imparato a conoscere ancora meglio quando è stato costretto ad abbandonarlo. Giusto in tempo per evitare l'arresto nella sua redazione. Bozkurt è una delle voci silenziate da Erdogan - la posizione editoriale del giornale di cui era capo redattore era critica nei confronti dell'establishment; il quotidiano venne sequestrato nel marzo 2016 con accuse inventate e trasformato in organo di stampa governativo in una notte -, oggi che continua a fare il giornalista, è costretto a vivere in Svezia e probabilmente non potrà mai più tornare a casa. Anche perché - nonostante la battuta d'arresto alle amministrative - il vento politico difficilmente cambierà presto nel Paese. E di questo Bozkurt è certissimo. «Quando l'Akp ha perso la maggioranza in parlamento alle elezioni del giugno 2015, Erdogan non ha provato a creare un governo di coalizione, ma ha spinto e ottenuto le elezioni anticipate già nel novembre 2015 per riconquistare la maggioranza. E in quel periodo abbiamo visto la Turchia aggredita da attacchi bomba attribuiti all'Isis: tre attacchi diversi che uccisero circa 150 persone. Molti credettero a questa storia, ma l'Isis non aveva alcun motivo di attaccare, dal momento che stava ricevendo forniture e libertà di movimento per i combattenti attraverso il Paese». Il giornalista esule apre questa parentesi per spiegare che «la grande sfida per Erdogan oggi non è l'opposizione, che egli può ancora manipolare, dividere e neutralizzare, ma l'economia di cui ha poco controllo. Le cose peggioreranno in Turchia: è molto probabile una crisi internazionale per distrarre l'opinione pubblica interna. Il che potrebbe significare uno scontro con la Grecia, per esempio, o un'altra incursione militare in Siria». Erdogan teneva tanto alle amministrative e si è speso non poco per un risultato che poi non è arrivato. Ne aveva bisogno per mascherare le gravi condizioni in cui versa l'economia, ma anche per dimostrare a quanti lo criticano che non possono prescindere da lui. Quella delle scorse settimane è stata una campagna elettorale disperata per il «sultano», che all'indomani dell'attentato in Nuova Zelanda ha diffuso le riprese all'interno della moschea «in tutte le manifestazioni - che sono state trasmesse ripetutamente da dozzine di reti tv - amplificando il messaggio dell'attentatore. Sta conducendo e costruendo lo scontro e la contrapposizione islam-cristianesimo e turchi-occidentali che sono piuttosto pericolosi. Sta soffiando sotto l'odio nella società turca». L'islamofobia europea e la cristianità che odia l'islam sono da sempre il cavallo di battaglia del sultano. Un bel miscuglio eterogeneo di ideologia e propaganda. «È un islamista devoto e impegnato, che vede non solo l'Occidente ma tutti i non musulmani come ostili alla sua ideologia religiosa», conferma Bozkurt. «Qualora ci fossero tendenze islamofobiche in tutto il mondo, Erdogan cercherebbe di esasperarle solo per aumentare il divario, per sovrapporre le false accuse contro la Nuova Zelanda in particolare e l'Occidente in generale». Che il clima già teso sia stato esasperato proprio recentemente è provato dai cori che si sono levati durante i comizi elettorali. «Andiamo e distruggiamo l'Europa», così cantava la gente? «Sì, è verissimo. L'hanno fatto subito dopo che Erdogan ha mostrato il raccapricciante video dell'attacco alla moschea da schermi giganti nella piazza». Bozkurt si sofferma sull'argomento per aggiungere che questo è lo stesso Paese in cui «ogni settimana, l'agenzia di stampa statale fa circolare la mia foto in stile wanted del selvaggio West. Se tornassi a casa, in Turchia, sarei arrestato o verrei ucciso». Da quando Erdogan è presidente, la Turchia è «diventata un regime autocratico in cui un uomo solo è responsabile e tiene i fili. Le istituzioni laiche repubblicane non sono riuscite a contenere la trasformazione della democrazia parlamentare in una dittatura. L'ideologia dell'islamismo ha iniziato a dettare le mosse politiche del governo». Il che è talmente vero che l'islamismo del sultano ha preso di mira soprattutto le nuove generazioni. L'islamizzazione dell'istruzione scolastica, secondo Bozkurt, si spiega perché Erdogan si vede «califfo e leader di tutti i musulmani e quindi intende crescere una nuova generazione di giovani islamisti sia in Turchia sia all'estero. Ha bisogno di gente che quando vuole, si mobiliti per lui. E ha bisogno che siano educati da giovanissimi». L'islam in Turchia è molto più di una religione. E sebbene la Costituzione turca protegga tutti i tipi di libertà, compresa la libertà di riunione, fede ed espressione, è qualcosa che resta solo sulla carta. Basti pensare che il presidente ha conquistato il potere per la prima volta con una promessa: eliminare l'obbligo di rimuovere il velo negli spazi pubblici. Qualcosa di talmente importante da essere utilizzato ancora oggi per intimidire l'opposizione. Erdogan continua a ripetere che le politiche avversarie porteranno l'orologio indietro addirittura a quando il velo andava tolto. «Usa il divieto per intimidire e per spostare l'attenzione», ma non solo. Rientra tutto in un progetto più grande. Nel 2002 prima dell'ascesa al potere erano tre i principali obiettivi: il velo islamico, la fine delle restrizioni imposte alle scuole religiose imam-hatip e Santa Sofia riconvertita in una moschea.

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