Lionel Barber, direttore del Financial Times, tale e quale a Chamberlain
Lo intervista Alain Elkann
Testata: La Stampa
Data: 20/05/2018
Pagina: 24
Autore: Alain Elkann
Titolo: Israele e Arabia più vicini, così cambia il mondo

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 20/05/2018, a pag. 24, con il titolo "Israele e Arabia più vicini, così cambia il mondo " l'intervista di Alain Elkann a Lionel Barber, direttore del Finacial Times.

Noi avremmo aggiunto un'altra domanda: Che cosa ha spinto la proprietà precedente a vendere il FT ai giapponesi? Invece di dare a Trump del 'distruttore', forse Lionel Barber dovrebbe chiedersi quale futuro economico ha un paese che ha scelto di mettersi in vendita. Trump fa l'incontrario. Distruttore?
L'intervista contiene domande ben calibrate, ne viene fuori un ritratto drammatico di Barber, lo si potrebbe definire il Chamberlain dell'economia (non è un complimento)

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Alain Elkann                              Lionel Barber

Lionel Barber è direttore delFinancial Times dal 2005 e ha contribuito a trasformarlo in un'agenzia di comunicazione globale e multicanale. «È il giornale della globalizzazione. Offre una prospettiva globale su politica, economia, finanza e affari. Abbiamo 568 giornalisti. La sede è a Londra, nella City ma abbiamo una rete mondiale di oltre 100 corrispondenti».
Il FT va bene?
«Abbiamo circa 1 milione di lettori a pagamento, due terzi nel Regno Unito e negli Usa, 20 % in Europa, e il resto in Asia. Il gruppo Nikkei, il nostro nuovo proprietario giapponese, è un investitore a lungo termine e ci garantisce un'assoluta libertà editoriale. Siamo molto soddisfatti»
Il mondo sta andando come dovrebbe secondo il FT?
«Il presidente Trump è il Distruttore in capo. Sta mettendo in discussione non solo l'eredità del suo predecessore Obama, ma persino i fondamenti basilari dell'ordine liberale del dopoguerra. Dice che le alleanze sono scomode e vuole arrivare a un aggressivo bilateralismo. Non sono i nostri valori. Fondamentalmente è una sfida all'approccio europeo verso il mondo ed è anche molto diverso da ciò che disse un anno fa, quando esprimeva totale adesione ai valori della Nato».
Cosa è cambiato?
«È entrato nel ruolo, ritiene di agire per il meglio, e ha cambiato squadra. I globalisti, come Gary Cohn e H.R. McMaster se ne sono andati e adesso è circondato da gente che crede nel bilateralismo più feroce. E pensa che il suo approccio fortemente transazionale si dimostrerà vincente. Un anno fa sono andato alla Casa Bianca a intervistarlo e c'era il caos più totale, sembrava un set cinematografico, gente che andava e veniva . Riuscii perfino a mettere il telefono sulla sua scrivania, un'evidente falla nella sicurezza. A settembre quando sono tornato tutto era stato risolto. Tuttavia, come ho scritto in aprile "c'è un po' più di metodo nella follia di quanto non appaia a prima vista". Non c'è ancora una vera procedura, perché Trump non crede nelle procedure e gli piace tenere tutti in bilico»
È più professionale?
«No, per nulla; si diverte a infrangere le regole, a essere imprevedibile. La prima domanda per me è: in cosa crede veramente? E la seconda è: quanto del suo atteggiamento, i tweet, il voler essere al centro dell'attenzione, è in realtà solo una gigantesca distrazione da ciò che davvero accade? Ho chiesto a Bannon: "State facendo impazzire la gente, ma in realtà ci distraete?" E lui ha detto: "Si. In Marina lo definivamo un tiro diversivo"».
In che cosa crede Trump?
«Fondamentalmente, nel potere americano. Crede che l'America abbia combattuto troppe guerre oltreoceano. Se si pensa al costo dell' Iraq e dell'Afghanistan, 2,3 trilioni di dollari, si vede come nasce questa convinzione. Ed è anche convinto che il potere americano debba occuparsi delle minacce nucleari, in particolare del Nord Corea».
E le sue idee sul riassetto economico dell'America?
«Ha una visione Anni 50 di ciò che ha reso grande l'America, basata sulla produzione manifatturiera. Pensa, secondo me a torto, che l'America non abbia beneficiato dellaliberalizzazione del commercio globale. E pensa anche che sia stata superata da altre nazioni, in particolare dalla Cina».
Ma le sue azioni hanno provocato un'immediata reazione da parte della Cina, no?
«Normalmente, durante un negoziato, i presidenti calcolano il prezzo richiesto e finché sono disposti a negoziare. Trump inizia chiedendo  il 99% e poi si ritira e aspetta di vedere fino a dove scende l'altro. Il suo stile dinegoziazione è progettato per intimidire. Probabilmente ha capito che i cinesi si sarebbero vendicati, ma per lui sono solo affari». Trump ha rotto l'accordo con l'Iran. Cosa ne pensa?
«Che era prevedibile; l'ha detto che era il peggiore affare di sempre. Il paradosso è che se l'Iran riprende i suoi programmi nucleari, l'Arabia Saudita diventerà un'altra potenza nucleare. Il che potenzialmente è molto allarmante».
E che mi dice di Israele?
«Trump è amico di Israele. I sauditi non saliranno sulle barricate per i palestinesi e nemmeno faranno storie per l'ambasciata Usa a Gerusalemme. L'avvicinamento tra Arabia Saudita e Israele dà la misura di come stia cambiando il mondo. Non è un caso che Trump abbia scelto l'Arabia Saudita come meta del suo primo viaggio all'estero».
Il bombardamento in Siria è una mossa contro la Russia?
«No, è stato prima concordato con la Russia, non è stata assolutamente una mossa anti russa. Partiva dal presupposto che chi usa armi chimiche va incontro a una risposta militare. Io lo definisco un approccio Abo (Anything But Obama - tutto tranne quel che ha fatto Obama) alla politica estera».
Trump è contro l'Europa?
«No, ma è influenzato da persone come Nigel Farage, che lui considera un grande rivoluzionario. Per Bannon è un eroe. Per loro la Brexit è una liberazione».
L' Europa si rimpicciolisce?
«L'Ue parla ma non agisce. Al vertice di Lisbona del 2000 si discusse di come rendere competitiva l'economia europea entro 112010, ma non è andata così. Al momento siamo schiacciati tra l'America e il potere emergente della Cina. Merkel, Macron e Tony Blair dicono di aspettare che passi la tempesta, ma ora come ora sullo scacchiere geopolitico noi siamo forse alfieri, certo non re, né regine o torri». (traduzione di Carla Reschia)

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