'Il Ponte' su antisemitismo e leggi razziste 26/01/2018
Analisi di Giuliana Iurlano
Autore: Giuliana Iurlano
'Il Ponte' su antisemitismo e leggi razziste
Analisi di Giuliana Iurlano


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Un numero del "Ponte"

Recupero dalla biblioteca mia e di mio marito un prezioso fascicolo del novembre-dicembre 1978 de “Il Ponte”, diretto da Enzo Enriques Agnoletti, e dedicato ai quarant’anni dalle leggi fasciste. A scorrere l’indice, mi trovo di fronte alle più importanti firme dell’antifascismo italiano, che mi riportano indietro ai primi anni dei miei studi e alle mie prime pubblicazioni. Un’immensa emozione! Rileggere gli articoli di Ugo Caffaz, Ernesto Balducci, Norberto Bobbio, Piero Calamandrei, Cesare Cases, Giacomo Debendetti, Primo Levi, Alberto Moravia, Giorgio Spini (fonte ispiratrice per i miei studi di storia degli Stati Uniti), Alessandro Pasquini, Roberto Finzi, Guido Fubini, Giuseppe Mayda, Silva Bon Gherardi, Luciano Martini, Guido Valabrega, Robert Katz, Alfonso M. Di Nola e dello stesso direttore, Enzo Enriquez Agnoletti, significa tuffarsi nel cuore dell’ebraismo italiano, sia che gli autori fossero ebrei che non lo fossero. Ma, nello stesso tempo, significa immergersi in una delle pagine più terribili della storia italiana, quando le leggi fasciste di Mussolini, controfirmate da Vittorio Emanuele III, significarono la condanna a morte nei campi di sterminio nazisti di una parte della popolazione ebraica italiana. Nell’introduzione Ugo Caffaz lancia un ammonimento che oggi vale ancor più di ieri: “Non essere antisemiti non vuol dire soltanto essere ebrei o amare gli ebrei, bensì vuol dire adoperarsi sempre perché prima di noi gli altri, tutti gli altri abbiano diritto all’uguaglianza ed alla differenza, contemporaneamente”.

Non posso dar conto dei contenuti di tutti gli articoli di questo fascicolo de “Il Ponte”, ma credo che il pur fugace riferimento alle parole più significative contenute in qualche scritto sia sufficiente a comunicare l’eccezionalità di questo numero della rivista. Se Cesare Cases mostra un’inestinguibile pessimismo di fronte agli stermini della guerra e afferma: “L’umanità diventava sempre più superflua, la vita sempre più simile alla mera sopravvivenza”, Primo Levi è più concreto, e ironico, nel rivelare l’ignoranza dei partigiani: “Ci parlavano di sconosciuti: Gramsci, Salvemini, Gobetti, i Rosselli: chi erano? […] Quei nuovi personaggi rimanevano ‘eroi’, come Garibaldi e Nazario Sauro, non avevano spessore né sostanza umana”. Il valdese Giorgio Spini ci rimanda alle radici universali dell’ebraismo, un riferimento che trascende la triste realtà del momento, ma che è la linfa sempre vitale dell’essere ebreo. Spini riporta un brano di un articolo comparso nel 1938 ne “La Luce”, organo dei valdesi: “Così, è ad esso, ad Israele, che l’umanità deve anzitutto il concetto di Dio, come di Colui che è ‘supra’ ed ‘extra’ all’universo accessibile alla mente umana, e che è inconfondibile con esso”. Eppure, è la storia che impone la ricerca della verità, l’eliminazione di falsi miti che hanno deformato un vero inequivocabile approccio all’antisemitismo. E, così, Roberto Finzi spazza via una falsa “verità”: “Lo sforzo di applicare le categorie del materialismo storico al fenomeno antisemita è vecchio quanto il marxismo […]. Questa lunga tradizione di ricerca, oltre che di lotta, contro l’ineguaglianza e la discriminazione è stata liquidata come fallimentare, anche e soprattutto per il permanere indubbio di una ‘questione ebraica’ nei paesi del ‘socialismo reale’”.

E il suo gemello, il materialismo dialettico? Mi viene in mente una sferzante definizione di Arthur Koestler: “Il materialismo dialettico consente anche ai più idioti di apparire persone intelligentissime”. Le leggi razziali, al di là di qualunque collocazione teorica in ideologie “salvifiche”, come il materialismo storico, furono l’anticamera dell’internamento degli ebrei italiani deciso il 1° dicembre 1943, “una vera e propria persecuzione programmata”, come scrive Giuseppe Mayda, e la Risiera di San Sabba fu il destino più atroce per gli ebrei italiani nel loro stesso paese (Silva Bon Gherardi). Già in quegli anni emergeva il fenomeno tutto attuale dell’antisionismo come mascheratura dell’antisemitismo. Fu Alfonso M. Di Nola a rivelare questa emergenza: “Un’altra componente corrente dello slittamento da antisionismo ad antisemitismo è la confusione ora intenzionale, ora inconsapevole, fra ‘ebreo’ e ‘israeliano’. […] Trasferire le eventuali deficienze di uno status politico israeliano sugli ebrei in generale è un errore logico e una forma di antisemitismo”. Forse è proprio questa valutazione che ci riporta prepotentemente all’antisionismo/antisemitismo di oggi e alle nostre responsabilità di difendere il popolo ebraico e Israele.


Giuliana Iurlano è Professore aggregato di Storia delle Relazioni Internazionali presso l'Università del Salento. Collabora a Informazione Corretta