In arrivo un altro 'nuovo storico', fake news come i precedenti
Commento di Antonio Donno
Autore: Antonio Donno
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Guy Laron si affaccia alla ribalta dei “nuovi storici” israeliani, ma fuori tempo massimo, o, per meglio dire, è un “nuovo storico” di risulta. Il suo libro, The Six-Day War: The Breaking of the Middle East (Yale University Press), è stato giustamente stroncato da Uri Bar-Joseph nel fascicolo estivo di «The Jewish Review of Books». È utile, tuttavia, aggiungere qualche considerazione, la prima delle quali è che la combriccola dei “nuovi storici” israeliani ormai si accontenta di noiose ripetizioni di valutazioni che a suo tempo furono smontate da Ephraim Karsh e dallo stesso Benny Morris, già capofila di quel gruppo e poi folgorato sulla via di Damasco, quando si accorse di aver sbagliato per molti anni la sua analisi su vari aspetti della storia di Israele.
Appena terminato di leggere il libro di Laron, scrive Bar-Joseph, egli fu informato che il governo israeliano aveva messo a disposizione una grande quantità di documenti fino a quel momento secretati, dall’analisi dei quali il recensore conclude in questo modo: «Nulla di ciò che ho letto in questi documenti supporta la sua tesi [di Laron]». Una stroncatura senza appello.
Ma qual è la tesi di Laron? Essa si articola su due punti. In primo luogo, sostiene Laron, la crisi economica globale degli anni ’60 e la diminuzione degli aiuti degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica ai paesi alleati crearono le condizioni che portarono sia gli Stati arabi sia Israele allo scontro. Ma, se è vero – scrive Bar-Joseph – che la leadership di Nasser era fortemente appannata, a causa di varie sconfitte politiche (la crisi dell’unificazione con la Siria nel 1961 e l’avventura fallita in Yemen, oltre che i problemi della debole economia egiziana) e che il dittatore del Cairo poteva tentare un recupero di credibilità attaccando Israele, è vero, invece, che Israele non aveva alcuna intenzione di aprire un conflitto contro gli arabi, perché godeva di una evidente superiorità sul campo.
Alle contestazioni di Bar-Joseph occorre aggiungere considerazioni di più largo respiro. In primo luogo, Washington, godendo di un’ottima posizione politica nel Medio Oriente, non intendeva affatto metterla a rischio, e per questo avrebbe in tutti i modi impedito a Israele di iniziare un conflitto, nell’ipotesi che Gerusalemme fosse decisa a intraprendere quest’iniziativa, il che era fuori dalle intenzioni israeliane.
In secondo luogo, Mosca era rimasta scottata dall’incapacità bellica egiziana nei confronti di Israele durante la crisi di Suez, in cui l’esercito del Cairo fu rapidamente messo fuori combattimento nel Sinai dall’IDF e le armi modernissime messe a sua disposizione dall’Unione Sovietica erano cadute quasi interamente nelle mani dell’esercito israeliano.
Infine, la guerra fredda non aveva più l’acutezza degli anni ’50 e le due superpotenze si erano attestate sulle rispettive posizioni, evitando di pungersi.
Il secondo punto della tesi di Laron riguarda le sottointese intenzioni dei vertici delle forze armate israeliane di procedere all’espansione dello Stato, «che prevedeva – scrive Laron – l’annessione del Sinai, del West Bank e delle Alture del Golan», nonostante l’avviso contrario del governo di Levi Eshkol.
Ma Laron non conforta la sua tesi con la nuova documentazione, accontentandosi di ripetere le conclusioni dei suoi predecessori, già smontate a suo tempo.
In sostanza, secondo Laron, il fatto che Israele fosse stato costretto a lasciare il Sinai nel 1957 spinse i vertici dell’IDF a contemplare la possibilità di una rivincita e di una riconquista.
Ma queste sono opinioni di Laron, non suffragate da alcuna documentazione in questo senso, scrive Bar-Joseph. Anche in questo caso, occorre aggiungere una breve considerazione. Israele era ed è uno stato di diritto, in cui le forze armate dipendono totalmente dalle scelte politiche. Alludere a un’iniziativa militare in contrapposizione alle posizioni politiche significherebbe ipotizzare una sorta di colpo di Stato da parte dei militari. Una vera e propria assurdità.
In realtà, conclude Bar-Joseph, «l’IDF non aveva alcun piano per la conquista delle Alture del Golan […]», mentre è vero che la Siria, insieme ai terroristi dell’OLP, si attrezzava ad attaccare i kibbutzim israeliani ai confini di quelle montagne.
Il revisionismo, fonte di ogni avanzamento della ricerca storica, ha bisogno di nuova solida documentazione, non di rimasticature e di opinioni.


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