La cortina di ferro egiziana 22/01/2010
Autore: Mordechai Kedar
Mordechai Kedar : " La cortina di ferro egiziana "
traduzione e adattamento di Antonella Donzelli e Avi Kretzo


Mordechai Kedar

Sembra che il presidente egiziano Mubarak abbia finalmente deciso di mettere fine all’intenso traffico che scorre nei tunnel che vanno dall’Egitto verso la Striscia di Gaza, attraverso i quali passano armi, munizioni, missili, denaro, merci varie (e terroristi). Mubarak domina con pugno di ferro il deserto del Sinai, contrariamente a quanti pensano che i contrabbandieri beduini ne siano i padroni incontrastati e incontrollati. Non solo: il presidente è “improvvisamente” riuscito a debellare la corruzione diffusa presso gli ufficiali del suo esercito, grazie alla quale i contrabbandieri superavano indisturbati i posti di blocco verso la città di Rafah (la città, nella Striscia di Gaza, è divisa in due parti: una in mano agli egiziani, l’altra sotto Hamas. L’imbocco dei tunnel è nella parte egiziana, lo sbocco è in quella controllata da Hamas, n.d.t.).

Considerando questi avvenimenti, si rafforza sempre più la tesi che Mubarak stesso avesse permesso ai Palestinesi di scavare i tunnel e, attraverso questi, di contrabbandare dentro la Striscia materiale bellico utilizzato per minare la sicurezza d’Israele.  
È naturale, quindi, chiedersi quale interesse avesse il regime egiziano a rafforzare Hamas mediante quest’attività di contrabbando. La risposta, secondo me, è che Mubarak vuole eliminare il movimento di Hamas, o perlomeno indebolirne il dominio nello stato di Gaza, facendo fare però questo lavoro a Israele. Infatti, egli aveva consentito ad Hamas di armarsi e rafforzarsi allo scopo di attaccare Israele, affinché questo reagisse togliendo di mezzo il regime di Hamas, proprio come tutti speravano accedesse durante l’operazione Piombo Fuso.

Questa ipotesi è molto verosimile, soprattutto perché Mubarak non può permettersi di apparire davanti al mondo mussulmano come colui che ha distrutto il movimento di Hamas o quanto meno gli ha sottratto il potere. Il presidente egiziano, infatti, teme fortemente la reazione del suo popolo, che mostra grande simpatia per i Fratelli Mussulmani (di cui Hamas è una costola, n.d.t.).
Nel progetto di Mubarak, e nelle aspettative di tutti quelli che hanno paura del fondamentalismo islamico, Israele avrebbe dovuto far fuori Hamas un anno fa, durante l’operazione Piombo Fuso. Lo stato ebraico, invece, non ha compiuto questa “missione”, sia per il timore di sacrificare i propri soldati, qualora fossero entrati in quei territori densamente popolati, sia perché non voleva rischiare di rimanere intrappolata nella Striscia per anni, fino a quando non si sarebbe formato un nuovo regime.


Poiché il rapporto Goldstone ha inibito la capacità d’Israele di agire in maniera forte e decisa contro i leader di Hamas tanto odiati da Mubarak, quest’ultimo è arrivato alla conclusione che non gli resta che agire di persona e fermare la linfa vitale di Hamas, che passa attraverso i tunnel. Si è quindi rivolto agli Americani perché gli fornissero il know-how, il materiale e l’equipaggiamento necessari per farlo, ed essi hanno subito acconsentito. In questi giorni, nel territorio egiziano al Sud del confine con la Striscia di Gaza, molti mezzi meccanici pesanti stanno infilando nel sottosuolo delle lastre metalliche che arrivano fino alla profondità di 18 metri e non possono essere trapanate. Queste lastre costituiranno una barriera impenetrabile che impedirà lo scavo di tunnel.

Gli abitanti della Striscia sono in agitazione e il prezzo dei generi alimentari lievita a causa dell’incetta di scorte che molti stanno facendo. I capi del regime di Hamas sono ancora più stressati perché sanno che questa cortina di ferro gli sta scavando il terreno sotto i piedi e additano come colpevoli di questa situazione lo stato egiziano che in questo modo affama i poveri bambini di Gaza. Alcuni giorni fa, durante le manifestazioni contro il muro di ferro sotterraneo, i Palestinesi si sono scontrati con l’esercito egiziano e i loro cecchini hanno ucciso un soldato su una torre d’avvistamento posta in territorio egiziano. Questo episodio, secondo me, ha indotto Mubarak a proseguire con maggior determinazione e velocità il progetto del muro di ferro.

Fatwa contro fatwa

Mubarak, che vuole il benestare islamico per la costruzione del muro di ferro sotterraneo, si è rivolto all’alto consiglio nazionale della fatwa dell’Università islamica El-Azhar (l’istituto superiore dei mussulmani sunniti), per ottenere una fatwa, cioè un decreto religioso, che legittimi il regime nella messa in opera del muro. I membri del consiglio, il cui stipendio viene mensilmente erogato dalle casse statali su cui siede Mubarak, hanno afferrato chiaramente cosa ci si aspetta da loro e nel giro di poche ore hanno steso il decreto religioso richiesto, basandosi sul precedente creato da Maometto quando scavò un fossato intorno alla città di Medina per proteggerla dagli attacchi esterni.

Questa fatwa equipara gli infedeli dei tempi di Maometto agli uomini di Hamas, che ne sono rimasti molto risentiti. Essi si sono rivolti quindi allo sceicco El Kardaoui, portavoce del movimento dei Fratelli Mussulmani, affinché lanci una fatwa contraria, che vieti la costruzione del muro di ferro. 
Lo sceicco ha esaudito la loro richiesta e alcuni giorni fa ha emesso un decreto religioso intitolato: “Il muro è proibito dalle norme religiose islamiche”. Nel decreto egli scrive che la costruzione del muro è un crimine perché mette in ginocchio gli abitanti di Gaza dinnanzi al nemico sionista; inoltre assomiglia al muro costruito da Israele in Cisgiordania e condannato dal mondo intero.

Il parallelo che lo sceicco stabilisce tra Egitto e Israele è molto grave agli occhi degli Egiziani, che considerano Israele uno Stato non legittimo e, comparandolo all’Egitto, questo paragone getta un’ombra d’illegittimità anche su quest’ultimo, sul suo regime e sul suo presidente.
A proposito della costruzione del muro, Kardaoui ha dichiarato inoltre che non avrebbe mai immaginato che un mussulmano come Mubarak potesse fare una cosa simile a un altro mussulmano residente a Gaza. Secondo lo sceicco, Mubarak è un collaborazionista dei sionisti e questa, nel Medio Oriente, è un’accusa pesante e gravissima.

Così la lotta sotterranea tra il regime egiziano e i movimenti che fanno capo ai Fratelli Mussulmani in Egitto e nella striscia di Gaza diventa una guerra aperta e dichiarata. Con l’avvicinarsi del cambio del governo, il regime egiziano lotta per la sua sopravvivenza e Mubarak cerca di lasciare al suo successore, il figlio Gamal, la “scrivania sgombra” dal problema chiamato Hamas.


Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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